Notifiche
Cancella tutti

Ecco le 57 fabbriche di veleni


helios
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 16537
Topic starter  

Un'indagine di ricercatori coordinata dall'Istituto Superiore di Sanità analizza le decine di siti industriali che mettono a rischio la salute di lavoratori e abitanti. Per la bonifica bisognerebbe spendere 30 miliardi di euro, ma il Ministero dell'Ambiente mette a disposizione solo 164 milioni. Le aziende non si sentono responsabili e bloccano le richieste di intervento dell'amministrazione pubblica
ROMA - Non solo l'Ilva e non solo Taranto. Ma anche Gela, Priolo, Bagnoli, Porto Torres, le miniere dell'Iglesiente, Marghera e decine di altri siti industriali ancora in funzione o abbandonati. Quelli di interesse nazionale sono 57. Da una stima approssimativa, per la bonifica servirebbero 30 miliardi di euro, ma nel bilancio del ministero dell'Ambiente, alla voce "bonifiche" sono disponibili 164 milioni. E la salute delle persone che lavorano negli impianti ancora in funzione, quelle che vivono nelle vicinanze, cosa rischiano? Nessuno osa negare, compresi i dirigenti e i proprietari delle aziende, che qualche problema c'è. E il perenne ricatto è: bonificare vuol dire chiudere la fabbrica e mandare a casa decine di migliaia di lavoratori. Ma cosa si è fatto nel passato, cosa si fa oggi e quali sono i programmi futuri per sanare i siti? Una cosa da non dimenticare: le persone coinvolte sono più di 6 milioni.

I numeri dei siti da bonificare. In Italia si calcola che i siti potenzialmente inquinati siano circa 13 mila e di questi 1.500 impianti minerari abbandonati, 6 mila e 500 ancora da indagare e 5 mila sicuramente da bonificare. Poco meno di 13 mila siti sono di competenza regionale (dai distributori di benzina alle piccole fabbriche che lavorano i combustibili) mentre 57 sono sotto la giurisdizione statale. Questi ultimi sono definiti dalla sigla SIN, vale a dire Siti di Interesse Nazionale.

L'estensione territoriale dei SIN, che varia dai pochi ettari ai 442.573 del Sulcis, interessa 821 mila ettari di "aree di terra" e 340 mila "di mare". In totale il 3 per cento del territorio nazionale, ma il 12 del territorio di pianura e addirittura quasi il 35 per cento di quello urbanizzato, un'estensione enorme di territorio inquinato e indisponibile.

Gli effetti sulla salute dei lavoratori e dei cittadini. Nei siti inquinati e nelle aree limitrofe, come hanno dimostrato le indagini della magistratura, dell'Istituto Superiore di Sanità, e i controlli delle Agenzie regionali per l'ambiente (Arpa), la sicurezza e la salute dei lavoratori e dei cittadini sono in condizioni di rischio permanente. La conferma arriva dai risultati dell'indagine "Sentieri", promossa dal ministero della Salute e coordinato dall'Istituto Superiore di Sanità (Iss). Un lavoro durato quattro anni, dal 2007 al 2010, condotto da un gruppo di 32 studiosi appartenenti a diverse istituzioni scientifiche, dall'Iss al centro europeo ambiente e salute dell'Oms, dal dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio al Consiglio nazionale delle Ricerche di Pisa e dall'università la Sapienza di Roma. La ricerca ha analizzato con una metodologia omogenea la mortalità per 63 gruppi di cause, nel periodo 1995-2002, sulle popolazioni residenti in 44 SIN, per un totale di 6 milioni di persone, in 298 Comuni.

Ecco qualche numero. Nei poli petrolchimici, 643 morti in eccesso per tumore polmonare, 135 per malattie non tumorali dell'apparato respiratorio. Nelle aree con presenza di impianti chimici, 184 casi in eccesso per tumore al fegato. L'amianto rimane un drammatico fattore di rischio, in particolare per il "mesotelioma pleurico": nei 12 siti analizzati si sono registrati 416 casi di tumore maligno della pleura rispetto alla media attesa. E questi sono solo alcuni risultati di una lunga e drammatica lista di morti e disperazione. Eppure c'è ancora chi afferma che gli studi scientifici non sono attendibili, che servono nuovi e attenti approndimenti.

Il "mistero" dello studio Sentieri 2003-2008. Lunedì 17 settembre 2012. Si attendono i dati della ricerca "Sentieri" 2003-2008 che il ministro della Salute Renato Balduzzi illustrerà alla stampa il giorno dopo. Ma nel pomeriggio del 17 filtrano le prime anticipazioni. Quella che fa più effetto è quella che annuncia un aumento del 12 per cento dei tumori nell'area dell'Ilva di Taranto. L'Ansa manda in rete la notizia. Succede il finimondo: il ministero della Salute parla di numeri non definitivi "serve un ulteriore approndimento scientifico", e il ministro Renato Balduzzi precisa: "Non credo che la magistratura abbia elementi diversi dai nostri". Ma ormai il tam-tam è partito. Tutti i siti internet riprendono la notizia e il giorno dopo anche i quotidiani sbattono la notizia in prima pagina.

Il 18 settembre si apre la conferenza stampa, ma si parla solo della ricerca 1995-2002. Il ministero dell'Ambiente fa sapere che la magistratura tarantina non ha i dati della ricerca 2003-2008 perché sono ancora provvisori. Bugia. Dal mese di marzo 2012 il gip di Taranto, Maria Todisco, è in possesso dei dati della ricerca "Sentieri" e li ha presentati nel corso dell'incidente probatorio, ipotizzando il reato di disastro ambientale. Nell'ordinanza del gip che ha disposto il sequestro degli impianti l'ipotesi di reato per "disastro ambientale" si legge: "I dati dell'aggiornamento riguardano l'anno 2003 ed il periodo 2006-2008, trattasi di dati pubblici trasmessi ufficialmente in data 8 marzo 2012 dall'Istituto Superiore di Sanità, sulla cui piena utilizzabilità non può sussistere dubbio alcuno". Nella Nota dell'Iss è scritto: "la mortalità per tutte le cause nel primo anno di vita e per alcune condizioni morbose perinatali risulta significativamente in eccesso". E prosegue: "Il profilo di mortalità della popolazione residente nel sito di Taranto mostra, anche negli anni più recenti, incrementi di rischio di mortalità per un complesso di patologie non esclusivamente riferibili ad esposizioni di origine professionale, in quanto caratterizzanti, oltre alla popolazione adulta maschile anche le donne ed i bambini". Parole che fanno drizzare i capelli ma che sono solo una "preoccupazione", tutta da verificare, per i responsabili della Salute e dell'Ambiente.

Una breve considerazione. L'équipe degli esperti di "Sentieri" è formata da persone che appartengono a diverse istituzioni scientifiche, tra le quali l'Istituto Superiore di Sanità. Il coordinamento spetta al ministero della Salute. Se il ministero, in sostanza, non si fida dei risultati presentati dal gruppo dei ricercatori, farebbe bene a dirlo con chiarezza.

Il ruolo della magistratura. È a partire dagli anni '70, e precisamente dal 1976, anno del disastro ambientale causato dall'esplosione del reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo dell'Icmesa di Seveso, che in Italia e in Europa, diventa urgente controllare gli effetti dei processi produttivi sulla salute delle persone. Il sindacato si mobilita, la magistratura scende in campo. E vengono approvate le prime leggi sulla tutela dell'ambiente. Si inizia ad indagare sul gigantesco problema dei siti da bonificare. Dall'inquinamento del fiume Sarno all'Acna di Cengio, da Porto Marghera, Gela e Priolo all'Ilva di Taranto. Ma nel 2006, governo Berlusconi, la situazione si complica. Viene abolito il reato di "omessa bonifica". Afferma il procuratore della Repubblica di Mantova, Antonio Condorelli: "Dal nostro punto di vista abbiamo subìto dal Parlamento, chiedo scusa, ma è così, un totale disarcionamento, nel senso che, quando è stata modificata la norma sulla omessa bonifica, è stato eliminato il reato di non partecipazione al procedimento di bonifica, quindi - conclude - il responsabile che si rifiuti non può essere sanzionato penalmente".

Chi inquina paga? Nella stragrande maggioranza dei casi l'inquinamento dei siti di interesse nazionale risale a t
empi remoti. Nel frattempo i SIN sono passati in larga misura dal pubblico ai privati. Una situazione insostenibile. Le aziende private, vedi Ilva di Taranto, non si ritengono responsabili dell'inquinamento "storico" e ricorrono al Tar contro la richieste di bonifica presentate dalle amministrazioni pubbliche, creando di fatto il rallentamento e il blocco delle procedure. La cosa paradossale che ad alimentare il contenzioso sia anche la Syndial del gruppo Eni, società per azioni a maggioranza pubblica. L'altra strada sarebbe quella dell'intervento diretto dello Stato, salvo poi rivalersi sulle società indampienti. Ma dove trovare 30 miliardi?

Intanto cosa succede. L'articolo 2 della legge 13 del 2009 ha introdotto una procedura alternativa di risoluzione "stragiudiziale" del contenzioso per i rimborsi delle spese di bonifica e di risarcimento del danno ambientale attraverso una serie di transazioni tra le imprese e lo Stato. La norma, fortemente voluta dall'allora ministro all'Ambiente Prestigiacomo, avrebbe dovuto velocizzare le procedure permettendo alle imprese riconosciute responsabili dell'inquinamento di saldare il conto direttamente con le amministrazioni pubbliche. Invece sta accadendo tutto il contrario. L'Eni ha preso la palla al balzo. Per la bonifica di 9 siti inquinati (Porto Torres, Priolo, Napoli orientale, Brindisi, Pieve Vergonte, Cengio, Crotone, Mantova e Gela) ha offerto 1 miliardo e 100 milioni di euro. Un obolo, visto che solo il progetto di bonica di Porto Torres è di 500 milioni di euro.
Non va dimenticato che il Tribunale di Torino ha condannato, nel luglio 2008, la Syndial-Eni (ex Enichem) al pagamento di una multa di 1 miliardo e 900 milioni di euro per aver inquinato il Lago Maggiore dal 1990-1996 con il Ddt. Il Ministero dell'Ambiente aveva chiesto un risarcimento di 2 miliardi e 400 milioni. Eni ha fatto immeditamente appello, considerando la multa spropositata. Nel marzo del 2006, una proposta di transazione per 239 milioni di euro, fatta dall'Avvocatura dello Stato, è stata ritenuta dall'Eni impraticabile.

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/10/08/news/non_solo_ilva-44113056/?inchiesta=%2Fit%2Frepubblica%2Frep-it%2F2012%2F10%2F08%2Fnews%2Ftutte_le_ilva_d_italia-44129554%2F


Citazione
Condividi: