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Taiwan, i Chip e la guerra prossima ventura


PietroGE
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Topic starter  

La dipendenza del mercato globale dalla produzione dei chip in Taiwan è a dir poco preoccupante, visto che una guerra per il suo controllo da parte della Cina sembra probabile nel breve periodo. Tutto questo mentre il mondo continua a fidarsi che i chip taiwanesi, i quali sono presenti in quasi tutta la tecnologia civile e parte di quella militare, continueranno ad essere prodotti e venduti. Quale che sia lo scenario geopolitico più probabile, ora la gente scopre i danni della globalizzazione e dell'illusione che le dinamiche nazionali non possano influenzare il mercato internazionale, proprio quel mercato che è stato per decenni il 'vitello d'oro' della economia occidentale internazionalizzata e finanziarizzata. Ora si cerca di correre ai ripari, e la prima nazione a emanciparsi dalla dipendenza taiwanese è proprio la Cina, ma un cambiamento radicale dell'approvvigionamento richiede tempo e investimenti miliardari. 

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https://it.insideover.com/difesa/bombe-sulle-fabbriche-di-chip-il-piano-usa-in-caso-di-guerra-a-taiwan.html?_ga=2.97629407.1397402982.1684346844-1601676273.1621627919&_gl=1*1y9amh5*_ga*Nzk3Nzc1MjU0LjE2ODI1ODkxNzg.*_ga_ENZ2GEXW4Y*MTY4NDU4NjIzMi45Mi4xLjE2ODQ1ODY2MTMuMC4wLjA.

I semiconduttori hanno consentito a Taiwan di ritagliarsi un ruolo primario nello scacchiere geopolitico mondiale. Taipei produce il 60% di tutti i semiconduttori mondiali, il 90% dei più avanzati. Nel 2017, le tre principali aziende taiwanesi, Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (Tsmc), United Microelectronics Corp (Umc) e Powerchip Technology Co), hanno realizzato, da sole, il 70% della fabbricazione globale dei circuiti integrati. Numeri imponenti, che non possono non essere esclusi dalle tensioni che coinvolgono l’isola, la Cina, e gli Stati Uniti. Anche perché, qualora dovesse scoppiare una guerra tra i tre attori citati, a quel punto il settore andrebbe in tilt, con enormi ripercussioni per tutta la catena di approvvigionamento mondiale....

La domanda da un milione di dollari è sempre la stessa ormai da mesi: che cosa potrebbe accadere ai semiconduttori, nel caso in cui la Cina dovesse lanciare un’offensiva militare nel tentativo di riannettere de facto quella che Pechino ritiene essere una “provincia ribelle”? Le sensazioni non sono affatto buone. Ma basterebbe molto meno di un eventuale danneggiamento delle aziende strategiche taiwanesi – ad esempio un blocco commerciale attuato da Pechino attorno all’isola – per far andare in tilt il mondo intero, privandolo dei chip necessari al sostentamento della vita quotidiana.

Al momento, Taipei si affida ad un salvagente non da poco. La Cina, come ha sottolineato lo Stimson Center, può produrre solo il 6% dei chip necessari per alimentare la propria industria dell’elettronica di consumo. Il Dragone si affida quindi a fornitori esterni, in particolare alla Tsmc per coprire il 70% del deficit. Allo stesso tempo, l’azienda taiwanese produce, su contratto, anche il 92% dei chip più avanzati progettati dalle società di semiconduttori statunitensi.
Da questo punto di vista, due sono le ombre che minacciano i semiconduttori taiwanesi. A fronte di un’ipotetica invasione cinese, da un lato Pechino potrebbe prendere il controllo dei chip di Taipei ed utilizzare l’intero settore nei modi che desidera – anche limitando o stoppando le esportazioni verso Paesi rivali – mentre dall’altro, gli Stati Uniti potrebbero paradossalmente pensare di distruggere le fabbriche di semiconduttori taiwanesi, pur di non farle finire nelle mani del Dragone. In entrambi i casi, l’assicurazione sulla vita di Taiwan, che coincide con l’industria dei chip, cesserebbe di esistere.

La possibile distruzione delle aziende taiwanesi dei chip da parte degli Usa è altamente improbabile ma plausibile. L’ipotesi è stata rilanciata nelle ultime ore da svariati media, ma non è certo una novità. L’idea originaria deriva da un’affermazione di Robert O’Brien, consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump.

“Gli Stati Uniti e i loro alleati non lasceranno mai che quelle fabbriche cadano nelle mani dei cinesi”, dichiarava O’Brien, lo scorso marzo, al Global Security Forum organizzato dal Soufan Center di Doha, in Qatar, paragonando la possibile distruzione delle fabbriche da parte di Washington a quando, nella Seconda guerra mondiale, Winston Churchill ordinò la distruzione della flotta navale francese dopo che la Francia si arrese alla Germania.

In ogni caso, già nel 2021 lo Us Army War College ragionava sull’ipotesi della terra bruciata. “Per iniziare, gli Stati Uniti e Taiwan dovrebbero elaborare piani per una strategia mirata di terra bruciata che renderebbe Taiwan non solo poco attraente se dovesse essere presa con la forza, ma decisamente costosa da mantenere”, si legge nell’articolo in questione. E ancora: “Questo potrebbe essere fatto in modo più efficace minacciando di distruggere le strutture appartenenti alla Taiwan Semiconductor Manufacturing Company, il più importante produttore di chip al mondo e il più importante fornitore della Cina. Samsung con sede in Corea del Sud (un alleato degli Stati Uniti) è l’unica alternativa”.

Nell’agosto del 2022, il principale produttore di chip cinese, Semiconductor Manufacturing International Corp (Smic), ad esempio, è riuscito a compiere un importante progresso tecnologico, iniziando ad utilizzare il processo a 7 nanometri per produrre i semiconduttori, e raggiungendo così una presunta maturità tecnologica. Sempre alla fine della scorsa estate Smic informava che i processi per realizzare i semiconduttori a 14 nm erano entrati nella fase di produzione di massa. Ebbene, con una produzione autoctona di chip a 14 nm, la Cina sarebbe in grado di alimentare i chip della propria industria di consumo anche nel caso in cui l’accesso a chip più avanzati – leggi: chip taiwanesi – dovesse essere completamente interrotto.


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