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Giornalista. Un mestiere disidratato


Borokrom
Estimable Member
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http://www.agoravox.it/Giornalista-Un-mestiere.html

mercoledì 11 febbraio
di Michele Mezza

L’informazione ha dato la prova peggiore nel caso di Eluana. testate militarizzate, Tg che dall’inizio alla fine non hanno ospitato una sola voce contraria alla propria tesi, giornali che impugnano a pietà come una clava. Ma oltre il malcostume, si affaccia una questione nodale: il mestiere, ormai inadeguata alla prova della rete, mostra la sua incapacità anche rispetto al nuovo quadro di valori. Non possiamo assistere all’esaurirsi di una funzione sociale come il giornalismo. Bisogna aprire una fase costituente. A cominciare dalla bio informazione: nuovi valori, nuovi saperi, nuovi profili professionali.
E’ difficile davvero riprendere lucidità dopo una giornata quale quella vissuta ieri sul fronte dell’informazione. La vicenda di Eluana ha rivelato, ancora una volta,che il nostro è ormai un mestiere senza ritegno. Dagli schermi ieri sera, e dalle prime pagine di oggi affiora la peggiore voglia di appartenenza che ormai pervade le nostre pance di mediatori di culture, oltre che di notizie, altrui.
Non voglio entrare nei gorghi delle indecenze che si sono consumate. Non voglio mettermi a indicare questo o quello che con la pietra in mano dava contro all’untore del momento. Se ne sono viste di tutti i colori. Non credo che lo tsunami di lascerà indenni: siamo uno scenario devastato. Tutto è possibile e dunque lecito ormai. Ma vedere colleghi che fino a ieri non sospettavano nemmeno che il concetto di vita e di morte potesse sfiorarli nelle loro cronache delle quotidiane chiozzotte parlamentari, o risvolti di costume, impugnare la clava del giudizio e della crociata di valore è stato davvero avvilente. Su tutto è plausibile schierarsi, seguendo un richiamo della foresta. Non sul dolore, diretto o indiretto, che devasta individui e nuclei umani. Invece è accaduto e ancora accadrà. Su che cosa deve intervenire l’ordine se non su questo? Cosa si intende per deontologia se non impedire che qualcuno impugni una foto e la usi come sentenza contro un padre? Oppure, lo dico senza ritegno, che qualcun altro, con animo sereno, si atteggi all’ennesima campagna contro Berlusconi usando Eluana come uno dei tanti capi di accusa per frode fiscale. La credibilità così crolla sotto zero, e si annienta ogni capitale di fiducia per il futuro. Se si passa allegramente su un cadavere, la gente si chiederà cosa potrà mai accadere tutti i giorni in redazione per eventi meno eclatanti e drammatici?
Da tempo su questi siti discutiamo di un’inadeguatezza strategica del giornalismo a seguire e governare i processi socio tecnologici che hanno investito il mondo della comunicazione. Ma qui, oggi, si pone un’altra questione: esiste una coscienza civile di base che giustifichi l’ambizione di parlare e scrivere per gli altri? Insomma regge ancora il senso comune per cui qualcuno si adatta a dipendere per le sue informazioni da un nucleo professionale esterno? La corporazione su cosa poggia?
Il cane da guardia del potere: questa fino ad oggi è stata la giustificazione del nostro mestiere. Ma se il potere muta fisionomia e natura, da apparato verticale materiale, visibile e controllabile, diventa sistema di valori pervasivi che inducono mimesi negli individui, come si abbaia?
Concretamente, siamo oggi nel tempo della cosidetta bio politica, ossia di un sistema di vincoli e regole che coinvolgono lo stesso modello di vita, la stessa natura della vita. Esiste un adeguata cultura della bio informazione? Esiste un sistema di regole e vincoli che renda il giornalista guardiano delle espansioni e variazioni dei modi di vivere e di morire? I massacri li sappiamo decifrare, più o meno e a condizione che coinvolgano prevalentemente uomini bianchi e preferibilmente di lingua inglese. Ma le evoluzioni dell’idea di umanità, come il caso Englaro ha dimostrato, come le leggiamo? Con quale preparazione, con quali vincoli e valori? Io credo che questo sia un campo dove la geometria produttiva della rete si afferma come l’unica adeguata. Non si può più procedere con imput verticali, con una linea editoriale, con un solo interesse. Bisogna entrare in comunicazione e condivisione con le comunità che sorvegliano gli eventi. Bisogna temprare la verità al fuoco dei mille dubbi. Proprio il dubbio deve diventare l’elemento di identità professionale che ci spinge a cercare. La rete ci propone una fattibilità di un nuovo modello di opinione attiva. Dove la prudenza è conseguenza della temporaneità delle certezze. Su questa dimensione del dubbio andrebbe calibrata una nuova architettura organizzativa: la redazione dovrebbe essere luogo di dubbio e di reicerca, non di militarizzazione. La gerarchia del lavoro dovrebbe essere riconfigurata a partire da funzioni di ricerca e di verifica dei saperi. E non tesa solo alla pubblicazione e alla decisione di chi ha ragione.

Vorrei davvero ragionare su questo, e capire se sia possibile una nuova via di affermazione dell’artigianalità del giornalismo. Mi piace ricordare qui quel grande sacerdote del dubbio che fu Giordano Bruno che diceva “non sosterrò mai una tesi avventata o priva di fondamento, anzi, tutte le cose saranno per me ugualmente dubbie: non solo le affermazioni più ardue e lontane dal senso comune, ma anche quelle che sembrano fin troppo certe ed evidenti, dovunque e comunque saranno oggetto di controversia” (articoli ad versus mathematicos, Praga 1588).
E fu un falò.


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