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Eurozona: effetto Atene, crollano le borse


Tao
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Illustrious Member
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Crisi senza fine. La Grecia non riesce a tirare fuori la testa dall'acqua. Ieri, giorno-limite per presentare le finanziarie 2015 al vaglio della Commissione. La Francia nel mirino, tenta di resistere ("decide il parlamento, non Bruxelles"), ma Macron presenta un programma di liberalizzazioni per evitare sanzioni

La Gre­cia aveva spe­rato di poter con­vin­cere part­ner Ue e mer­cati di aver intra­preso la strada del risa­na­mento, per potersi libe­rare prima del pre­vi­sto (2016) della tutela della tro­jka (Fmi, Ue, Bce), facendo coin­ci­dere la ritro­vata indi­pen­denza con la fine dell’assistenza finan­zia­ria della Ue, a fine anno. Atene spe­rava di poter aprire nel pros­simo anno la rine­go­zia­zione del debito pub­blico. Ma i mer­cati hanno rispo­sto pic­che: inquieti, anche per l’instabilità poli­tica e pos­si­bili ele­zioni anti­ci­pate nel 2015, ieri hanno fatto crol­lare le Borse euro­pee. Atene guida il crollo, ha sfio­rato meno 6, e i tassi di inte­resse per le obbli­ga­zioni a 10 anni hanno supe­rato il 7%, un record negli ultimi sette mesi. La fra­gi­lità della zona euro (unita a dei dati macroe­co­no­mici Usa non troppo favo­re­voli, con un inat­teso ribasso dei prezzi) ha fatto il resto: tutte le Borse sono state in calo, Milano ha supe­rato meno 4, Parigi meno 2,7, Lon­dra meno 1,9 e Fran­co­forte meno 2,1%. L’Eurostoxx 50 (il top delle 50 società quo­tate) è caduto a meno 2,6%. La Gre­cia, che è stata messa fuori dai mer­cati finan­ziari nel 2010, ha effet­tuato un primo ritorno nell’aprile scorso, poi di nuovo all’inizio di luglio, dove già ci sono stati segnali di scet­ti­ci­smo (ha potuto col­lo­care solo 1,5 miliardi a 3 anni al 3,5%).

Ieri, nel giorno-limite per la con­se­gna alla Com­mis­sione delle finan­zia­rie dei paesi della zona euro, i mer­cati hanno mani­fe­stato una forte inquie­tu­dine, a riprova della sovra­nità limi­tata in cui si dibat­tono ormai i governi. La Com­mis­sione adesso ha tempo fino a fine mese per un parere sulle pro­po­ste dei 18 paesi euro. Poi, se con­stata una “man­canza grave” rispetto agli impe­gni – il famoso 3% di defi­cit, in seconda bat­tuta il 60% di debito rispetto al pil – può “avver­tire” e poi chie­dere una “ret­ti­fica” al paese impu­tato. Se la rispo­sta non è giu­di­cata suf­fi­ciente, toc­cherà poi al Con­si­glio votare, a mag­gio­ranza qua­li­fi­cata, l’applicazione della “pro­ce­dura” di puni­zione. Se il paese colto in fallo è già sotto “pro­ce­dura per defi­cit ecces­sivo” (Fran­cia, Spa­gna, Irlanda, men­tre Ita­lia e Ger­ma­nia ne sono uscite) allora dovrà rea­gire in tempi pre­cisi per cor­reg­gere lo scarto. L’ultima tappa, che non è mai stata appli­cata a nes­suno, è la san­zione, con pena­lità finan­zia­rie pesanti (prima un depo­sito pari allo 0,2% del pil, che verrà resti­tuito quando gli impe­gni del Fiscal Com­pact ver­ranno rispet­tati, poi la multa, tra lo 0,2 e lo 0,5% del pil, che sarà decisa a mag­gio­ranza qua­li­fi­cata rove­sciata: cioè ci vorrà una mag­gio­ranza qua­li­fi­cata per respin­gere la san­zione, come dire una cosa impossibile).

Alla Gre­cia è stata subito rimessa la testa sotto l’acqua. Ma altri paesi sono nel mirino. Oltre all’Italia, c’è in prima fila la Fran­cia. Parigi ha pre­sen­tato una finan­zia­ria che sfora i para­me­tri: il defi­cit sarà del 4,3% nel 2015 (4,4% quest’anno), mal­grado 21 miliardi di tagli (che sali­ranno a 50 in tre anni). La Com­mis­sione e Ber­lino fanno pres­sione per­ché il governo Valls si rav­veda. Il mini­stro delle finanze, Michel Sapin, ribatte a Bru­xel­les: “la sovra­nità spetta al par­la­mento”, che que­sta set­ti­mana ha comin­ciato a discu­tere il pro­getto di finan­zia­ria. Sapin afferma che la Fran­cia non chie­derà un trat­ta­mento di favore a Bru­xel­les, ma spiega che la Com­mis­sione deve tener conto della con­giun­tura sfa­vo­re­vole e lasciare mag­giore fles­si­bi­lità e più tempo in un periodo senza cre­scita con una forte disoc­cu­pa­zione. Per cal­mare la fronda socia­li­sta con­tro un bilan­cio di auste­rità, che per di più non basta a Bru­xel­les e Ber­lino, il governo afferma da un lato che non aumen­terà i tagli, ma dall’altro il mini­stro dell’economia, Manuel Macron, ha pre­sen­tato ieri un pro­getto di legge di libe­ra­liz­za­zioni (lega­liz­za­zione del lavoro la dome­nica e di sera, lotta alle cor­po­ra­zioni – far­ma­cie, den­ti­sti, pro­fes­sioni giu­ri­di­che, auto­bus) per cer­care di otte­nere il via libera dalla Com­mis­sione. Nella spe­ranza che la Ger­ma­nia, minac­ciata dalla reces­sione, inve­sta (per le pro­prie infra­strut­ture). Ma il mini­stro dell’economia, Wol­fgang Schäu­ble, gela le spe­ranze di Parigi: la cre­scita non si ottiene “fir­mando degli asse­gni”. Per Ber­lino, l’equilibrio di bilan­cio, che la Ger­ma­nia pre­vede nel 2015 – la prima volta dal ’69 – resta un assioma.

Anna Maria Merlo
Fonte: www.ilmanifesto.it
15.10.2014


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