Avete la nostra più completa solidarietà e con questa alcune osservazioni che speriamo vi possano servire.
Ci siamo già passati, nel 2001 la direzione aziendale licenziò 3 operai, 3 delegati della Fiom. Il giudice li reintegrò al lavoro, condannando ’azienda per attività antisindacale. Il padrone decise di lasciarli a casa, pagando loro lo stipendio. Gli operai licenziati chiesero comunque di essere accompagnati in fabbrica dall’ufficiale giudiziario. Il capo del personale con i suoi avvocati li ricevette in una stanza isolata, ripeteva che non li avrebbe fatti entrare. Fu a quel punto che gli operai in corteo uscirono dall’officina, presero i 3 delegati e li accompagnarono in reparto. La direzione dovette accettare il dato di fatto, ma per sei mesi ancora li tenne al confino, in un angolo del reparto, senza dargli il lavoro. I delegati riuscivano lo stesso a fare attività sindacale, il loro rapporto con gli operai era sempre più forte, alla fine la direzione dovette cedere ed ognuno tornò a fare il proprio lavoro. L’esperienza ci ha insegnato che senza l’intervento diretto degli operai non è possibile difendersi.
Ora che a Melfi si è provato a chiedere sostegno ai grandi capi delle istituzioni, ora che anche eminenti rappresentanti della chiesa hanno manifestato la loro compassione, ma non è successo niente, non è meglio abbandonare queste illusioni? Cinquemila operai non contano niente? Siamo al punto che per riportare in fabbrica 3 operai che hanno in tasca una sentenza di reintegro bisogna mettersi nelle mani di chi non ha nessuna intenzione di inimicarsi la Fiat ed a mezza voce chiede come buona azione di trovare una soluzione?
Chi può imporre a Marchionne il reintegro reale al lavoro? Forse la legge? Ma la legge si è fermata davanti ai cancelli di Melfi. Chi comanda in fabbrica è il padrone, è sua proprietà.
Ma una possibilità c’è: una ribellione degli operai di Melfi. La produzione non la fanno quelli che applaudono Marchionne a Rimini, i giornalisti e i politici che appoggiano le sue scelte. La produzione la fanno notte e giorno sulle linee gli operai e la possono fermare in qualunque
momento, devono solo trovare l’unità e l’organizzazione per farlo.
Si è fatto un gran parlare di questioni di dignità. Ma la dignità noi come operai la perdiamo quando siamo costretti , in migliaia, a passare di fronte ai nostri compagni licenziati senza muovere un dito, sapendo che non hanno commesso niente, che erano in sciopero per una ragione collettiva e che lo stesso giudice gli ha dato ragione. Di fronte a questa realtà è la nostra dignità di operai che è messa in discussione.
La dignità degli operai è la ribellione, altrimenti è solo paura, sottomissione, non avere più la forza di guardarsi in faccia. Non serve cercare giustificazioni.
E’ vero, ci sono sindacalisti collaborazionisti, che svolgono un lavoro per dividerci, ricattarci, giocano a chi si fa più bello con la Fiat per ricavarne favori e privilegi. Ma è così difficile metterli in un angolo, superarli con la nuova unità costruita fra gli operai stessi?
E’ vero, la repressione colpisce chi si espone, ma se ad esporsi sono centinaia se non migliaia, la musica cambia. La paura deve finire, voi siete gli operai di Melfi, 21 giorni di sciopero non li abbiamo dimenticati, la Fiat fu costretta ad abbassare la cresta e così ci avete reso tutti più forti. Il coraggio e la forza non vi manca, il giudice ha deciso il rientro dei 3 operai, tocca a voi riportarli dentro.
I gruisti della INNSE
Volantino diffuso alla Fiat Sata di Melfi il 31/08/10
«Non ci lasceremo usare contro gli operai italiani» - Loris Campetti
(ilmanifesto)
Sono un migliaio, assemblano 15 mila vecchie Punto l'anno con i pezzi provenienti da Torino e guadagnano, in teoria, 320 euro al mese. In pratica in busta paga se ne ritrovano 270 perché da mesi il mercato è saturo, la crisi picchia duro e una settimana al mese sono in cassa integrazione. Eccoli gli operai della Fiat Auto Serbia, figli della già gloriosa Zastava con cui pure la Fiat, fino agli anni Novanta, aveva avuto molto a che fare. Altri operai sono ancora parcheggiati in una sorta di bad company che continua a chiamarsi Zastava con lavoratori inattivi, in attesa di entrare in Fiat quando (e se) si materializzerà il nuovo progetto del Lingotto: 300 mila vetture - una low cost di fascia B e una city car per complessive 200 mila unità annue e un modello di fascia C per altre 100 mila - alla fine del 2012, un organico di 2.540 dipendenti. Se i progetti di Marchionne incontreranno la domanda, naturalmente. E allora molte cose cambieranno, dai ritmi agli orari (oggi 40 ore settimanali su 5 giorni), ai salari. Mihajlovic Zoran è il segretario generale del sindacato Samostalni alla Fiat Auto Serbia, a cui aderisce il 75% dei dipendenti, e ricopre numerose altre cariche sindacali. Lo intervistiamo con l'aiuto di Rajka Veljovic, più che traduttrice cuore della Zastava che collabora con il manifesto dal '99 per le traduzioni e le adozioni a distanza dei figli degli operai «licenziati» dalle bombe «umanitarie». «Siamo rimasti molto sorpresi dalle decisione Fiat di spostare da noi la produzione destinata a Mirafiori e ci teniamo a sottrarci dal gioco sporco che vorrebbe schierare operai contro operai. Naturalmente abbiamo bisogno di lavoro come il pane, ma non togliendolo a degli altri lavoratori. Siamo fiduciosi, ma non comprendiamo fino in fondo la logica della Fiat né si possono dare per scontati i numeri di vetture e di operai previsti nal mercato. L'allestimento delle nuove linee è già in ritardo. Preciso che i motori delle future vetture arriveranno dall'Italia, così come le piattaforme comuni ad altri modelli». Mihajlovic è in Italia dove ha incontrato, tra gli altri interlocutori, il gruppo dirigente Fiom, proprio per stabilire un legame e condividere alcune scelte. «In Serbia abbiamo poche informazioni, è importante per capire con chi abbiamo a che fare sapere come la Fiat si muove, a Melfi o a Pomigliano. Abbiamo molte cose in comune con voi: in Serbia stanno passando tre leggi pesanti che colpiscono le pensioni, il lavoro e il diritto di sciopero». Quel che si è scritto sull'interesse della Fiat per la Serbia - l'assenza di tasse doganali con la Russia faciliterebbe l'esportazione in quel mercato - non risponde al vero: «Tasse doganali non esistono (c'è un 1% simbolico) per prodotti le cui componenti siano costruite in Serbia al 70%. Per le auto Fiat non è così, noi assembliamo pezzi italiani». Mille operai per 15 mila auto l'anno, 2.540 per farne 300 mila: non pensi che dietro questa sproporzione si celi una radicale modifica delle condizioni, turni e straordinari? «Certo, ma il problema d'oggi è la cassa integrazione, non gli straordinari».