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Venezuela: Natale


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"Natale: un messaggio che dovrebbe scuoterci"
La storia di don Angelo Treccani, missionario ticinese in Venezuela dove dal 1983 si occupa di un progetto a favore dei ragazzi in difficoltà.

di Ilaria Sargenti - 24 dicembre 2016

Don Angelo Treccani è tornato in questi giorni alle sue radici, in Ticino, ha tolto dall’armadio il pullover di lana e si scalda al tepore del camino. Gesti inusuali per chi, come lui, vive e opera in Venezuela, dove il clima è sempre mite. A El Socorro si occupa del progetto della fattoria e del foyer per ragazzi in difficoltà, collaborando anche con il parroco per la celebrazione delle Messe e per la catechesi nella vicina frazione di Corral Viejo.

Non mancano le energie, a don Angelo, e nemmeno la salute, e per ora non se la sente di abbandonare il progetto missionario diocesano di El Socorro, iniziato nel 1983, almeno finché non trovi qualcuno che lo possa sostituire nel coordinamento. «Sto aspettando. D’antronde in Venezuela non sto male e quindi non ho fretta di tornare in Ticino: bisogna fare quello che si crede più opportuno al momento».

Anche se, don Angelo lo confessa, i bisogni sono tanti anche qui da noi, forse maggiori. Ci racconta poi della situazione catastrofica in cui il presidente Chavez prima e ora il suo successore Maduro hanno fatto precipitare il Venezuela: «Il popolo fa la fame, con stipendi pari a 5 dollari alla settimana, i più bassi del mondo. Un po’ per ideologia un po’ per tornaconto, Chavez ha espropriato fabbriche e terre ai privati e le ha statalizzate. Ma in mano ai politici e ai militari industrie e campi hanno smesso di produrre. Pensate che con il clima favorevole di cui gode, il Venezuela è costretto ad importare derrate alimentari! Vicino a noi ci sono enormi stabilimenti di avicoltura che sono chiusi, e i polli vengono importati.

Il Governo, per tenersi buona la gente, concede crediti a destra e a manca. E quando i debiti sono troppi si cancellano. Le persone si sono abituate a spendere senza risparmiare, anche perché fino a qualche decennio fa si era abituati ad un certo benessere, e anche qui sono diffusi i beni di consumo occidentali. La delinquenza è all’ordine del giorno: non esiste nessuno che abbia qualcosa che non sia stato derubato. Anche da noi sono entrati armati in casa, a più riprese, per prendere quello che avevamo. Ora il popolo inizia a ribellarsi. Temo però che sia troppo tardi. Il petrolio è poi sceso di valore, e per lo Stato il periodo di vacche grasse sta terminando».

Dopo queste premesse don Angelo ci parla della Casa Hogar “Rostro de Cristo” (Focolare “Viso di Cristo”) dove vengono accolti 15 bambini in età scolastica. «Sono ragazzi soli, o affidati ai nonni, o con mamme sole che devono accudire molti figli. Noi diamo loro vitto e alloggio durante la settimana e soprattutto aiuto nel seguire al meglio il programma scolastico.

Le classi, in Venezuela, sono numerose, i docenti spesso poco formati e il materiale scolastico scarso: quindi per chi ha difficoltà è facile perdersi». A Casa Hogar, invece, le possibilità di riuscita di questi bimbi sono alte. «Quando arrivano da noi sono difficili da gestire, ma poi tutto si aggiusta. Il primo ragazzo che abbiamo accolto ora ha 24 anni e frequenta l’università. Viene a trovarci spesso e c’è l’idea che si stabilisca da noi come educatore». La Casa Hogar è finanziariamente sostenuta dalla vicina fattoria che impiega quattro operai.

Caratterizzano l’azienda duecento capi di bestiame e da qualche anno anche la produzione casearia. «I nostri contadini ricevono uno stipendio di 3-4 volte maggiore rispetto a quello di un professore universitario.

La cuoca dell’Hogar, invece, è una mamma che non ce la faceva più a mantenere i suoi tre figli. Le abbiamo detto: senti, vieni a lavorare da noi come cuoca così hai uno stipendio e i tuoi figli possono stare con te accuditi dai nostri educatori». Sono piccole soluzioni ma che possono cambiare la vita di una persona. Storie di un’impresa che funziona, che insegna alla gente ad organizzarsi, a gestirsi oltre che a lavorare. Don Angelo è partito da El Socorro ad Avvento iniziato.

Ci racconta che tutti i giorni, verso le 5 del mattino, gruppi di persone passano per le strade a cantare canti gioiosi, finendo la processione con la Messa. «La gente è molto religiosa e lo manifesta apertamente. Purtroppo, qui e altrove, la nostra civiltà sta rovinando molti valori. Per fortuna c’è il Natale: arriva questo bambino che ci dice che la salvezza non viene dai potenti. Anche noi cristiani dovremmo capire questo messaggio così forte: una famiglia povera ed emarginata che salva il mondo! Non i potenti. Non a caso nell’ultimo secolo la Chiesa è stata rivoluzionata da papa Giovanni XXIII e da papa Francesco: due anime semplici che non hanno fatto cose grandi, presentandosi con la semplicità del Vangelo.

La stessa semplicità con cui ha vissuto Gesù, che è stato 30 anni tra la gente, senza farsi notare, condividendo la vita di tutti i giorni con i suoi compaesani. Così si diventa maestri, in un rapporto stretto di amicizia con la gente, nella vita ordinaria. In quel momento si può essere riconosciuti come maestri. E il sacerdote ha bisogno della sua gente, come la gente ha bisogno del suo sacerdote. Non di un funzionario che si pone sopra o distaccato dai fedeli. La Chiesa, soprattutto in Europa, deve ancora fare grandi passi in questo senso».


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