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Cos'è andato storto al Guardian?


fasal75
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Originale italiano: http://znetitaly.altervista.org/art/7313

di Ali Abunimah - 23 agosto 2012

Qualcosa è andato malamente storto al The Guardian. Nel nome del ‘robusto dibattito’ il venerabile giornale liberale di sinistra ha efficacemente concesso il suo timbro di approvazione a discorsi che vanno oltre il semplice odio, discorsi che chiaramente superano il limite arrivando all’incitamento a uccidere civili e giornalisti disarmati. Cosa sta dietro questo preoccupante sviluppo e cosa ci dice della situazione dei media in generale?

Il 15 agosto il Guardian ha annunciato l’assunzione di Joshua Treviño come corrispondente della squadra del giornale addetta alla politica USA. Janine Gibson, caporedattrice del Guardian US, ha affermato che Treviño porterà ai lettori “una prospettiva importante”.

Treviño è un operativo del Partito Repubblicano, consulente politico stipendiato e ideologo a noleggio. Ma anche se a qualcuno queste credenziali possono non piacere, non lo renderebbero unico tra gli opinionisti. Quel che distingue Treviño è la sua propensione ad appellarsi alla violenza.

Approvazione dell’uccisione di civili disarmati

Nel giugno del 2011, mentre numerose imbarcazioni che trasportavano attivisti civili disarmati tentavano di salpare da porti dell’Europa meridionale per rompere il blocco di Gaza, Treviño inviava un messaggio su Twitter all’esercito israeliano (IDF): “Caro IDF: se finirete per sparare contro statunitensi sulla nuova flottiglia di Gaza, beh, la maggior parte degli statunitensi non si scalderà. Me compreso.”

Quando un altro utente di Twitter ha sollecitato Israele a “affondare la flottiglia” Treviño è intervenuto ad affermare che il tentativo di raggiungere Gaza non era “moralmente diverso da un convoglio nazista”. Un terzo utente di Twitter ha chiesto a bruciapelo a Treviño se stava “approvando l’uccisione di statunitensi all’estero” e Treviño non ha lasciato spazio a dubbi: “Sicuro, se stanno dalla parte dei nostri nemici. I membri della flottiglia lo fanno.”

Tra i passeggeri, la cui uccisione da parte degli israeliani era approvata da Treviño c’erano la poetessa e autrice Alice Walker, l’anziano sopravvissuto all’Olocausto Hedy Epstein e numerosi giornalisti, tra cui Joseph Dana, inviato del The Nation.

Metterò le carte in tavola. Avevo molti amici e colleghi che hanno viaggiato su queste e altre precedenti imbarcazioni e ricevo anch’io personalmente delle telefonate che li vogliono morti. E Treviño sapeva che un anno prima le forze israeliane avevano ucciso nove civili disarmati che tentavano lo stesso viaggio a bordo della Mavi Marmara.

Il Guardian risponde

Ho scritto ai direttori del Guardian, compresa la Gibson, condividendo con loro un articolo di blog che avevo pubblicato esprimendo indignazione per il fatto che assumevano un opinionista “che ha sollecitato apertamente l’esercito israeliano a uccidere statunitensi”.

Ho anche chiesto ai direttori se erano a conoscenza delle violente dichiarazioni di Treviño e se sollecitare pubblicamente l’uccisione di quelli dalle cui posizioni si dissente è semplicemente un’altra opinione che siamo tenuti a rispettare e tollerare.

La risposta è stata deludente: “E’ nostra consolidata convinzione che la diversità delle voci è uno dei grandi patrimoni della sezione dei commenti del The Guardian” ha dichiarato l’ufficio stampa della società in una dichiarazione via email. “Confidiamo nell’aperto e robusto dibattito che siamo certi seguirà tra Josh e i lettori del Guardian,” aggiungeva la dichiarazione.

L’ufficio stampa mi ha anche trasmesso il collegamento a un pezzo scritto da Treviño – senza dubbio su sollecitazione dei suoi nuovi capi – per controbattere la crescente indignazione per i suoi appelli all’uccisione dei passeggeri della flottiglia.

Disonesto e in malafede

La reazione di Treviño, intitolata “Il mio messaggio Twitter sulla flottiglia di Gaza del 2011: un chiarimento” (da notare, non delle scuse o una ritrattazione) è un pezzo in malafede e risibile di funambolismo in cui egli diffama ulteriormente i passeggeri della flottiglia affermando che “danno aiuto ai nemici del proprio paese” e implicando che l’intera popolazione di 1,6 milioni di persone di Gaza – metà della quale costituita da bambini – costituisce un “gruppo terroristico”.

Ha sostenuto che le parole del suo messaggio non significavano quello che chiaramente significano e che i lettori avevano semplicemente frainteso.

Treviño ha affermato che non sollecitava la morte dei passeggeri della flottiglia, ma stava semplicemente dicendo che è opinione ‘corrente’ che se gli israeliani avessero ucciso cittadini statunitensi a bordo delle imbarcazioni, sarebbe stata colpa loro. “Qualsiasi lettura del mio messaggio del 25 giugno del 2011 che affermi che ho applaudito, incoraggiato o accolto con favore la morte di altri esseri umani è sbagliata e non in sintonia con la mia vita e il mio passato”, ha scritto Treviño, “Non mi scuso per le mie opinioni o la mia ideologia”.

Chi sta prendendo in giro Treviño? Non è mai riuscito a giustificare i suoi messaggi che hanno approvato attivamente l’affondamento della flottiglia e l’uccisione di compatrioti statunitensi, che egli giudicava ‘nemici’ soltanto perché cercavano di salpare per Gaza.

Né ha affrontato il fatto che, un anno prima, quando erano cominciati a circolare i primi rapporti sul massacro a bordo della Mavi Marmara, egli aveva scritto via Twitter: “Che si sia a favore della #flottiglia o contro di essa, possiamo tutti essere d’accordo su una cosa: si suoi morti sono ora con Rachel Corrie”.

Si trattava di un riferimento derisorio alla studentessa e attivista della solidarietà statunitense uccisa dalle forze israeliane d’occupazione a Gaza nel 2003 mentre tentava di bloccare la demolizione della casa di una famiglia palestinese.

“Consentitemi di essere chiaro: anche se i peggiori rapporti sulle azioni israeliani contro la #flotilla fossero veri – e ne dubito – Israele ha comunque ragione,” ha aggiunto Treviño. Treviño non aveva bisogno di aspettare nessun fatto aggiuntivo prima di concludere che Israele aveva ragione, perché ai suoi occhi Israele ha sempre ragione.

Né quella gioia apparente per l’uccisione di civili disarmati era fuori sintonia con i precedenti di Treviño quando si è trattato dell’Iraq. Nel 2007 Treviño aveva sollecitato gli Stati Uniti a seguire l’esempio dei colonialisti inglesi in Africa nella guerra contro i boeri agli inizi del 1900.

“I britannici hanno conseguito la vittoria sui boeri trasferendo in campi di concentramento le loro donne e i loro bambini” e “facendo terra bruciata della campagna”, ha scritto ammirato Treviño e ha suggerito che gli USA applicassero tattiche simili per reprimere la resistenza nell’Iraq occupato.

Che decine di uomini, donne e bambini fossero stati uccisi non era un deterrente: “Non sbagliatevi: quei mezzi sono stati crudeli”, ha scritto Treviño, “Ho detto in precedenza che approvo la crudeltà in guerra.”

E c’è la faccenduola dell’ipocrisia. Se cercare di spezzare l’assedio di Gaza o appoggiare quelli che lo fanno significa essere complici del terrorismo, come ha scritto Treviño, allora anche lo stesso Treviño ha accettato l’impiego da sostenitori del terrorismo visto che gli stessi direttori del Guardian hanno energicamente condannato l’attacco letale di Israele alla Mavi Marmara attribuendo la responsabilità del bagno di sangue ‘interamente’ a Israele.

CP Scott, il leggendario direttore del The Guardian dal 187
2 al 1929 è famoso per aver coniato l’espressione: “I commenti sono liberi, ma i fatti sono sacri”. Che cosa farebbe delle reazioni fuorvianti di Treviño?

Che cosa sta succedendo al The Guardian?

Un collega ha suggerito che assumendo Treviño il Guardian stava tornando alle sue radici sioniste; in effetti si era fatto a lungo campione della causa d’Israele e degli insediamenti sionisti in Palestina. Potrebbe essere incidentalmente vero, tuttavia il motivo pare essere qualcosa di più banale, ma ugualmente preoccupante per il dibattito pubblico.

Il Guardian sta perdendo decine di milioni di dollari all’anno con il crollo della sua circolazione, analogo a quello di altri quotidiani. Anche se ha un pubblico enorme e in crescita in rete, deve ancora trovare un modo per generare entrate sostenibili da esso.

In un articolo approfondito sul The New Statesman di maggio, Peter Wilby ha esamina la rischiosa nuova strategia del Guardian nella sua ricerca di una via d’uscita, compresa una grande espansione negli Stati Uniti.

Per fermare le perdite che minacciano di far fallire la casa madre, Guardian News and Media, nel giro di pochi anni, il suo piano finanziario richiede che gli introiti dalla pubblicità online raddoppino a 140 milioni di dollari entro il 2016.

Tuttavia, come osserva Wilby, “nessuno è sicuro che la pubblicità sul sito web e altre entrate digitali” possano sostituire la pubblicità sulla carta stampata che tuttora rappresenta il 75% delle entrate della società, “particolarmente considerando che un marchio liberale di sinistra è uno spazio disagevole per gran parte della pubblicità diretta ai consumatori.”

La soluzione, sembra, sta nello spostarsi a destra in cerca di nuovo pubblico. “Se, ad esempio, il traffico del sito web statunitense raggiungesse i 40 milioni, entrerebbe nei programmi delle principali agenzie di pubblicità”, spiega Wilby.

La svolta a destra è già iniziata in Gran Bretagna. “Per dimostrare che il giornale si sta allontanando dalla sua nicchia di sinistra”, afferma Wilby, il direttore Alan Rusbidger “ha assunto l’ex direttore del Times [di Londra] Simon Jenkins e l’ex direttore del Telegraph Max Hastings come opinionisti.”

Treviño è semplicemente un precursore di cose che verranno. Se, alla ricerca di entrate, gli aperti appelli all’omicidio vanno ora scusati come semplice “robusto dibattito”, e chi persegue idee simili va legittimato come membro del personale editoriale, allora anche il Guardian dovrà accettare la responsabilità di qualsiasi cosa derivi da discorsi così osceni e violenti.

Il futuro dei media

Il Guardian non è il solo a combattere per operare la transizione dalla carta stampata a piattaforme in rete finanziariamente sostenibili. Percorrere la via “equa ed equilibrata” della Fox News è una risposta che efficacemente, anche se non esplicitamente, assoggetta il giornalismo agli inserzionisti e ai contabili, piuttosto che all’integrità e alla responsabilità nei confronti del pubblico.

Un altro approccio consiste semplicemente nel disporre di risorse illimitate che sbucano dal terreno sotto forma di entrate petrolifere e del gas, ma nemmeno quello è un modello che produce molta responsabilità. Come dimostrano le recenti critiche di Sultan Al-Qassemi a Al Jazeera e Al Arabiya i media sponsorizzati da governanti o da stati sono troppo spesso influenzati da fini personali o di politica estera.

Persino la BBC, un tempo risolutamente indipendente, ora appare più suscettibile alle pressioni e alle critiche del governo britannico.

E’ narrazione o adeguamento alla propaganda?

Un altro problema – illustrato anche dall’assunzione di Treviño – è la confusione di narrazioni e giornalismo con la propaganda a spese della trasparenza.

Secondo lo stesso codice editoriale del The Guardian i giornalisti e opinionisti devono rivelare il lavoro esterno e le affiliazioni organizzative che potrebbero determinare un conflitto d’interessi.

Treviño, è stato rivelato, lavora come consulente stipendiato di candidati Repubblicani a cariche elettive. Ma c’è molto di più che i lettori meritano di sapere.

Nel maggio del 2011 Treviño è stato coinvolto in una curiosa controversia in un cui un sito web della Malesia ha accusato lui e un altro blogger statunitense di gestire un sito web dal titolo Malaysia Matters, apparentemente finanziato dal primo ministro malese e da altri politici del paese per migliorare la loro immagine.

Treviño ha dichiarato al giornalista Ben Smith, allora al Politico, che la storia era ‘completamente falsa’. Ma Smith ha dichiarato che Treviño lo ha “male indirizzato”.

Anche se Smith non è stato in grado di andare a fondo dei torbidi accordi finanziari che stavano dietro Malaysia Matters, ha rivelato che nel 2008 Treviño aveva avvicinato numerosi blogger statunitensi famosi “offrendo loro visita ufficiale gratuita, da ‘una volta nella vita’, in Malesia, pagata, ha detto

in una email all’epoca, da interessi imprenditoriali associati alla politica malese.”

Quando gli è stata contestata quest’attività piuttosto strana per un giornalista, Treviño ha scritto a Smith: “Offro anche viaggi pagati in Israele”, come se fosse la cosa più normale del mondo da fare per un blogger.

I nuovi capi di Treviño al Guardian lo sanno? Sanno per conto di chi scrive Treviño, un ex membro del comitato consultivo di Act for Israel? E, cosa più importante, hanno in programma di dirlo ai loro lettori?

Ali Abunimah è autore di ‘One Country, A Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse’ [Un unico paese, una proposta audace per por fine all’impasse israelo-palestinese]. E’ cofondatore della pubblicazione in rete The Electronic Intifada e consulente politico di Al-Shabaka.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/whats-gone-wrong-at-the-guardian-by-ali-abunimah

Originale: Aljazeera

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0


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AB
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Originale italiano: http://znetitaly.altervista.org/art/7313

di Ali Abunimah - 23 agosto 2012

Qualcosa è andato malamente storto al The Guardian. Nel nome del ‘robusto dibattito’ il venerabile giornale liberale di sinistra ha efficacemente concesso il suo timbro di approvazione a discorsi che vanno oltre il semplice odio, discorsi che chiaramente superano il limite arrivando all’incitamento a uccidere civili e giornalisti disarmati. Cosa sta dietro questo preoccupante sviluppo e cosa ci dice della situazione dei media in generale?

Il 15 agosto il Guardian ha annunciato l’assunzione di Joshua Treviño come corrispondente della squadra del giornale addetta alla politica USA. Janine Gibson, caporedattrice del Guardian US, ha affermato che Treviño porterà ai lettori “una prospettiva importante”.

Treviño è un operativo del Partito Repubblicano, consulente politico stipendiato e ideologo a noleggio. Ma anche se a qualcuno queste credenziali possono non piacere, non lo renderebbero unico tra gli opinionisti. Quel che distingue Treviño è la sua propensione ad appellarsi alla violenza.

Approvazione dell’uccisione di civili disarmati

Nel giugno del 2011, mentre numerose imbarcazioni che trasportavano attivisti civili disarmati tentavano di salpare da porti dell’Europa meridionale per rompere il blocco di Gaza, Treviño inviava un messaggio su Twitter all’esercito israeliano (IDF): “Caro IDF: se finirete per sparare contro statunitensi sulla nuova flottiglia di Gaza, beh, la maggior parte degli statunitensi non si scalderà. Me compreso.”

Quando un altro utente di Twitter ha sollecitato Israele a “affondare la flottiglia” Treviño è intervenuto ad affermare che il tentativo di raggiungere Gaza non era “moralmente diverso da un convoglio nazista”. Un terzo utente di Twitter ha chiesto a bruciapelo a Treviño se stava “approvando l’uccisione di statunitensi all’estero” e Treviño non ha lasciato spazio a dubbi: “Sicuro, se stanno dalla parte dei nostri nemici. I membri della flottiglia lo fanno.”

Tra i passeggeri, la cui uccisione da parte degli israeliani era approvata da Treviño c’erano la poetessa e autrice Alice Walker, l’anziano sopravvissuto all’Olocausto Hedy Epstein e numerosi giornalisti, tra cui Joseph Dana, inviato del The Nation.

Metterò le carte in tavola. Avevo molti amici e colleghi che hanno viaggiato su queste e altre precedenti imbarcazioni e ricevo anch’io personalmente delle telefonate che li vogliono morti. E Treviño sapeva che un anno prima le forze israeliane avevano ucciso nove civili disarmati che tentavano lo stesso viaggio a bordo della Mavi Marmara.

Il Guardian risponde

Ho scritto ai direttori del Guardian, compresa la Gibson, condividendo con loro un articolo di blog che avevo pubblicato esprimendo indignazione per il fatto che assumevano un opinionista “che ha sollecitato apertamente l’esercito israeliano a uccidere statunitensi”.

Ho anche chiesto ai direttori se erano a conoscenza delle violente dichiarazioni di Treviño e se sollecitare pubblicamente l’uccisione di quelli dalle cui posizioni si dissente è semplicemente un’altra opinione che siamo tenuti a rispettare e tollerare.

La risposta è stata deludente: “E’ nostra consolidata convinzione che la diversità delle voci è uno dei grandi patrimoni della sezione dei commenti del The Guardian” ha dichiarato l’ufficio stampa della società in una dichiarazione via email. “Confidiamo nell’aperto e robusto dibattito che siamo certi seguirà tra Josh e i lettori del Guardian,” aggiungeva la dichiarazione.

L’ufficio stampa mi ha anche trasmesso il collegamento a un pezzo scritto da Treviño – senza dubbio su sollecitazione dei suoi nuovi capi – per controbattere la crescente indignazione per i suoi appelli all’uccisione dei passeggeri della flottiglia.

Disonesto e in malafede

La reazione di Treviño, intitolata “Il mio messaggio Twitter sulla flottiglia di Gaza del 2011: un chiarimento” (da notare, non delle scuse o una ritrattazione) è un pezzo in malafede e risibile di funambolismo in cui egli diffama ulteriormente i passeggeri della flottiglia affermando che “danno aiuto ai nemici del proprio paese” e implicando che l’intera popolazione di 1,6 milioni di persone di Gaza – metà della quale costituita da bambini – costituisce un “gruppo terroristico”.

Ha sostenuto che le parole del suo messaggio non significavano quello che chiaramente significano e che i lettori avevano semplicemente frainteso.

Treviño ha affermato che non sollecitava la morte dei passeggeri della flottiglia, ma stava semplicemente dicendo che è opinione ‘corrente’ che se gli israeliani avessero ucciso cittadini statunitensi a bordo delle imbarcazioni, sarebbe stata colpa loro. “Qualsiasi lettura del mio messaggio del 25 giugno del 2011 che affermi che ho applaudito, incoraggiato o accolto con favore la morte di altri esseri umani è sbagliata e non in sintonia con la mia vita e il mio passato”, ha scritto Treviño, “Non mi scuso per le mie opinioni o la mia ideologia”.

Chi sta prendendo in giro Treviño? Non è mai riuscito a giustificare i suoi messaggi che hanno approvato attivamente l’affondamento della flottiglia e l’uccisione di compatrioti statunitensi, che egli giudicava ‘nemici’ soltanto perché cercavano di salpare per Gaza.

Né ha affrontato il fatto che, un anno prima, quando erano cominciati a circolare i primi rapporti sul massacro a bordo della Mavi Marmara, egli aveva scritto via Twitter: “Che si sia a favore della #flottiglia o contro di essa, possiamo tutti essere d’accordo su una cosa: si suoi morti sono ora con Rachel Corrie”.

Si trattava di un riferimento derisorio alla studentessa e attivista della solidarietà statunitense uccisa dalle forze israeliane d’occupazione a Gaza nel 2003 mentre tentava di bloccare la demolizione della casa di una famiglia palestinese.

“Consentitemi di essere chiaro: anche se i peggiori rapporti sulle azioni israeliani contro la #flotilla fossero veri – e ne dubito – Israele ha comunque ragione,” ha aggiunto Treviño. Treviño non aveva bisogno di aspettare nessun fatto aggiuntivo prima di concludere che Israele aveva ragione, perché ai suoi occhi Israele ha sempre ragione.

Né quella gioia apparente per l’uccisione di civili disarmati era fuori sintonia con i precedenti di Treviño quando si è trattato dell’Iraq. Nel 2007 Treviño aveva sollecitato gli Stati Uniti a seguire l’esempio dei colonialisti inglesi in Africa nella guerra contro i boeri agli inizi del 1900.

“I britannici hanno conseguito la vittoria sui boeri trasferendo in campi di concentramento le loro donne e i loro bambini” e “facendo terra bruciata della campagna”, ha scritto ammirato Treviño e ha suggerito che gli USA applicassero tattiche simili per reprimere la resistenza nell’Iraq occupato.

Che decine di uomini, donne e bambini fossero stati uccisi non era un deterrente: “Non sbagliatevi: quei mezzi sono stati crudeli”, ha scritto Treviño, “Ho detto in precedenza che approvo la crudeltà in guerra.”

E c’è la faccenduola dell’ipocrisia. Se cercare di spezzare l’assedio di Gaza o appoggiare quelli che lo fanno significa essere complici del terrorismo, come ha scritto Treviño, allora anche lo stesso Treviño ha accettato l’impiego da sostenitori del terrorismo visto che gli stessi direttori del Guardian hanno energicamente condannato l’attacco letale di Israele alla Mavi Marmara attribuendo la responsabilità del bagno di sangue ‘interamente’ a Israele.

CP Scott, il leggendario direttore del The Guar
dian dal 1872 al 1929 è famoso per aver coniato l’espressione: “I commenti sono liberi, ma i fatti sono sacri”. Che cosa farebbe delle reazioni fuorvianti di Treviño?

Che cosa sta succedendo al The Guardian?

Un collega ha suggerito che assumendo Treviño il Guardian stava tornando alle sue radici sioniste; in effetti si era fatto a lungo campione della causa d’Israele e degli insediamenti sionisti in Palestina. Potrebbe essere incidentalmente vero, tuttavia il motivo pare essere qualcosa di più banale, ma ugualmente preoccupante per il dibattito pubblico.

Il Guardian sta perdendo decine di milioni di dollari all’anno con il crollo della sua circolazione, analogo a quello di altri quotidiani. Anche se ha un pubblico enorme e in crescita in rete, deve ancora trovare un modo per generare entrate sostenibili da esso.

In un articolo approfondito sul The New Statesman di maggio, Peter Wilby ha esamina la rischiosa nuova strategia del Guardian nella sua ricerca di una via d’uscita, compresa una grande espansione negli Stati Uniti.

Per fermare le perdite che minacciano di far fallire la casa madre, Guardian News and Media, nel giro di pochi anni, il suo piano finanziario richiede che gli introiti dalla pubblicità online raddoppino a 140 milioni di dollari entro il 2016.

Tuttavia, come osserva Wilby, “nessuno è sicuro che la pubblicità sul sito web e altre entrate digitali” possano sostituire la pubblicità sulla carta stampata che tuttora rappresenta il 75% delle entrate della società, “particolarmente considerando che un marchio liberale di sinistra è uno spazio disagevole per gran parte della pubblicità diretta ai consumatori.”

La soluzione, sembra, sta nello spostarsi a destra in cerca di nuovo pubblico. “Se, ad esempio, il traffico del sito web statunitense raggiungesse i 40 milioni, entrerebbe nei programmi delle principali agenzie di pubblicità”, spiega Wilby.

La svolta a destra è già iniziata in Gran Bretagna. “Per dimostrare che il giornale si sta allontanando dalla sua nicchia di sinistra”, afferma Wilby, il direttore Alan Rusbidger “ha assunto l’ex direttore del Times [di Londra] Simon Jenkins e l’ex direttore del Telegraph Max Hastings come opinionisti.”

Treviño è semplicemente un precursore di cose che verranno. Se, alla ricerca di entrate, gli aperti appelli all’omicidio vanno ora scusati come semplice “robusto dibattito”, e chi persegue idee simili va legittimato come membro del personale editoriale, allora anche il Guardian dovrà accettare la responsabilità di qualsiasi cosa derivi da discorsi così osceni e violenti.

Il futuro dei media

Il Guardian non è il solo a combattere per operare la transizione dalla carta stampata a piattaforme in rete finanziariamente sostenibili. Percorrere la via “equa ed equilibrata” della Fox News è una risposta che efficacemente, anche se non esplicitamente, assoggetta il giornalismo agli inserzionisti e ai contabili, piuttosto che all’integrità e alla responsabilità nei confronti del pubblico.

Un altro approccio consiste semplicemente nel disporre di risorse illimitate che sbucano dal terreno sotto forma di entrate petrolifere e del gas, ma nemmeno quello è un modello che produce molta responsabilità. Come dimostrano le recenti critiche di Sultan Al-Qassemi a Al Jazeera e Al Arabiya i media sponsorizzati da governanti o da stati sono troppo spesso influenzati da fini personali o di politica estera.

Persino la BBC, un tempo risolutamente indipendente, ora appare più suscettibile alle pressioni e alle critiche del governo britannico.

E’ narrazione o adeguamento alla propaganda?

Un altro problema – illustrato anche dall’assunzione di Treviño – è la confusione di narrazioni e giornalismo con la propaganda a spese della trasparenza.

Secondo lo stesso codice editoriale del The Guardian i giornalisti e opinionisti devono rivelare il lavoro esterno e le affiliazioni organizzative che potrebbero determinare un conflitto d’interessi.

Treviño, è stato rivelato, lavora come consulente stipendiato di candidati Repubblicani a cariche elettive. Ma c’è molto di più che i lettori meritano di sapere.

Nel maggio del 2011 Treviño è stato coinvolto in una curiosa controversia in un cui un sito web della Malesia ha accusato lui e un altro blogger statunitense di gestire un sito web dal titolo Malaysia Matters, apparentemente finanziato dal primo ministro malese e da altri politici del paese per migliorare la loro immagine.

Treviño ha dichiarato al giornalista Ben Smith, allora al Politico, che la storia era ‘completamente falsa’. Ma Smith ha dichiarato che Treviño lo ha “male indirizzato”.

Anche se Smith non è stato in grado di andare a fondo dei torbidi accordi finanziari che stavano dietro Malaysia Matters, ha rivelato che nel 2008 Treviño aveva avvicinato numerosi blogger statunitensi famosi “offrendo loro visita ufficiale gratuita, da ‘una volta nella vita’, in Malesia, pagata, ha detto

in una email all’epoca, da interessi imprenditoriali associati alla politica malese.”

Quando gli è stata contestata quest’attività piuttosto strana per un giornalista, Treviño ha scritto a Smith: “Offro anche viaggi pagati in Israele”, come se fosse la cosa più normale del mondo da fare per un blogger.

I nuovi capi di Treviño al Guardian lo sanno? Sanno per conto di chi scrive Treviño, un ex membro del comitato consultivo di Act for Israel? E, cosa più importante, hanno in programma di dirlo ai loro lettori?

Ali Abunimah è autore di ‘One Country, A Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse’ [Un unico paese, una proposta audace per por fine all’impasse israelo-palestinese]. E’ cofondatore della pubblicazione in rete The Electronic Intifada e consulente politico di Al-Shabaka.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/whats-gone-wrong-at-the-guardian-by-ali-abunimah

Originale: Aljazeera

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

Ma santo cielo, quante storie! Cosa vi aspettate da uno che si chiama Joshua?
Il Guardian, poi, come tutti i giornali è un bordello di pennivendoli.
Lasciate perdree e occupatevi cose serie.
Andrea Breda


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