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Compagnie low cost, un'estate horribilis


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
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Le compagnie low cost mostrano le rughe. Arrivate una quindicina di anni fa a rivoluzionare le abitudini di volo «delle masse», aprendo la via dei cieli anche ai non ricchi, hanno dimostrato per molto tempo che «minor costo» poteva non significare «minor sicurezza». Avevano in genere aerei nuovi di fabbrica; che ora stanno invecchiando. Il disastro del volo Spanair a Madrid (154 morti, mercoledì scorso) è stato seguito domenica da un «problema tecnico non grave» che ha costretto un altro aereo della stessa compagnia a un atterraggio precauzionale. Sempre domenica, a Monaco di Baviera, un veivolo della Air Dolomiti ha preso fuoco prima del decollo per Bologna. Ieri mattina, infine, un volo Ryanair partito da Bristol con destinazione Barcellona è dovuto atterrare a Limoges. Un improvviso calo di pressione a bordo ha costretto il pilota ad abbassarsi di 8.000 metri in cinque minuti; ventisei passeggeri sono stati così portati in ospedali per problemi ai timpani. Cosa sta succedendo? Di sicuro i passeggeri non volano più tanto tranquilli. Un altro aereo Ryanair (Dublino-Budapest), ha compiuto ieri un atterraggio fuori programma a Francoforte. Del liquido marrone aveva preso a colare su uno dei passeggeri, facendo temere perdite ai sistemi idraulici. Si è scoperto solo dopo che proveniva da un pacco di funghi surgelati contenuto nel bagaglio a mano di un altro passeggero.

Equivoci a parte, torna con forza il problema della sicurezza sui voli a prezzi stracciati. Le compagnie controbattono: seguiamo tutte le procedure previste dai regolamenti internazionali, altrimenti non avremmo neppure il diritto di volare. I tecnici della manutenzione delle grandi compagnie storiche, come Alitalia, ricordano che non ci si può accontentare della «sicurezza minima» (quella prevista dai manuali dei costruttori e delle autorità internazionali di controllo); la ricerca di quella «massima» comporta controlli maggiori. Ma soprattutto fanno notare che le compagnie low cost devono per forza ricorrere a una manutenzione fatta da terzi, «magari anche di alto livello», perdendo però in questo modo il controllo diretto di tutto il ciclo della manutenzione.

Il secondo punto debole sta nella stessa organizzazione di lavoro delle low cost: gli aerei devono stare il più possibile in volo, «produttivi».
L'esempio più noto è ancora Ryanair. Chiunque può verificare da solo che il Roma-Bergamo (Orio al Serio) delle 6.50 arriva alle 8 e riparte per la capitale alle 8.25; e così per tutti i voli. In poco più di venti minuti si debbono far scendere e salire i passeggeri, qualche volta fare rifornimento, movimentare i bagagli, ecc; nello stesso lasso di tempo il pilota deve «fare il giro» del velivolo e verificare che tutto sia a posto. La fretta non aiuta certo a lavorare al meglio. In ogni caso, un viaggio in aereo è stressante (fate caso agli applausi quando si tocca finalmente terra), e comprimere i tempi di riposo degli equipaggi riduce forzatamente l'efficienza. Come si suol dire, «incentiva l'errore umano».

Ma ciò che taglia la testa al toro sono in ogni caso gli interventi di emergenza. Spiegano i tecnici: «è normale in tutte le compagnie che, per ridurre le scorte di ricambi in magazzino, si prenda un pezzo da un aereo che deve partire tra qualche ora e lo si monti su quello in pista». Però. «Se lo fa una grande compagnia, i tecnici hanno il controllo della rotazione dei pezzi e degli aerei. Una low cost deve chiederlo a terzi». In teoria non ci dovrebbero essere problemi: stesso pezzo, stesso modello di aereo. Cosa può mai accadere? Il 6 agosto del 2005 un Atr72 della Tuninter - low cost controllata dalla compagnia di bandiera tunisina - in partenza dall'aeroporto di Bari, ebbe necessità di cambiare l'indicatore del livello del carburante. L'inchiesta successiva accertò che venne in quel caso montato un indicatore dall'aspetto assolutamente identico, ma progettato per il modello più piccolo, l'Atr42. La diversa «logica di sistema» tra i due aerei comportava che l'indicatore segnasse una quantità di carburante di molto superiore al reale. Quell'aereo non arrivò mai a Djerba, dov'era atteso. Si fermò nel mare antistante Palermo, e 16 persone vi persero la vita.

FR. PI.
Fonte:/www.ilmanifesto.it/
Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/27-Agosto-2008/art15.html
27.08.08


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