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Israele e l'Iran nella campagna elettorale di Romney


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Il Medio Oriente entra nella campagna elettorale americana. Il candidato repubblicano Mitt Romney ha interrotto la sua campagna elettorale, nel bel mezzo della cruciale competizione per alcuni stati chiave come Ohio, Florida e Virginia, per recarsi in un viaggio di alcuni giorni che lo ha portato a Londra, per proseguire poi per la Polonia, e quindi in Israele, dove arriva non casualmente in coincidenza con la celebrazione del Tisha B'Av, la festività ebraica che commemora la distruzione del primo e del secondo Tempio di Israele.

Proprio all'inizio del suo viaggio, Romney ha rilasciato un'importante intervista al giornalista Ari Shavit del quotidiano israeliano Haaretz, nella quale ha rinnovato la sua posizione di falco nei confronti dell'Iran:
"Ho detto in passato e posso ripetere ora - ha affermato, che è essenziale che l'Iran non diventi nucleare. Un Iran nucleare rappresenta la più grande minaccia a livello mondiale, agli Stati Uniti ed all'esistenza di Israele. Un Iran nucleare significherebbe che Hezbollah o altri attori sarebbero potenzialmente in grado un giorno di ottenere materiale fissile che potrebbe minacciare il mondo. Cinque anni fa [2007], in un discorso alla Conferenza di Herzliya, ho proposto sette punti che ritenevo fossero necessari per impedire che l'Iran diventasse nucleare. Questi includevano sanzioni durissime, l'incriminazione del presidente Mahmoud Ahmadinejad per incitamento al genocidio, supporto ai protagonisti del dissenso in Iran e lo sviluppo di opzioni militari concrete, come ultima soluzione da adottare. Continuo a credere che questi principi sono vitali e sono forse oggi ancora più urgenti."
Oltre a ribadire il rapporto fondamentale degli Stati Uniti con Israele, come ritualmente fanno tutti i candidati alla presidenza degli Usa, Romney ha definito la sua opinione in merito alla soluzione della questione israelo-palestinese, affermando senza mezzi termini la priorità della caratterizzazione etnico-religiosa dello Stato ebraico, un'affermazione a sostegno dell'identità ebraica della Palestina particolarmente impegnativa in questa fase di stallo delle trattative per una pace duratura:

"Credo in una soluzione a due Stati che indichi che ci saranno due Stati, compreso uno Stato ebraico. Io rispetto il diritto di Israele a restare uno Stato ebraico. La questione non è se la gente nella regione ritiene che dovrebbe esserci uno Stato palestinese. La questione è se credono che dovrebbe esserci uno Stato di Israele, uno Stato ebraico."
Molto netta poi anche la presa di posizione del candidato repubblicano in merito alle modalità con cui egli intenderebbe difendere gli interessi israeliani in sede internazionale:

"Se sarò presidente, non ci saranno confronti tra le nostre Nazioni - ha detto al giornalista israeliano, dinanzi alle istituzioni internazionali. Non vi saranno pubbliche denunce di Israele da parte degli Stati Uniti dinanzi alle Nazioni Unite. I vicini amici e nemici di Israele sapranno che siamo dalla parte di Israele. Credo che questa è la sola maniera per ottenere la pace, lavorando per Israele, non creando distanze fra Israele e l'America".

Queste affermazioni sono particolarmente interessanti perché dimostrano che la lotta fra i due candidati presidenti, che al momento risultano quasi pari nei sondaggi, si sta concentrando sull'acquisizione del voto della lobby israeliana negli Usa, il cui voto storicamente è stato spesso determinante: basta ricordare il caso di Carter, che nel 1980 perse le elezioni contro Reagan per la sua posizione anti-israeliana. Oggi la posizione di Obama in merito al fatto che a Gerusalemme Israele debba restare entro i confini anteriori alla guerra dei Sei Giorni, proprio quando lo Stato ebraico sta favorendo la proliferazione di nuovi insediamenti, potrebbe danneggiarlo altrettanto gravemente.

Infatti, un sondaggio effettuato in aprile dal Public Religion Research Institute ha rilevato un calo del favore degli Ebrei americani verso Obama dal 78% nel 2008 al 62%; in giugno, poi, il Siena College ha mostrato che il vantaggio di Obama su Romney nelle intenzioni di voto della comunità ebraica di New York, che ha un ruolo di primo piano negli Usa, si è ridotto ad appena l'8%.

Non per caso, forse, il New York Times, lo scorso 7 aprile, ha pubblicato un articolo, che ha peraltro suscitato molte polemiche, nel quale si celebrava la quasi quarantennale amicizia di Romney con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, da quando nel 1976 i due futuri uomini politici si conobbero lavorando presso la Boston Consulting Group.

Gaetano Colonna
Fonte: www.clarissa.it
28.07.2012


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Cagliostr0
Eminent Member
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Post: 48
 

sinceramente mi sembra che sia già stato postato, ma qui c'è un link http://www.youtube.com/watch?v=llZAqR-mob4 per capire meglio la questione delle lobbies israeliane...se non ti inginocchi sei fuori...scandalosi.


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helios
Illustrious Member
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Roma, 28 luglio 2012, Nena News - Le campagne per le presidenziali americane includono l'abituale gara a chi promette di più a Israele e Barack Obama e il suo rivale Mitt Romney non fanno eccezione. A poche ore dalla visita del candidato repubblicano Mitt Romney a Gerusalemme, Obama ha firmato una legge che rafforza la cooperazione militare con Israele. Lo Stato ebraico riceverà «materiali» e avrà accesso a una maggiore cooperazione nel settore della sicurezza. In totale sono 70 milioni di dollari in più e serviranno a sviluppare anche il sistema anti-razzo Iron Dome. E sempre allo scopo di eclissare la visita di Romney, Obama ribadirà il suo impegno a favore di Israele in una cerimonia alla Casa Bianca.

Tuttavia la partita per la conquista dei voti della comunità ebraico-americana è ancora lunga. E Romney preferisce stare in attacco. Lo sfidante repubblicano punta sull'appoggio aperto al raid israeliano contro le centrali atomiche iraniane. Tenta di prendere in contropiede un Obama che gioca ancora la carta delle sanzioni per costringere Tehran a sospendere la produzione dell'uranio arricchito che, secondo Usa e Israele, serve a produrre ordigni nucleari (l'Iran nega).

Romney perciò stasera arriva in Israele forte dell'intervista rilasciata al quotidiano Haaretz nella quale insiste affinchè non venga scartata «l'opzione militare» (la guerra), anche se resta «la meno desiderabile». «L'opzione militare deve essere soppesata e deve essere pronta qualora tutte le altre strade non avessero successo», ha dichiarato Romney aggiungendo che un Iran nucleare rappresenterebbe un pericolo potenziale anche per gli Stati Uniti perché «materiale fissile potrebbe raggiungere organizzazioni come gli Hezbollah». E durante la sua visita l'ultraconservatore repubblicano non mancherà di sottolineare che nei quattro anni di presidenza Obama non si è mai recato in Israele.

In Israele comunque arrivano, sempre più spesso, gli inviati del presidente Usa. La settimana prossima è atteso di nuovo il Segretario alla difesa Leon Panetta, due settimane dopo una visita analoga del Segretario di Stato Hillary Clinton. Al centro dei colloqui tra il premier Netanyahu e Panetta ci saranno la guerra civile siriana e la questione del nucleare iraniano. E a voler dar credito a quanto scrivono i giornali israeliani, Netanyahu e il suo ministro della difesa Ehud Barak sono decisi, persino più che in passato, ad attaccare l'Iran in tempi stretti, entro qualche mese.

«La miglior difesa è l'attacco», premier e ministro hanno ripetuto in coro in questi ultimi giorni. Si è appreso inoltre che i reparti militari responsabili per i trasporti rapidi di materiali bellici da nord a sud del paese hanno effettuato nelle scorse settimane manovre senza precedenti. La febbre del raid anti-Iran è talmente alta che persino la recente repentina uscita (dopo un clamoroso rapido ingresso) del partito «centrista» Kadima dalla coalizione di governo non sarebbe legata a dissensi col premier sulla riforma del servizio di leva ma piuttosto ai piani di guerra di Netanyahu e Barak. «Kadima non si farà imbarcare in alcuna avventura operativa che possa mettere a rischio il futuro dei nostri figli e delle nostre figlie, il futuro di tutti i cittadini d'Israele», ha spiegato Shaul Mofaz, il leader di Kadima, che tra l'altro è iraniano di nascita.

Le apparenti riserve di Mofaz sull'ipotesi di un raid contro l'Iran rispecchia quelle manifestate esplicitamente da diversi veterani d'alto rango dell'intelligence e delle forze armate israeliane: a cominciare dall'ex capo del Mossad Meir Dagan e dall'ex capo di stato maggiore Gaby Ashkenazi. E ieri Amos Harel, in un lungo articolo pubblicato da Haaretz, riferiva di colloqui avuti con cinque comandanti militari, incontrati separatamente, tutti preoccupati dalle intenzioni bellicose di Netanyahu e Barak. Per il premier e il ministro della difesa però l'Iran ha superato il «punto di non ritorno» e va colpito, anche se l'attacco aereo causerà danni contenuti agli impianti iraniani (alcuni dei quali sotterranei) e scatenerà un nuovo conflitto devastante in Medio Oriente. Nena News

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=31323&typeb=0&Romney-in-Israele-soffia-su-fuoco-guerra-all%27Iran


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