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Draghi scopre la miseria salariale


Tao
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Per il Governatore di Bankitalia i redditi da lavoro in Italia sono troppo bassi. E, a riprova, porta le statistiche: 10% in meno di quelli tedeschi, 20% di quelli inglesi e 25% sotto quelli francesi

«La spesa pro-capite per consumi è oggi più che raddoppiata rispetto al 1970. La sua crescita si è però fermata negli ultimi sei anni»: lo ha affermato ieri Mario Draghi nell'incipit di una lezione su «Consumo e crescita in Italia» tenuta all'Università di Torino. Sulle cause il Governatore di Bankitalia non ha dubbi: la spesa privata frena (e frenerà di più) a causa dei cambiamenti demografici, delle retribuzioni troppo basse, della precarietà dei giovani. Anche a via Nazionale, insomma, scoprono che le retribuzioni italiane sono troppo basse.

Supportando le sue parole con una ricca analisi sociale e statistica, Draghi afferma, a proposito dei giovani, che «la discontinuità della vita lavorativa costituisce un freno alla spesa per larga parte del ciclo della vita». Le cifre sui salari sono fornite da via Nazionale, sono impressionanti: «nel confronto internazionale, i livelli retributivi sono in Italia più bassi che negli altri principali paesi dell'Ue. Secondo i dati dell'Eurostat relativi alle imprese dell'industria e dei servizi privati nel 2001-2002, la retribuzione media oraria era, a parità di potere d'acquisto, di 11 euro in Italia, tra il 30 e il 40% inferiore ai valori di Francia, Germania e Regno unito». Aggiunge Draghi: «Anche a parità di caratteristiche individuali, le retribuzioni mensili italiane risultano in media inferiori di circa il 10% a quelle tedesche, del 20% a quelle britanniche e del 25% a quelle francesi». Insomma, c'è poco da stare allegri e in queste condizioni non c'è spazio per maggiori consumi.

Draghi è anche tornato sul problema dei «bamboccioni» sollevato da Tommaso Padoa Schioppa, ma ne ha dato una interpretazione differente. Ha sostenuto che «la percezione di un minor reddito e la maggiore volatilità di quello corrente si riflettono anche sulle scelte dei giovani in merito al momento cui abbandonare la famiglia di origine». Questo significa che anche tenendo presenti le motivazioni culturali e sociali è soprattutto il clima di incertezza economica a bloccare in casa i «bamboccioni». E l'incertezza è provocata dalla «maggiore discontinuità e imprevedibilità» delle esperienze lavorative dei giovani. Come illustrano le statistiche, negli ultimi dieci anni l'incidenza di impieghi temporanei tra i giovani tra i 25 e i 35 anni è raddoppiata, raggiungendo il 17%. Ma l'entità del fenomeno - aggiunge il governatore - è molto più ampia: occorre, infatti, considerare il popolo delle partite Iva, cioè «i molti lavoratori classificati come autonomi che prestano il loro lavoro secondo modalità e tempi caratteristici dell'occupazione alle dipendenze».

Come fare perché «il reddito torni a crescere in modo stabile»? Draghi fornisce alcune risposte. La più «banale» è che occorre aumentare la produttività del lavoro, anche con un aumento del «ritmo di crescita dell'intensità di capitale», perché c'è stata una esplosione di «occupazione a basso valore aggiunto». Insomma, le imprese debbono darsi da fare, perché se non crescono i salari, la buona occupazione e i consumi, l'economia si blocca. Ma Draghi torna anche sulla necessità di una coraggiosa riforma del sistema d'istruzione» che significa investire sul capitale umano. Ovviamente la flessibilità deve rimanere, ma va attenuata da misure di flexsecurity, per «contemperare le esigenze delle imprese (...) con i bisogni di stabilità e crescita professionale». Infine c'è il problema dei pensionati: a Draghi l'ultima riforma non sembra sufficiente, ma chiede «un innalzamento dell'età effettiva di pensionamento per ricostruire l'equilibrio fra attese di vita, attività lavorativa e modelli di consumo». E questo perché il governatore sostiene che gli anziani che lavorano, consumano di più rispetto a chi lascia il mondo del lavoro.

A commento delle affermazioni di Draghi, Paolo Ferrero, ministro delle solidarietà, ha affermato che è «giusta» la notazione del numero uno di via Nazionale, ma «perchè non sia un'affermazione propagandistica, si deve coniugare con una drastica riduzione della precarietà che togliendo potere contrattuale a chi lavora e rappresenta la causa fondamentale degli stessi bassi salari».

Galapagos
Fonte: www.ilmanifesto.it
27.10.07


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