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Finkelstein su Gandhi, Occupy, WikiLeaks, Israele-Palestina.


fasal75
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Originale italiano con link: http://znetitaly.altervista.org/art/7476

di Norman Finkelstein e James Green – 3 settembre 2012

Il 25 agosto 2012 la televisione satellitare Occupy Brooklyn ha intrattenuto Norman Finkelstein – dissidente politico e studioso di fama mondiale del conflitto israelo-palestinese – per parlare di Gandhi, del movimento Occupy, di Julian Assange, della crisi economica e del possibile attacco israeliano all’Iran. Quella che segue è una trascrizione di tale conversazione.

James Green: Grazie per aver accettato questa intervista con la televisione Occupy Brooklyn. Sono particolarmente interessato a parlare con te di questo nuovo libro che hai scritto su Gandhi e hai dedicato al movimento Occupy. Puoi parlarcene e dirci perché hai deciso di dedicarlo a Occupy?

Norman Finkelstein: Ho iniziato il libro diversi anni fa, forse tre o quattro anni fa ormai, quando cercavo di approfondire la strategia più prudente per cercare di por fine all’occupazione israeliana dei territori palestinesi, la West Bank, Gaza, Gerusalemme Est. E ho pensato che lo spazio di saggezza cui rivolgermi potesse essere vedere cosa avesse da dire Gandhi sull’argomento. Gli indiani subivano un’occupazione, nel loro caso l’occupazione dell’India. Sia gli indiani sia i palestinesi si confrontano con grandi potenze regionali e internazionali; nel caso dell’India, di nuovo, gli inglesi. Nel caso dei palestinesi gli israeliani e giusto dietro gli israeliani, gli statunitensi. Ed era anche parecchio evidente, o dovrebbe essere evidente a questo punto, che i palestinesi non hanno un’opzione armata. La loro unica opzione reale, se vogliono sperare di conseguire il loro obiettivo, è un qualche genere di resistenza civile o di disobbedienza civile non violenta. E così, per tutte queste ragioni, sembrava che la persona ovvia cui guardare fosse Gandhi. Si presume che la nonviolenza sia piuttosto semplice: non si usa la violenza. E Gandhi sembra, almeno superficialmente, una persona piuttosto semplice. Così tu vedi una persona semplice, un’ideologia semplice, e non devi leggere molto per immaginare la cosa. Ma in realtà, con un minimo di riflessione, la cosa non è così semplice. E volevo vedere come ragionava Gandhi per controbattere a tante delle ovvie obiezioni e argomentazioni contro la sua dottrina. E così ho cominciato a leggere la sua opera completa.

E’ stata un’impresa più formidabile di quanto mi aspettassi all’inizio. La sua opera completa arriva a qualcosa come 98 volumi. Ciascun volume ha circa 500 pagine. Un sacco di letture.

JG: Hai trovato qualcosa che in precedenza non sapevi e che pensi sia utilmente applicabile al problema palestinese?

NF: Beh, sono due domande separate. La prima: ho trovato qualcosa che non sapevo prima? In effetti ho trovato molto che non sapevo prima. Gandhi è tutt’altro che trasparente per quanto riguarda la sua dottrina. Quello che ha da dire è parecchio complicato, anche se non lo esprime mai chiaramente. Non esiste una specie di guida al Satyagraha, quello che lui definisce il Satyagraha nonviolento. Non c’è una guida per esso. Lui pensava che la guida migliore fosse la sua esperienza concreta. Dunque quello che ha da dire è molto contraddittorio. Molto di ciò che dice non si riesce a conciliarlo, ma ci sono parti che possono essere conciliate. E si può mettere insieme un quadro più o meno coerente di quel che ha da dire, tenendo presente che ogni sua affermazione può risultare contraddetta altrove. Ma se ci si prova, se si fa un tentativo in buona fede, si può mettere insieme una dottrina parecchio coerente. Molta di essa, direi probabilmente l’ottanta per cento di quello che ha avuto da dire, non rappresenta una sorpresa per me. Poi c’era un secondo aspetto nella tua domanda e precisamente cosa è utile per i palestinesi. Sì, ho trovato cose che erano utili per cercare di capire la situazione palestinese. Anche, più generalmente, movimenti come quello Occupy. Ho pensato che abbia delle intuizioni interessanti.

JG: Quali sono queste cose che hai trovato, o quelle intuizioni?

NF: Direi che per me l’intuizione più importante, nel leggere Gandhi, è stata … io vengo da una tradizione politica, risalgo agli anni ’70 e mi considero parte di quella tradizione politica molto più lunga che risale a Marx, poi alla seconda internazionale, poi all’internazionale comunista, alla terza internazionale. Dunque tutta quella tradizione marxista. E la tradizione marxista fondamentale, e so che suonerà molto rude. Ogni volta che si parla di fondamentali e si cerca di ridurre una gran quantità di pensiero scritto e un’enorme esperienza storica. Ma non penso sia scorretto dire che la tradizione marxista consisteva significativamente in questa avanguardia di persone che conoscevano la verità. La loro verità è, come si soleva dire … è scientifica. E’ prevedibile e suscettibile di analisi ragionevoli e razionali quanto lo sono le leggi della fisica. E questa verità l’abbiamo chiamata marxista, alcuni di noi l’hanno chiamata marxista-leninista, alcuni di noi che sono ancor più settari l’hanno chiamata marxismo-leninismo-maoismo. Si dà il caso che io appartenga alla terza categoria. E avevamo la scienza dalla nostra parte. E si supponeva che noi uscissimo a illuminare le masse ignoranti che soffrivano di ogni genere di afflizioni. Eravamo usi chiamare la sofferenza per tutte queste afflizioni falsa coscienza o feticismo dei consumi. E si supponeva che noi portassimo loro la verità. E portassimo luce dove c’era l’oscurità. Illuminazione dove c’era confusione. E via discorrendo. E quella era la nostra ragion d’essere politica. Gandhi aveva una visione molto diversa della politica. Per Gandhi la politica non era illuminare le masse in sé, ma indurle ad agire riguardo a ciò che già sapevano essere sbagliato. Che una persona tipica, tu, io, dal momento in cui ci si alza al mattino alla fine della giornata guardiamo con occhio critico quel che ci circonda. Si dice, quello è sbagliato, quello è scorretto, quello è ingiusto, quella cosa non dovrebbe essere così. Abbiamo una litania intera d’ingiustizie che osserviamo ed esprimiamo un qualche genere di sdegno o d’indignazione interiore nel corso di ciascuna giornata. E la maggior parte dell’indignazione è reale, è legittima. Non si tratta di fantasticherie. Ma per Gandhi la sfida consisteva non nel portare illuminazione riguardo all’ingiustizia del mondo. La gente conosce già le ingiustizie. Il problema è farla agire riguardo a ciò che già sa che è sbagliato. E lo scopo della politica, in particolare della disobbedienza civile nonviolenta, era per Gandhi che si presumeva dovesse agire da stimolante per pungolare la gente, pungolare gli spettatori indignati ma ancora passivi, spingerli all’azione. Far sì che facciano qualcosa a proposito di ciò che già sanno essere sbagliato.

Causa lunghezza del pezzo
Continua sul link
http://znetitaly.altervista.org/art/7476


Citazione
yakoviev
Noble Member
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Consiglio, per approfondire le tematiche di Ghandi e della "non-violenza", il libro di Domenico Losurdo ("La Non Violenza"). Nel merito dell'articolo, su cui ci sarebbe parecchio da discutere, mi limito a rilevare meramente che gli inglesi sfruttavano l'India e gli indiani, e la presenza di questi ultimi nel ruolo di sfruttati era indispensabile. Gli israeliani, invece, vogliono principalmente che i palestinesi periscano e/o se ne vadano, per poter mettere in quei territori i loro "coloni", come del resto già fanno. Questa circostanza fa si che le strategie (presunte) "non violente" di tipo ghandiano, o di sola disobbedienza civile, perdano efficacia già in partenza.


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fasal75
Reputable Member
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grazie per il consiglio.

L'intervista, per quanto mi riguarda, è davvero interessante (anche se lunga).
Non sempre condivisibile ma fatta da una persona di notevolissima caratura.
Di recente, peraltro, ha avuto pesanti "scazzi" con quelli del BDS.

Nel merito dei tuoi appunti mi sentirei di condividere.


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