Italiano originale con link (numerosi): http://znetitaly.altervista.org/art/8247
di Simon Butler – 27 ottobre 2012
Le Nazioni Unite hanno avvertito che le riserve mondiali di grano sono scese a livelli critici mentre i prezzi mondiali del cibo sono saliti a livelli prossimi a quelli del 2008, un anno in cui hanno avuto luogo rivolte per il cibo in più di 30 paesi.
L’economista dell’Organizzazione dell’ONU per l’Alimentazione e l’Agricoltura, Abdolreza Abbasian, ha dichiarato il 13 ottobre all’Observer: “Non abbiamo prodotto quanto abbiamo consumato. E’ per questo che le scorte si sono andate riducendo. Le forniture sono molto limitate in tutto il mondo e le riserve sono a livelli molto bassi, non lasciando spazio, nell’anno prossimo, a eventi inattesi.”
Oggi circa una persona su otto, nel mondo, non ha abbastanza da mangiare e 2,5 milioni di bambini muoiono ogni anno di fame. Il 9 ottobre l’ONU ha diffuso il suo rapporto 2012 sulla Situazione dell’Insicurezza Alimentare nel Mondo. Il rapporto afferma che nei paesi poveri circa il 15% della popolazione – circa 850 milioni di persone –soffre la fame. Altri 15 milioni di persone nei paesi sviluppati sono malnutrite.
Il rapporto afferma che, rispetto alla fine degli anni ’90, è stato fatto qualche progresso nel ridurre la fame, ma ammette: “La maggior parte dei progressi, comunque, è stata realizzata prima del 2007-08. Da allora i progressi globali nella riduzione della fame sono rallentati e si sono stabilizzati.”
I più recenti picchi dei prezzi del cibo minacciando di riportare alla fame un numero maggiore di persone.
Il piccolo gruppo di multinazionali del cibo che monopolizza il mercato alimentare mondiale si sta posizionando per trarre il massimo vantaggio dalla crisi.
La fame e l’insicurezza alimentare sono una pacchia per le grandi industrie. Nel corso della “Grande Fame del 2008”, le grandi industrie alimentari, come Monsanto, ADM, Bunge e Cargill, hanno registrato enormi profitti.
In agosto il direttore delle transazioni agricole commerciali presso la mega società di intermediazione di materie prime Glencore, Chris Mahoney, ha affermato: “Il contesto è buono. Prezzi alti, un mucchio di volatilità, un mucchio di dislocazioni, tensioni, un mucchio di opportunità di arbitraggio.”
Jodie Thorpe, della Oxfam UK, ha dichiarato all’Independent che la Glencore stava “approfittando della miseria e delle sofferenze dei poveri che sono i più colpiti dai prezzi elevati e volatili degli alimenti … il commento della Glencore che ‘gli alti prezzi e una grande volatilità e dislocazione’ sono ‘una buona cosa’ ci offre un raro squarcio del mondo poco noto delle imprese che dominano il sistema alimentare globale.”
L’ONU ha affermato che prezzi mondiali del cibo hanno fatto un balzo del 6% a luglio e sono cresciuti di un altro 1,4% a settembre. Il gigante alimentare Cargill ha annunciato l’11 ottobre di aver quadruplicato, rispetto all’anno scorso, il risultato del trimestre luglio-agosto, registrando utili per 975 milioni di dollari.
La società di consulenza Maplecroft ha pubblicato il 10 ottobre il suo Indice di Rischio della Sicurezza Alimentare, affermando che tre quarti dei paesi africani vanno incontro a un rischio alto o estremo di fame diffusa l’anno prossimo. Somalia, Burundi, Chad, Etiopia e Sudan meridionale sono tra le nazioni africane incluse nella categoria a rischio estremo.
Il rapporto afferma che anche Haiti e l’Afghanistan sono a rischio estremo di “carestia e disordini sociali originati da mancanza di cibo e da fluttuazioni dei relativi prezzi.” Helen Hodge, di Maplecroft, ha dichiarato a Al Jazeera: “Le previsioni dei prezzi del cibo per il 2013 propongono un quadro preoccupante.”
L’Ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari ha pubblicato l’11 ottobre il suo Indice della Fame Globale. Afferma che venti paesi hanno livelli di fame “estremamente allarmanti”. In cima alla lista ci sono il Burundi, l’Eritrea e Haiti.
L’ondata di caldo da record di quest’anno negli Stati Uniti – il maggior produttore di grano del mondo – assieme agli scarsi raccolti di grano nell’Europa Occidentale (dovuti alle forti piogge) e in Russia e Ucraina (a causa della siccità) spiegano in parte i recenti picchi dei prezzi.
Gli eventi atmosferici estremi, come la siccità di quest’anno negli USA, diventeranno sempre più comuni in un mondo più caldo. La diffusione dell’agricoltura industriale, che consuma quantità enormi di combustibili fossili e di fertilizzanti che producono gas serra, è anch’essa un grande motore del cambiamento climatico.
In questo modo il sistema alimentare moderno contribuisce a minare la sicurezza alimentare futura del mondo.
Un altro grande fattore che spiega gli alti prezzi del cibo è il continuo utilizzo di cibo per alimentare automobili anziché persone.
Nonostante l’ondata di caldo che ha spazzato via così gran parte del raccolto di grano di quest’anno, il governo statunitense non ha fatto nulla per ridurre la quantità di grano – circa il 40% della produzione – che sarà utilizzata per produrre biocombustibili.
Nel luglio del 2008 il Guardian ha pubblicato un documento interno fatto filtrare dalla World Bank che affermava che la produzione di biocombustibili aveva portato a un aumento del 70% del prezzo del cibo.
Anche la speculazione finanziaria sui mercati alimentari globali ha mantenuto il cibo fuori della portata dei poveri. Dopo il collasso della bolla dei mutui sub-prime nel 2008, gli operatori presi dal panico hanno trasferito trilioni di dollari dal comparto immobiliare a quello del mercato delle materie prime alimentari, spingendo i prezzi al rialzo.
L’associazione Amici della Terra – Europa ha affermato in un rapporto diffuso a gennaio che le banche e gli intermediari finanziari, da quando è iniziata la crisi economica mondiale, si sono dati al gioco d’azzardo con le materie prime alimentari.
“L’enorme aumento della speculazione finanziaria ha fatto sì che i prezzi non siano mossi solo dalla domanda e dall’offerta, ma anche, in misura crescente, dalle azioni degli speculatori finanziari e dall’andamento dei loro investimenti. Una speculazione eccessiva ha forzato l’aumento dei prezzi del cibo negli anni recenti e ha aumentato la frequenza e la scala della volatilità dei prezzi.”
Le perdite e gli sprechi di cibo sono un altro grande problema. L’Organizzazione dell’ONU per l’Alimentazione e l’Agricoltura afferma che ogni anno va sprecato il 45% di tutta la frutta, verdura, radici e tuberi. Le perdite si aggirano sul 30% per i cereali e il pesce, intorno al 20% per la carne e al 15% per i latticini.
Il direttore esecutivo di Food First [Il cibo innanzitutto], Eric Holt Gimenez, ha scritto in maggio sullo Huffington Post che la crisi alimentare mondiale non è dovuta al fatto che non ci sia abbastanza cibo disponibile. In realtà la produzione di cibo negli ultimi venti anni ha sorpassato la crescita globale della popolazione.
“Il mondo produce già più di una volta e mezza del cibo necessario per alimentare tutti sul pianeta. Ce n’è abbastanza per alimentare dieci miliardi di persone, il picco della popolazione atteso per il 2050. Ma quelli che guadagnano meno di due dollari il giorno – la maggior parte dei quali è costituita da contadini poveri di risorse che coltivano piccoli appezzamenti di terra impraticabili – non possono permettersi di comprare questo cibo.”
Mettete insieme questi fattori e il quadro è chiaro. La fame moderna non è una conseguenza del
la scarsità di cibo, bensì della povertà, della disuguaglianza e del controllo del sistema alimentare da parte dell’industria.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/corporations-profiting-out-of-food-crisis-by-simon-butler
Originale: Green Left Weekly
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0