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Una formula fallita per la guerra in tutto il mondo


fasal75
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Italiano originale con link: http://znetitaly.altervista.org/art/8263

Di Nick Turse

26 ottobre 2012

Sembravano una banda di giganti bacucchi. Vestiti con in modo informale, ma elegante: camicie classiche, maglioni e jeans —e incongruenti pantofole azzurre da ospedale, camminavano a grandi passi intorno “al mondo”, fermandosi ad accarezzarsi il mento, e a meditare su questa o quella probabile crisi. Tra di loro c’era il generale Martin Dempsey, Capo dello Stato maggiore congiunto, in jeans e camicia con il colletto abbottonato, senza una medaglia o un nastrino in vista, con le braccia conserte, lo sguardo fisso. Aveva un piede ben piantato in Russia, l’altro in parte del Kazakistan, e tuttavia il generale non aveva lasciato gli accoglienti confini della Virginia.

Per varie volte, questo anno, Dempsey, gli altri capi del suo stato maggiore, e i comandanti si sono riuniti presso la base del Corpo dei marines a Quantico, per condurre un seminario futurista su: la guerra vera incontra quella teorica, incentrato sulle necessità delle forze armate nel 2017. A Quantico, una gigantesca carta geografica del mondo, più grande di un campo di pallacanestro, era spiegata sul pavimento, in modo che i grandi capi del Pentagono potessero spostarsi intorno al pianeta – purché indossassero delle coperture per le scarpe che impedivano le rigature, – mentre pensavano a “possibili vulnerabilità delle forze armate statunitensi in conflitti futuri (così ha detto uno partecipante al New York Times). La vista di quei generali con il mondo sotto i piedi era un’immagine che si adattava bene alle ambizioni militari di Washington, alla sua propensione per gli interventi in terre straniere, e al suo disprezzo per i confini (non degli Stati Uniti), e alla sovranità nazionale.

Uno mondo molto più grande di un campo di pallacanestro

Nelle settimane recenti, alcuni dei frutti dei “seminari strategici” di Dempsey, cioè le missioni militari lontane dai confini di Quantico, sono ripetutamente ricomparse nei notiziari. A volte sepolte nel testo di una storia, talvolta come titoli, gli articoli attestano la propensione del Pentagono per i viaggi in giro per il mondo. In settembre, per esempio, il Luogotenente generale Robert L. Caslen, Jr., ha rivelato che soltanto qualche mese dopo che i militari statunitensi si erano ritirati dall’Iraq, un’unità delle Forze per le Operazioni speciali era stata già reimpiegata là con un ruolo consultivo, e che c’erano in corso negoziati per accordarsi sull’invio di un maggior numeri di soldati per addestrare le forze irachene in futuro. Lo stesso mese, l’amministrazione Obama ha ottenuto l’approvazione del Congresso per spostare i finanziamenti destinati all’aiuto al contro terrorismo in Pakistan, a un nuovo progetto assegnato con delega alla Libia. Secondo il New York Times, le Forze per le Operazioni speciali è probabile che vengano impiegate per creare e addestrare un’unità di commando di 500 uomini per combattere i gruppi islamici militanti che sono diventati sempre più potenti in seguito alla rivoluzione del 2011, aiutata dagli Stati Uniti in quella nazione.

All’inizio di questo mese, il New York Times ha riferito che le forze armate statunitensi avevano inviato in segreto una nuova unità militare con una missione specifica in Giordania per assistere le truppe locali a reagire alla guerra civile nella vicina Siria. Soltanto vari giorni dopo, quel quotidiano ha rivelato che i recenti tentativi da parte degli Stati Uniti di addestrare e aiutare le forze sostitutive nella guerra alla droga, stavano già andando in pezzi tra un crescendo di domande sulla morte di innocenti, le violazioni della legge internazionale e sospetti di violazioni di diritti umani da parte degli alleati honduregni.

Poco dopo questi eventi, il Times ha riferito la notizia sconfortante anche se non certo sorprendente, che l’esercito su delega che gli Stati Uniti hanno costruito in Afghanistan per più dieci anni, è, secondo gli ufficiali, “così tormentato da diserzioni e da bassi tassi di ri-arruolamnto, che devono sostituire un terzo delle sue forze ogni anno.” Ora vengono regolarmente fuori voci che all’orizzonte ci sia una possibile guerra delegata finanziata dagli Stati Uniti nel Mali settentrionale dove gli islamisti legati ad al-Qaeda hanno conquistato vasti tratti di territorio: ancora un altro risultato dell’intervento in Libia dello scorso anno.

E questi erano i tentativi compiuti all’estero che sono arrivati sulla stampa. Molte altra azioni militari degli Stati Uniti all’estero rimangano in gran parte segrete. Diverse settimane fa, per esempio, del personale statunitense è stato dislocato in Burundi in modo molto discreto per mettere in atto tentativi di addestramento in quella piccola nazione dell’Africa Orientale, che non ha sbocco sul mare e che è estremamente povera. Un altro contingente di addestratori dell’esercito e dell’aviazione statunitense è diretto verso il Burkina Faso – un altro paese senza sbocco sul mare e povero come il Mali – per istruire le locali forze armate.

A Camp Arifjian, una base americana in Kuwait, le truppe statunitensi e quelle locali, hanno indossato maschere antigas e tute protettive per condurre un addestramento di tipo chimico, biologico, radiologico e nucleare. In Guatemala, 200 Marine del Distaccamento Martillo, hanno completato un dislocamento durato mesi per aiutare le forze della marina locale e le forze dell’ordine, nei tentativi di vietare la droga.

Nelle foreste tropicali delle Filippine, i Marine si sono uniti alle truppe scelte filippine per addestrarle alle operazioni di combattimento nella giungla e per aiutarle a migliorare le loro abilità di cecchini. I Marine di entrambe le nazioni anche si sono anche lanciati dagli aeroplani, a circa 3.000 m, sulle isole dell’arcipelago, per tentare di migliorare la “interoperatività” delle loro forze. Nel frattempo, nella nazione del Sud Est asiatico di Timor Est, i Marine hanno addestrato le guardie che proteggono l’ambasciata e la polizia militare alle “tecniche di conformità”, per bloccare qualcuno, come prese che procurino dolore e manipolazione di punti di pressione degli arti; hanno addestrato anche i soldati alle guerre nelle giungla, come parte dell’esercitazione Crocodilo 2012.

L’idea che motiva i “seminari strategici” di Dempsey era di pianificare per il futuro, di immaginare come rispondere in modo appropriato ai vari tipi di sviluppo in angoli remoti del globo.

E nel mondo reale le forze statunitensi stanno mettendo le bandierine preventive sulla carta geografica gigante – dall’Africa, all’Asia, all’America Latina, al Medio Oriente. Superficialmente, l’impegno globale, le missioni di addestramento, e le operazioni congiunte sembrano abbastanza razionali. E il grande quadro di insieme della pianificazione di Dempsey sembra un modo sensato di analizzare soluzioni per future minacce alla sicurezza nazionale.

Ma quando si considera come il Pentagono opera realmente, questi giochi di guerra hanno senza dubbio qualche cosa di assurdo. Dopo tutto, le minacce globali si dimostrano essere di qualsiasi dimensione immaginabile, dalle frange dei movimenti islamici in Africa, alle bande della droga messicane. Quanto precisamente essi minaccino davvero la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti, è spesso oscuro -oltre qualche ‘se lo dici tu’ di qualche consigliere o generale della Casa Bianca E qualsiasi alternativa si presenti nei seminari di Quantico, la replica “sensata” invariabilmente risulta essere l’invio dei marine, o dei SEAL, o dei droni, o di alcuni delegati locali. In verità non c’è bisogno di trascorrere una giornata spostandosi intorno a una gigantesca ca
rta geografica, e indossando babbucce azzurre, per riuscire a comprendere tutto.

In un modo o nell’altro, le forze armate statunitensi sono ora impegnate con la maggior parte delle nazioni della terra. I loro soldati, comandi, addestratori, costruttori di basi, coloro che azionano i droni, spie, trafficanti di armi, e anche relativi sicari e contractor che lavorano per le grosse imprese, si possono trovare ora in quasi tutto il pianeta. Il sole non tramonta mai sulle truppe americane che conducono operazioni, addestrano gli alleati, armano i sostituti, addestrano il loro stesso personale, comprano nuove armi ed equipaggiamenti, sviluppano nuove dottrine, attuano nuove tattiche e raffinano le loro arti marziali. Gli Stati Uniti hanno i sottomarini che pescano nelle profondità salmastre, e le unità speciali dell’aviazione che attraversano gli oceani e i mari, i droni robotici che volano in continue missioni e aerei con piloti che perlustrano i cieli, mentre, sopra di loro, gravitano satelliti spia che sbirciano giù sugli gli amici e i nemici.

Fino dal 2001, le forze armate statunitensi hanno investito tutto nei loro arsenali, eccetto le armi nucleari: armamenti, tecnologia, tangenti, (l’hai detto) per una serie di nemici notevolmente deboli -gruppi relativamente piccoli di combattenti scarsamente armati in nazioni impoverite come l’Iraq, l’Afghanistan, la Somalia e lo Yemen – senza sconfiggerne nessuno in maniera definitiva. Con le tasche capienti e le vaste possibilità, la loro tecnologia e il loro acume per l’addestramento, e anche con la devastante potenza distruttiva a loro disposizione, le forze armate statunitensi dovrebbero avere il pianeta sotto controllo. Dovrebbero, con tutto il diritto, dominare il mondo proprio come i sognatori neo conservatori dei primi anni di Bush avevano presunto che sarebbe accaduto.

Tuttavia, dopo più di dieci anni di guerra, non sono riusciti ad eliminare gli insorti afgani straccioni con scarso appoggio popolare. Hanno addestrato le forze armate afgane da tempo note per le loro scarse prestazioni – prima di diventare più note per le uccisioni dei loro addestratori americani. Hanno speso anni e innumerevoli milioni di dollari delle tasse sui redditi per scovare vari ecclesiastici sobillatori, vari “luogotenenti” terroristi, e una schiera di militanti senza nome appartenenti ad al-Qaida, soprattutto nell’entroterra del pianeta. Invece di cancellare quella organizzazione e i suoi imitatori, tuttavia, sembra principalmente che ne abbiano facilitato l’esclusiva in tutto il mondo.

Allo stesso tempo, sono riusciti a presentare delle deboli forze regionali come, per esempio, la al-Shabaab della Somalia, come minacce globali, poi a incentrare le loro risorse per sradicarle, soltanto per fallire nell’esecuzione del compito. Hanno buttato via milioni di dollari per il personale, l’equipaggiamento, gli aiuti e di recente perfino per le truppe che avevano il compito di debellare i trafficanti di droga di basso livello (e anche i principali cartelli della droga), senza far diminuire il flusso di narcotici diretto a settentrione verso le città e i sobborghi americani.

Spendono miliardi per i servizi segreti soltanto per trovarsi poi al buio. Hanno distrutto il regime di un dittatore iracheno e hanno occupato il suo paese soltanto per essere portati a un punto morto dei combattimenti dagli insorti locali armati male e male organizzati, poi superati in abilità dagli alleati che avevano collaborato a mettere al potere, e respinti senza complimenti dal paese (anche se adesso stanno iniziando a farsi strada per tornarci). Spendono milioni di dollari per addestrare ed equipaggiare l’elite dei SEAL della marina per combattere contro avversari poveri, non addestrati, dotati di armi leggere, come i pirati Somali che vanno in giro armati di pistole.

Come non cambiare in un mondo che cambia

E questa non è neanche la metà di tutto questo.

Le forze armate statunitensi divorano denaro e tuttavia ne restituiscono poco sotto forma di vittorie.

Il loro personale forse è tra i più dotati e meglio addestrati del pianeta, le loro armi e tecnologia sono le più sofisticate e avanzate che siano in circolazione. E quando si tratta di bilanci per la difesa, esse spendono di più delle nove più grandi nazioni messe insieme (la maggior parte delle quali sono in ogni caso nostri alleati), non parliamo poi dei loro nemici: i Talebani, al-Shabaab, o al-Qaeda nella Penisola Arabica, ma nel mondo reale della guerra questo finisce per equivalere a molto poco.

In un governo pieno di organismi regolarmente derisi per i loro sprechi, la loro inefficienza e per i miseri risultati prodotti, il loro curriculum forse è insuperato in termini di sprechi e di fallimenti completi, sebbene questo fatto sembri non turbare quasi nessuno a Washington. Per più di dieci anni, le forze armate statunitensi sono rimbalzati da una dottrina fallimentare a un’altra. C’era l’esercito in soluzione leggera” di Ronald Rumsfeld, seguito da quello che si poteva definire pesante (anche se non ha mai avuto un nome), che è stato sostituito dalle “operazioni contro insurrezionali” del generale David Petraeus (note anche con il suo acronimo COIN). Questo, a sua volta è stato seguito dalla scalata dell’Amministrazione Obama ai futuri trionfi militari: una combinazione, con una “traccia leggera” costituita da operazioni speciali, droni, spie, i soldati, guerra cibernetica, combattenti per procura: qualunque fosse il metodo usato, una cosa è stata costante: i successi sono stati effimeri, molte le sconfitte, frustrazioni è il nome del gioco e la vittoria è MIA (Missing in action): Scomparsa durante l’azione militare.

Convinti, tuttavia, che trovare proprio la formula giusta per applicare la forza in modo globale è la chiave del successo, le forze armate statunitensi attualmente contano su quel piano in sei punti. Domani potrebbero pensare a una diversa mescola di guerra in versione leggera. Strada facendo, da qualche parte sperimenteranno indubbiamente qualche cosa di più pesante. E se la storia può in qualche modo farci da guida, la contro insurrezione, un concetto che è mancato agli Stati Uniti in Vietnam e che è stato resuscitato soltanto per cadere di nuovo in Afghanistan, un giorno tornerà di moda.

In tutto questo, dovrebbe essere ovvio, manca una curva del progresso di apprendimento. Qualunque soluzione dei problemi bellici dell’America, richiederà indubbiamente il tipo di rivalutazione fondamentale della guerra verso cui forse nessuno a Washington potrebbe essere disponibile in questo momento. Ci vuole di più dei pochi giorni trascorsi a spostarsi su una grande carta geografica indossando ripari di plastica per le scarpe.

I politici americani non si stancano mai di esaltare le virtù delle forze armate statunitensi che ora sono di solito acclamate come “le migliori forze combattenti nella storia del mondo.” Questa rivendicazione sembra in contrasto con la realtà in modo grottesco. A parte i trionfi su non-potenze come la piccola isola di Grenada e Panama, la piccola nazione dell’America Centrale, il curriculum delle forze armate statunitensi fin dalla seconda guerra mondiale, è stata una litania di delusioni: stallo in Corea, sconfitta totale in Vietnam, fallimenti in Laos e in Cambogia, sconfitte in Libano e in Somalia, , due guerre contro l’Iraq (entrambe terminate senza una vittoria), più di dieci anni di perdita di tempo in Afghanistan, ecc.

Forse qualche cosa che somiglia alla legge di diminuire le ricompense è in preparazione. Più tempo, sforzi e denaro gli Stati Uniti investono nelle forze armate e nelle loro avventure militari, più debole è il loro vantaggio, In questo contesto, l’impressionante potere di distruzione di quell’esercito può non essere per nulla importante, se è incaricato di fare cose che il potere mi
litare, come è stato concepito tradizionalmente, forse non è più in grado di fare.

Il successo non potrebbe essere possibile, qualunque siano le circostanze, nel ventunesimo secolo, e la vittoria non potrebbe essere neanche un’opzione. Invece di tentare ancora una volta di trovare esattamente la formula giusta o perfino di reinventare la guerra, e la loro ragione di essere, se dovrà mai uscire da questo lungo ciclo di fallimenti.

Ma non contateci.

Aspettatevi, invece, che i politici continuino a colmarli di lodi, che il Congresso continui ad assicurare finanziamenti a livelli che sconcertano l’immaginazione, che i presidenti continuino a applicare la forza diretta, ai complessi problemi geopolitici (anche se in modi leggermente diversi), che i commercianti di armi continuino a produrre armi strabilianti che si dimostrano tutt’altro che fantastiche e che il Pentagono continui a non riuscire a vincere.

Uscendo dall’ultima serie di fallimenti, le forze armate degli Stati Uniti si sono buttate a capofitto in un altro conflitto globale – chiamatelo cambiare faccia all’impero – ma non aspettatevi che un cambiamento delle armi, delle tattiche, della strategia, o perfino della dottrina provochi un cambiamento dei risultati. Come dice l’adagio: più le cose cambiano, più esse rimangono uguali.

Nick Turse è direttore associato di TomDispatch.com.e membro del Nation Insitute. Ha vinto dei premi di giornalismo e i suoi articoli sono apparsi sul Los Angeles Times, The Nation e regolarmente su TomDispatch. E’ autore/curatore di diversi libri, compreso quello pubblicato di recente: Terminator Planet:The First History of Drone Warfare, 2001-2050 (insieme a Tom Engelhardt), [Il pianeta terminator: la prima storia della guerra con i droni, 2001-2050). Questo articolo è il terzo della sua nuova serie sul cambiamento dell’impero americano che è statosostenuto dalla Fondazione Lannan. Potete seguirlo su su Tumbir.

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su TomDispatch.com, un weblog del Nation Institute, che offre un flusso continuo di fonti alternative, notizie e opinioni da parte di Tom Engelhardt, direttore editoriale, co-fondatore dell’American Empire Project, autore del libro : The End of Victory Culture (La fine della cultura della vittoria) e anche del romanzo: The Last Days of Publishing (Gli ultimi giorni dell’editoria). Il suo libro più recente è: The American way of War:How Bush’s Wars Became Obama’s (Haymarket Books) ( Lo stile bellico Americano: come le guerre di Bush sono diventate quelle di Obama).

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/a-failed-formula-for-worldwide-war-by-nick-turse

Originale: TomDispatch.com

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY – NC-SA 3.0


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