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Guerra al pianeta


fasal75
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Guerra alla terra

David Barsamian intervista Vandana Shiva

Giugno 2011

Di: David Barsamian

Vandana Shiva è la voce internazionale a favore dello sviluppo sostenibile e della giustizia sociale. E’ una fisica, studiosa, attivista sociale e femminista. Dirige la Fondazione per la ricerca, la tecnologia e la politica delle risorse naturali a Nuova Delhi; ha avuto il premio Right Livelihood, che è il Nobel alternativo. E’ autrice di molti libri, tra i quali cito: Water Wars (Guerre per l’acqua), Earth Democracy (Democrazia della terra) e Soil Not Oil (Suolo, non petrolio).

BARSAMIAN: Quando lei ha ricevuto il Sidney Peace Prize (Premio Sidney per la pace) nel novembre 2010, ha detto: “Quando pensiamo alle guerre attuali, la nostra mente va all’Iraq e all’Afghanistan, ma c’è una guerra più grande, la guerra attuale contro la terra. Questa guerra ha le sue radici in un’economia che non riesce a rispettare i limiti ecologici ed etici.” Mi parli di questa guerra.

SHIVA: Questa guerra si è combattuta in India, per esempio, in tutta l’India, dovunque ci siano minerali che si trovano dove ci sono foreste dove vivono le popolazioni tribali. E la guerra è alimentata proprio dagli investitori-speculatori che hanno provocato il crollo dell’economia mondiale. Bisogna ricavare un’enorme quantità di denaro dai minerali di ferro e dall’estrazione della bauxite. E poi, per aumentare il consumo, usare sempre di più queste risorse non rinnovabili.

Fino a 20 anni fa, l’India non aveva mai avuto discariche, ma le nostre leggi ora vogliono che passiamo dall’uso di 1 kg. a 15 kg di alluminio per persona. Quindici chili moltiplicati per un miliardo di Indiani vuol dire che si dovrà scavare ogni montagna, che ogni foresta dovrà essere distrutta. Questo genera una guerra contro la natura perché devasta l’ecosistema. E’, però, anche una guerra contro la gente, perché ogni diritto umano deve essere violato e si deve creare un’economia di guerra, nel vero senso della parola.

Lei dice che la guerra contro la terra inizia nella mente: Come succede?

Nel momento in cui si ha una terra dove i sistemi si sostengono reciprocamente, dove i sistemi delle foreste creano i sistemi del tempo e quelli dell’acqua, dove il suolo ci fornisce il cibo, una visone del mondo riduttiva, meccanicistica fa a pezzi quella natura che è tutta collegata. Questo fare a pezzi, questo riduzionismo, è l’inizio della guerra nelle nostre menti.

Questo “eco-imperialismo”, come lo chiama lei, lo possiamo far risalire a 200 anni fa?

Tutto questo è una sinergia tra il colonialismo, la conquista del Sud(del mondo, n.s.t.) e il definire noi, la gente del Sud come se non fossimo del tutto umani. La conquista della natura fatta che è fatta ridefinendola come materia morta, inerte, che si può manipolare. E’ stata anche una conquista dell’aspetto femminile di ogni società. La caccia alle streghe è stata parte di questa conquista in America e in Europa perché la caccia non era alle donne che erano streghe ma alla conoscenza olistica e alla competenza delle donne. La tripla colonizzazione in realtà risale soltanto a pochi secoli fa e ha raggiunto il suo limite. Ma coloro che ci guadagnano, sia in potere che in denaro, vorrebbero spingere quel limite ancora un po’ più oltre mercificando ogni aspetto della natura.

Ci sono crisi multiple che il nostro pianeta deve affrontare. Sono abbastanza ovvie e collegate tra loro: il cambiamento del clima, il cibo e la crisi economico/politica.

Queste interconnessioni di fatto si sono intensificate negli ultimi due anni. Vediamo che la crisi politica ha creato il disfacimento dell’economia. La gente normale che lavora sodo ne sta pagando il prezzo, talvolta con la propria vita.

La crisi finanziaria è quindi legata alla crisi energetica perché un’economia guidata dal combustile fossile può proseguire il suo percorso di crescita convertendo la terra vivente in petrolio invece che trovare un’economia alternativa basata sulle fonti non rinnovabili; vorrebbero prendere le energie rinnovabili e trasformarle in non rinnovabili. Tentare di impadronirsi dei biocarburanti è parte di questo. E impadronirsi dei biocarburanti porta a impadronirsi della terra in Africa. Tutto questo sta creando catastrofi provocate dal clima, che poi si riflettono?? nella precarietà del cibo. Il 2010 ha quindi visto incendi in Russia, alluvioni in Pakistan, alluvioni e poi cicloni in Australia dove c’erano stati 6 anni di grave siccità.

Nel frattempo, il medesimo gioco d’azzardo finanziario specula sul cibo come bene economico aumentandone i prezzi, e questo è un grosso problema della politica indiana. Recentemente, nove partiti dell’opposizione si sono uniti per combattere l’aumento dei prezzi. Siamo vincolati a queste interconnessioni di un circolo vizioso dove ogni crisi ne alimenta un’altra e i bio imperialisti che vogliono usare le risorse del pianeta per guadagnarci e per ampliare il loro potere, ora usano la crisi che hanno creato loro stessi per dire: “Va bene, acchiappiamoci l’Africa, i terreni coltivabili in India. Acchiappiamo gli ultimi minerali, mercifichiamo ogni briciola di cibo e di grano su questo pianeta,” senza rispondere mai alla domanda: “Che cosa accade all’80% dell’umanità? “

La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) ha detto che i prezzi del cibo nel 2010 sono stati i più alti della storia.

Nel 2008 c’è stato un picco dei prezzi del cibo che nel 2010 è salito ancora perché in quell’anno c’è stata una reale penuria di cibo dovuta alle catastrofi climatiche unita a una scarsità artificiale creata dalla speculazione. E quando ci sono due forze che insieme fanno alzare i prezzi e queste sono strutturali, ogni governo che dice :”Oh, il mese prossimo il tempo sarà bello” o “ci sarà il raccolto” , non si rende conto di due cose. Una è che l’agricoltura globalizzata e anche i sistemi operati da combustibili fossili ci hanno dato il caos climatico. Non è un problema del futuro, non è un dibattito futuro su che cosa accadrà tra 100 anni. La gente sta morendo oggi. La seconda cosa che non capiscono è che i politici stanno ancora tentando di replicare a queste crisi come se vivessero in stati nazionali isolati, mentre essi stessi hanno firmato un patto del WTO che si collega al sistema alimentare globale, il che vuol dire che un problema che c’è in una parte del mondo si trasmette al resto del mondo – o che sia una speculazione o un danno climatico.

Lei ha citato l’Australia dove ci sono stati: siccità, alluvioni, cicloni. Questo tempo estremo è un’anomalia o fa parte di un modello che vedremo sempre più spesso?

Il caos climatico è un modello ed è questo il motivo per cui sono riluttante a usare le parole: “riscaldamento globale”; in quel caso, infatti, se c’è una nevicata chi è scettico sul clima che cambia dice: “Oh, questo è il raffreddamento globale? Non ve lo avevamo detto?” Come se le temperature crescessero dappertutto e non come invece dicono gli scienziati esperti di clima: le temperature medie su tutto il pianeta aumentano. Seconda cosa: quando si parla di “cambiamento del clima” troverete altri scettici che dicono: “Oh, ci adatteremo. E le spiagge in Svezia diventeranno come quelle dei Tropici, non è meraviglioso?” Oppure: “L’Inghilterra diventerà più calda, coltiveremo la vite e diventeremo una nazione vinicola.” Questo genere di stupidità non tiene conto che anche in l’Inghilterra nevica e si resta bloccati per settimane perché non è una nazione dove normalmente nevica molto e non ha quindi nessun impianto per ripulire dalla neve l’aeroporto londinese
di Heathrow.

Molti Americani dubitano seriamente che ci sia davvero il riscaldamento globale e il cambiamento di clima. Lei ha studiato il problema, lei è una scienziata. La scienza è affidabile?

Ci sono quattro motivi per i quali dobbiamo prendere sul serio la scienza che studia il clima. Non sono soltanto uno o due scienziati o una singola disciplina. L’Intergovernamental Panel on Climate Ch’ange, IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti del cambiamento climatico) è un gruppo di 2.500 scienziati specialisti in numerose discipline.* Nella storia dell’umanità mai 2.500 scienziati, esperti di diversi aspetti dell’ambiente, delle risorse, del pianeta, del clima e dell’atmosfera avevano messo insieme le loro competenze. Il gruppo è stato creato nel 1988.

Qualsiasi ecosistema con un peso aggiuntivo avrà un diverso comportamento. Un fiume troppo inquinato diventa un fiume morto. Un’atmosfera troppo inquinata comincerà ad avere caratteristiche diverse: troppa neve dove non ce ne dovrebbe essere affatto, e niente pioggia dove dovrebbe esserci. Tutta questa imprevedibilità deve essere considerata un fenomeno all’interno del quale vivono le persone.

I problemi minerari sono problemi fondamentali in India. C’è il problema del Monte Niyamgiri in Orissa, India orientale. Lei ci è stata. Mi parli di questo, del motivo per cui è importante e della gente che lo respinge e che vi si oppone..

Parlano di qualche cosa che si chiama il racconto dell’India che è il racconto indiano dell’India è un racconto costruito sulla delocalizzazione del software, che ha creato la Silicon Valley di Bangalore. La parte che però non si racconta mai della storia dell’India è la delocalizzazione di materiali inquinanti e l’estrazione delle risorse. Mentre, quindi le industrie dell’alluminio e dell’acciaio hanno cessato l’attività in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone, il consumo di questi articoli viene incrementato ulteriormente insieme a tutto ciò che tiene in movimento questa economia globale. L’alluminio è di importanza vitale e la bauxite è il materiale grezzo da ci si ricava l’alluminio:

La Vedanta, una società che ha sede nel Regno Unito ma che è di proprietà di un Indiano, voleva estrarre minerali su una montagna che si chiama Niyamgiri, che significa “la montagna che difende la legge sacra”. Niyam significa ‘legge’ e giri significa ‘montagna’. Le tribù più antiche che appartengono alla popolazione dei Dongria Kondh vivono su questa montagna da tempi immemorabili. Si sono opposti all’estrazione della bauxite. Malgrado questo, la Vedanta è riuscita a installare un impianto di raffinamento e una fonderia nella valle e ancora più giù. A causa delle proteste, non sono mai riusciti ad arrivare alla bauxite, sebbene i tribunali e il Ministero dell’ambiente fossero stati manipolati.

Il fatto interessante è che c’è un altro impianto in Orissa che si chiama Posco. E’ un impianto coreano per l’acciaio, ma la nostra ricerca ci mostra che in realtà è proprietà di Wall Street. La maggioranza delle azioni sono proprietà del Citygroup e della JPMorgan Chase Bank. La Banca mondiale ha imposto la privatizzazione di questo impianto durante la crisi finanziaria del Sud Est asiatico. Vogliono 4.000 acri *(1 acro= 4046,856 mq.) di costa con un porto vincolato e un’area verde. Poi, naturalmente, vogliono le miniere. La maggior parte del minerale di ferro andrà direttamente in Corea e in Cina. Una parte verrà trasformato in una zona di esportazione e sarà anche esso esportato.

Può dirmi come è possibile vendere i fiumi?

La manifattura sia dell’alluminio che dell’acciaio sono procedimenti che richiedono grandi quantità di energia localizzata, di risorse localizzate e grandi quantità di acqua. Il corso di interi fiumi è stato deviato per permettere la manifattura dell’acciaio e dell’alluminio. Il fiume Shivnath a Chhattisgarh scorre attraverso aree tribali. Usiamo i fiumi per lavare i panni e per lavarci. I nostri bufali e le nostre mucche scendono al fiume. Il fiume ricarica tutte le falde acquifere nei suoi dintorni. 22 chilometri del fiume Shivnath sono stati privatizzati per portare l’acqua all’acciaieria di Jindal e la gente non può più accedere all’acqua del fiume, né alle falde acquifere dei loro campi e dei loro pozzi.

E’ una situazione molto simile a quella della privatizzazione dell’acqua in Bolivia dove, quando l’impresa Bechtel si è trovata di fronte alla resistenza della gente ha detto loro: “Non potete avere quest’acqua sul vostro tetto, non potete prendere l’acqua dal vostro pozzo.” E la gente della Bolivia ha replicato:”Allora siete voi adesso i proprietari della pioggia e delle falde acquifere?” Ecco che cosa ha detto la gente di Chattisgarh. Si è dovuto cancellare il progetto. E’ stato un trasferimento legale di un fiume a un’impresa privata.

La privatizzazione de facto si sta attuando dovunque. Considerate la Vedanta: la loro fabbrica di alluminio ha completamente deviato il corso del fiume Indravati che scorre verso sud; lo hanno deviato a nord, lo hanno fatto confluire in un fiume che si chiama Hati che è poi servito questa enorme fonderia di alluminio. La famiglia Tata, quando ha ingrandito la sua fabbrica di Jamshedpur, ha costruito delle dighe su due affluenti del fiume Suvernareka e il 100% dell’acqua era per Jamshedpur. Abbiamo lottato contro la privatizzazione dell’acqua di Delhi che doveva portare l’acqua fino in Himalaya dalla diga di Theri e l’impresa francese Suez doveva venderla a 10 volte in più del prezzo normale che paghiamo per l’acqua. Sia che i progetti siano per una città o per un impianto per l’alluminio, hanno così tanta sete che devono rubare l’acqua alla gente e alla natura.

Questa altra storia dell’economia emergente, il gigante con il 9% di crescita, è un’invenzione dell’élite indiana e dell’èlite globale. E l’élite globale, naturalmente ha fatto girare la storia della globalizzazione perché ha bisogno del successo del modello globale, del libero commercio, delle economie guidate dalle grandi imprese. Devono vendersi sempre queste storie.

Prima hanno provato a venderla in tutti i paesi del sud-est asiatico. Vi ricordate che c’è stato un periodo in cui le Tigri e i draghi dell’Asia orentale erano le icone della globalizzazione. Nel 1997 questo è crollato. L’Occidente era la loro icona che è crollata dopo il 2008.E se quindi questa falsa storia della globalizzazione e del controllo delle grandi imprese deve continuare, dovranno avere qualche nuova icona. E si stanno attaccando disperatamente all’India di oggi che ha sempre più miliardari, ma anche gente che è diventata sempre più povera. In India attualmente abbiamo alcune delle persone più ricche del mondo. I fratelli Ambani, i Mittal, e Anil Agarwal che risiede in Inghilterra che usano la storia dell’India come una componente minore della storia della globalizzazione.

Nessuno, però, racconta la storia che tutto questo ha portato metà dei bambini indiani a una grave malnutrizione, che 1 Indiano su 4 soffre la fame. Che le guerre per la terra si combattono tra poveri che vogliono difendere il loro pezzetto di terra di un quarto di acro contro i più ricchi che sono impegnati in una grossa conquista di terra.

L’accordo sul Trattato di Copenhagen che riguarda il cambiamento del clima avrebbe dovuto portarci al livello susseguente di patti legalmente vincolanti per abbassare le emissioni perché il periodo del Protocolla di Kyoto stava terminando, le catastrofi climatiche stavano peggiorando ed era necessario fare qualche cosa. E invece il presidente Obama è arrivato, ha maltrattato altre 4 nazioni: Cina, India, Sud Africa e Brasile e ha firmato l’accordo di Copenhagen che è un non-accordo in termini di impegni legalmente vincolanti.

Il mondo è in attesa di
un altro paradigma, un’altra visione del mondo, un altro modo di mettere al centro la nostra vita. Ne ha bisogno l’Occidente perché la sua economia sta crollando. Il Sud ne ha bisogno per impedire che le proprie economie vengano totalmente cancellate, perché credo che sono le culture che definiscono i diritti sulla terra quelle che devono affrontare le lotte più dure per i loro diritti. L’ho visto in tutti i movimenti a favore della terra. la terra.

C’è una relazione tra il capitalismo e il degrado ambientale?

C’è un rapporto molto stretto tra la crescita del capitalismo e il saccheggio della natura, perché il capitalismo ha collocato la ricchezza nel capitale che è soltanto un’idea, è nell’immaginazione umana. Ha dato potere a color che possedevano il capitale per iniziare a possedere le risorse della Terra. La privatizzazione dei fiumi, la privatizzazione e il brevettare i semi, (è alla base del mio lavoro per l’iniziativa che si chiama Navdanya),* la privatizzazione dell’atmosfera per commerciarne le emissioni, tutte queste privatizzazioni difendono i diritti del capitale e gli permettono di espandere il suo controllo, perché il capitale è un concetto astratto.

Vista l’urgenza, mi sembra che gli individui siano limitati in quello che possono fare e che è necessaria un’azione collettiva.

Quello di cui abbiamo bisogno sono degli individui che agiscano consapevolmente come membri della società e come insiemi. E’ necessario che ognuno faccia due cose e la prima è un cambiamento di mentalità. Se queste guerre sono guerre della mente, allora la pace deve avvenire nella mente, la pace con la natura e pace tra di noi. Creare economie locali vive, un movimento che abbiamo cercato di costruire tramite Navdanya, e che è molto forte negli Stati Uniti, una cosa in cui la gente può iniziare a impegnarsi da oggi. Se non lo faranno, non avranno nessun ambito a cui rivolgersi. I nostri calcoli dimostrano che anche se le imprese globali hanno il potere di arrivare alle ultime risorse, riescono a produrre impiego soltanto per il 3% dell’umanità. Non si può avere un sistema dove il 100% delle risorse sono proprietà di 15/20 grandi imprese e il 3% sono assunti da loro in modo che continuino a rubare le ricchezze del pianeta. E’ necessario quindi avere a disposizione altri modi per mezzo dei quali la gente possa prendersi cura di se stessa.

Non si può fare individualmente. Si può iniziare il cambiamento nella propria mente, ma dare forma ad altre economie e trovare altri modi per strutturare la società deve essere un’impresa collettiva, perché ciò che è stato ucciso dalla privatizzazione dell’economia ha riguardato un’identità collettiva, quella alla quale siamolegati. Quello che diceva Margaret Thatcher: “Non esiste la società, ci sono soltanto individui” fa parte di quel mercato dell’individualismo che ci atomizza, ci rende soli, isolati e ci dice che non c’è un posto a cui rivolgerci.
Come Evo Morales che ha rimosso la censura sui diritti della Madre Terra, così l’India è una civiltà basata sul riconoscere la Terra come sistema vivo, come sostegno alla nostra esistenza, e la pace con la Terra come nostro dovere.
Questa antica preghiera mi è sempre stata di ispirazione. E’ presa dalla Sutra Bhoomi dell’Athara Veda. Dice:

Possa esserci pace con lo spazio e i cieli
Pace con l’atmosfera
Pace con le acque.
Possa esserci pace con le erbe, le piante, gli alberi.
Possano tutti gli esseri divini essere pervasi dalla pace.
Possa la pace che pervade tutto il creato
Essere con voi.

David Barsamian è il fondatore e direttore di Alternative Radio. E’ autore di numerosi libri scritti con Noam Chomsky. Howard Zinn, Tariq Ali e Edward Said. I suoi più recenti sono: What we say goes (Ciò che diciamo si realizza) e Targeting Iran (Fare dell’Iran un obiettivo).

*Navdanya: vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Navdanya

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza vive

• vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Intergovernmental_Panel-on-Climate-Change

TRADUZIONE DI MARIA CHIARA STARACE


Citazione
AlbaKan
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 2015
 

A proposito dello "sviluppo sostenibile e della giustizia sociale"...

AREE VERDI PALESTINESI, OLTRE IL 70%COMPROMESSE
In occasione della Giornata Mondiale dell'Ambiente, l'ufficio statistiche palestinese lancia l'allarme: oltre il 70% delle foreste, in Cisgiordania come a Gaza, sono aree compromesse. Lo si deve in gran parte all'occupazione israeliana e alle politiche di confisca della terra.

Un nuovo documento presentato domenica dall’Ufficio Statistiche centrali palestinese (PCBS) in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, mette in luce come il 70,7 % delle aree verdi del territorio palestinese, in Cisgiordania come a Gaza, siano aree fortemente danneggiate e compromesse.

Non è un caso che il documento sia stato reso pubblico proprio domenica, in occasione dell’anniversario della Naksa palestinese. Secondo le statistiche infatti, la maggior parte delle aree verdi, che facevano parte del territorio palestinese sono diventate aride dopo il 1967, come conseguenza dell’occupazione israeliana e delle politiche aggressive contro la terra e le risorse palestinesi; e solo in una percentuale minore, tale danneggiamento si deve ad un ipersfruttamento da parte palestinese.

Dal 1970 le autorità israeliane, fa notare la ONG palestinese con base a Betlemme ARIJ, hanno proibito qualsiasi nuova attività di riforestazione nella Cisgiordania, al contrario di quanto avveniva precedentemente. Inoltre la maggior parte delle foreste e aree verdi sono state confiscate, per lo più dichiarate aree militari chiuse: si tratta del 93% del totale delle foreste palestinesi. La maggior parte dell’opera distruttiva contro aree verdi e foreste è quindi attribuibile all’occupazione israeliana, in particolare attraverso la costruzione di campi militari( 2%), di colonie (77%) e di by-pass road cioè le strade ad uso esclusivo dei coloni (1%). Un solo esempio, forse il più eloquente: la collina verde di Abu Ghneim, tra Gerusalemme Est e Beit Sahour, divorata dalla colonia di Har Homa, che costruita a partire dagli anni ’90, ha fatto scomparire le risorse naturali palestinesi, lasciando enormi palazzi, abitazioni private ma anche strutture turistiche ricettive, che nell’ottica dei tour operator israeliani dovrebbero gradualmente sostituire le strutture alberghiere palestinesi di Betlemme.

Solo per una percentuale pari al 14%, il degrado o la scomparsa delle foreste si deve all’ipersfruttamento da parte palestinese, cioè il taglio di alberi per la produzione di legname da un lato o per far spazio ad aree destinate a pascolo. Il restante 6% infine è attribuibile al cambio di proprietà dei terreni.

Secondo il documento di PCBS, l’impronta ecologica, che consiste nell’indice statistico utilizzato per misurare la richiesta umana di natura, è nei territori palestinesi, la più bassa nella regione. La capacità biologica, ovvero il totale delle risorse che una data area può fornire, dovrebbe, in condizioni normali essere equivalente all’impronta biologica per mantenere un equilibrio dell’ecosistema; ma quando l’impronta ecologica supera la capacità biologica, ne deriva una scarsezza delle risorse naturali. L’impronta ecologica del territorio palestinese si attesta su 0,74 ettari pro-capite, vale a dire che ogni individuo che vive sul territorio palestinese consuma risorse “verdi” equivalenti a 0,74 ettari; mentre la capacità biologica corrisponde a 0,16 ettari pro-capire, quindi dando vita a un deficit d 0,58 ettari, un deficit quindi di risorse naturali; un valore bassissimo se lo si confronta con quello di altri paesi della regione, la Giordania per esempio che ha 1,81.

Fonte:
http://www.nena-news.com/?p=10517


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