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Accordo fiscale Italo-Svizzero


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Da: www.laregione.ch

L’Accordo sui frontalieri

di Marco Bernasconi e Donatella Ferrari - 21 gennaio 2011

Dal 1974 ad oggi il Ticino ha versato all’Italia un miliardo (sì, proprio mille milioni di franchi) di ristorni sulle imposte alla fonte prelevate sui redditi da lavoro dipendente dei frontalieri, sulla base dell’accordo pattuito. Questo, in sostanza, è il prezzo che l’Italia ha preteso per concludere la convenzione generale per evitare la doppia imposizione sul reddito e sulla sostanza con la Svizzera. L’ostacolo principale per la conclusione di questa convenzione, che si stava negoziando da 50 anni, era il nodo costituito dallo scambio di informazioni. L’Italia pretendeva che la Svizzera concedesse informazioni non soltanto per applicare la convenzione ma anche in caso di frode e contravvenzione fiscale e per le proprie necessità inquisitive. La richiesta dell’Italia era semplicemente analoga a quanto prevedeva allora il modello dell’Ocse. Ma la Svizzera, al Modello dell’Ocse riferito allo scambio di informazioni, non ha mai dato eccessiva importanza. Infatti, proprio per tutelare il segreto bancario, aveva concesso informazioni (perché non poteva far altro) agli Usa nel 1951 e nel 1998, e alla Germania dal 2002. Negli anni Settanta, quando si negoziò con l’Italia la convenzione generale per evitare la doppia imposizione, il G20 era ancora al di là da venire, e la Svizzera poteva trattare da una posizione di forza. Quindi all’Italia nessuna concessione riguardo allo scambio di informazioni. Si è dovuto però addolcire questo boccone indigesto allo scopo di potere avere il consenso dell’Italia sulla convenzione generale, concedendo ai Comuni di frontiera italiani di residenza dei frontalieri il 38,8% delle imposte prelevate sul lavoro dipendente dei frontalieri. Quindi uno dei motivi principali per i quali si è potuto pattuire la convenzione generale con l’Italia è dovuto al carico fiscale che si è assunto il Ticino per il ristorno delle imposte alla fonte ai Comuni di frontiera.

Il diritto fiscale interno italiano

Per giudicare se tale accordo, che risale ormai a quarant’anni fa, è ancora attuale o meno, sono necessarie alcune considerazioni che riguardano essenzialmente il diritto fiscale interno dell’Italia. Nel 1974 l’Italia non prelevava alcuna imposta diretta sul reddito del lavoro dipendente svolto dai propri residenti attivi all’estero. L’art. 3 cpv. 3 lett. c) del Testo unico delle imposte sui redditi italiano (articolo abrogato nel 2003) stabiliva infatti che tali redditi erano esenti. Quindi la richiesta dell’Italia rivolta alla Svizzera di contribuire alle spese che i Comuni italiani di frontiera si assumevano per le infrastrutture riferite ai frontalieri, poteva essere giustificata. Ma dal 2003, come detto, la legge interna italiana fiscale è stata modificata e ora stabilisce che i residenti in Italia che lavorano all’estero devono pagare le imposte sul reddito in Italia. La sola eccezione riguarda i frontalieri i quali sulla base dell’accordo pattuito con la Svizzera, che gerarchicamente sovrasta il diritto interno italiano, sono tassati su questi redditi del lavoro dipendente esclusivamente in Svizzera. Se cadesse l’accordo, i frontalieri pagherebbero le imposte in Italia come gli altri contribuenti residenti in Italia fuori dalla fascia di frontiera che esercitano un’attività dipendente all’estero.

La realtà odierna

Nei rapporti tra la Svizzera e gli altri Stati confinanti, riguardo il riconoscimento di una parte dell’imposta sul reddito dei frontalieri, la situazione è pure mutata poiché agli inizi degli anni 2000 la Svizzera ha rinegoziato l’accordo con l’Austria con il quale riconosce un ristorno solamente del 12,5%. Non si può nemmeno dimenticare che i rapporti con l’Italia, dopo un periodo di relativa tranquillità, sono andati assumendo una progressiva tensione sino ad arrivare oggi quasi ad uno scontro frontale.

Non si tratta soltanto dei ripetuti scudi che sono diventati ormai un elemento integrante della finanza pubblica italiana, ma anche e soprattutto della posizione dell’Italia riguardo ad un tema essenziale per la Svizzera, quale quello dello scambio di informazioni.

È noto che per evitare di finire nella lista nera, la Svizzera ha deciso di concedere dal 2009, mediante la revisione delle convenzioni bilaterali, agli altri Stati, in caso di contravvenzione, di delitti e di necessità inquisitive, uno scambio di informazioni, caso per caso e su richiesta, escludendo tuttavia la pesca alla cieca (fishing expedition). In questo ordine di idee sono state firmate una ventina di convenzioni, alcune delle quali già in vigore. Per superare la richiesta di uno scambio di informazioni più esteso, e in particolare per scongiurare lo scambio di informazioni automatico che segnerebbe la fine del segreto bancario, la Svizzera ha avviato negoziati con la Germania e la Gran Bretagna al fine di prelevare per conto di questi Stati, sulla base delle aliquote da loro stabilite, un’imposta alla fonte sui redditi dei capitali (interessi, dividendi, capital gain ecc.) depositati in Svizzera dai loro residenti (Modello Rubik).

L’idea è certamente originale e creativa e se realizzata consentirebbe di salvaguardare in modo adeguato gli interessi finanziari degli altri Stati e il segreto bancario. Questa apertura politica della Svizzera, che costituisce una sorta di rivoluzione copernicana nella tradizione del nostro Paese, ha trovato un vasto consenso internazionale con l’eccezione dell’Italia che richiede lo scambio automatico di informazioni. Ora, la posizione dell’Italia non riguarda soltanto i rapporti italo-svizzeri ma potrebbe far naufragare anche l’avvio dei negoziati con Germania e Gran Bretagna.

Quindi tre motivi fondamentali, l’imponibilità generalizzata in Italia dei redditi del lavoro dipendente conseguiti all’estero dai suoi residenti, la riduzione del ristorno concesso all’Austria da parte svizzera all’inizio degli anni 2000 e le difficoltà create dall’Italia sullo scambio di informazioni, hanno completamente cambiato il quadro nel quale è stato negoziato con effetto dal 1° gennaio 1974 l’ammontare del ristorno a favore dei Comuni di frontiera italiani.

Ciò non toglie che sulle imposte prelevate sul lavoro dipendente svolto dai frontalieri in Ticino è giusto riconoscerne una parte ai Comuni di frontiera italiani. Si pongono però due questioni fondamentali a quarant’anni dall’accordo e per i fatti intervenuti nel frattempo: la prima riguarda la misura del ristorno da versare all’Italia, e la seconda se tale ristorno deve essere posto integralmente a carico del Ticino oppure suddiviso anche con la Confederazione.

Deve pagare anche la Confederazione

L’ammontare del ristorno a nostro giudizio deve essere ridotto in primo luogo perché l’Italia oggi ha una base legale per prelevare l’imposta su questi redditi. Inoltre perché in un recente accordo all’Austria è stato riconosciuto un ristorno sui redditi del lavoro dei frontalieri del 12,5%. Ma quel che è ancora più importante è che la negoziazione dell’accordo sui frontalieri e della convenzione è avvenuta in un clima di reciproca tolleranza tra Italia e Svizzera, mentre oggi tra i due Stati vi è un profondo disaccordo. Non si tratta qui di esaminare soltanto i rapporti tra Svizzera e Italia, ma anche quelli tra il Ticino e la Svizzera. A tal fine è opportuno ricordare l’autorevole parere di Pier Felice Barchi pubblicato alcune settimane fa su questo giornale. Egli, dopo aver ricordato come il Ticino venne “giocato” dalla Confederazione nel 1976 quando dovette riconoscere retroattivamente il ristorno all’Italia delle imposte alla fonte sui redditi dei frontalieri, rileva che l’onere di questo intervento finanziario spetta oggi alla Confederazione. L’impostazione dell’on. Barchi
è sicuramente da condividere poiché il ristorno assunto in massima parte dal Ticino è stato uno degli elementi fondamentali che ha consentito la conclusione della convenzione generale con l’Italia del 1979 i cui vantaggi vanno a favore di tutti i Cantoni svizzeri e non solo del Ticino. Inoltre la prudenza della Confederazione nel sollevare con l’Italia il problema della tassazione dei frontalieri non ha consentito di sciogliere la questione. Di conseguenza se la Svizzera intende continuare con questa sua politica lo faccia pure, ma non a spese del nostro Cantone. Per questa ragione una parte del ristorno deve essere posto a carico della Confederazione.


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