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La Lega ha presentato una proposta di legge per criminalizzare qualunque critica a Israele


dana74
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Mercoledì la Lega ha depositato al Senato una proposta di legge che intende vietare le manifestazioni in cui si esprimano critiche alle istituzioni israeliane. La proposta adotta infatti la definizione di antisemitismo formulata dall’Assemblea plenaria dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA), che inquadra l’antisemitismo “una determinata percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti, le cui manifestazioni, di natura verbale o fisica, sono dirette verso le persone ebree e non ebree, i loro beni, le istituzioni della comunità e i luoghi di culto ebraici”. Tale definizione è tuttavia oggetto di non poche critiche, dal momento che definisce antisemiti atteggiamenti ascrivibili piuttosto all’antisionismo. All’art. 3 del ddl depositato, in particolare, la Lega inserisce un apposito punto contro le manifestazioni di piazza, offrendo alle questure il potere di negarne l’autorizzazione “per ragioni di moralità” anche in caso di “rischio potenziale” per l’uso di “simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata dalla presente legge”. A caldeggiare la proposta è stato lo stesso leader leghista Matteo Salvini, che ha riferito di aver elaborato il testo del ddl con l’aiuto dell’Unione Associazioni Italia-Israele.

Il disegno di legge, annunciato dal ministro Matteo Salvini in occasione del giorno della memoria ed il cui testo è stato depositato in Senato due giorni fa, si fonda, come accennato, sulla definizione di antisemitismo adottata dall’IHRA. Tale definizione è già in parte riconosciuta dalla Strategia Nazionale di Lotta contro l’Antisemitismo, approvata dall’IHRA stessa, e promossa dal governo Draghi ai sensi delle richieste avanzate dal Consiglio dell’Unione europea con la Dichiarazione n. 13637 del 2 dicembre 2020, all’interno della quale si richiede “agli Stati membri l’integrazione della lotta all’antisemitismo trasversalmente ai vari ambiti politici”. Le critiche in merito all’adozione di tale definizione, tuttavia, non sono poche e riguardano in particolare il rischio che essa sia facilmente piegabile a interessi politici specifici. David Feldman, professore di Storia e direttore dell’Istituto Pears sullo Studio dell’Antisemitismo di Londra, ha definito «sconcertante» l’imprecisione con la quale l’antisemitismo viene definito all’interno della definizione dell’IHRA, rendendo la definizione stessa inefficace anche nello scopo che si prefigge, ovvero tutelare gli ebrei dagli atti discriminatori. A suo parere, inoltre, la definizione presenta anche un rischio concreto che «l’effetto complessivo faccia ricadere sui critici d’Israele l’onere di dimostrare di non essere antisemiti».

Dure critiche alla definizione di antisemitismo dell’IHRA sono giunte dalla stessa società civile israeliana. Pochi mesi fa, oltre un centinaio di organizzazioni israeliane e internazionali (tra le quali B’Tselem, Human Rights Watch e Amnesty International) hanno richiesto alle Nazioni Unite di non adottarla, proprio perchè “utilizzata impropriamente” per proteggere Israele da critiche legittime. Tutti i critici sembrano concordare sul fatto che a essere problematici siano 7 degli 11 “esempi di antisemitismo contemporaneo” offerti dalla definizione. Tra questi, “negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo“, “applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele richiedendo un comportamento non atteso da o non richiesto a nessun altro stato democratico”, “fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei Nazisti” e “considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato di Israele”.

Sebbene sempre più governi in tutto il mondo la stiano adottando con il proposito di contrastare l’antisemitismo, “la definizione dell’IHRA è stata spesso utilizzata per etichettare erroneamente le critiche contro Israele come antisemite, e quindi per soffocare e talvolta reprimere le proteste non violente, l’attivismo e i discorsi critici nei confronti di Israele e/o del sionismo, anche negli Stati Uniti e in Europa”, scrivono le organizzazioni nella lettera. E in effetti, proprio l’art. 3 del disegno di legge depositato dalla Lega vorrebbe garantire “Il diniego all’autorizzazione di una riunione o manifestazione pubblica per ragioni di moralità“, con la sola motivazione di un “grave rischio potenziale per l’utilizzo di simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata dalla presente legge”.

«Stiamo con Israele, baluardo di democrazia e libertà» ha dichiarato Salvini, nell’annunciare la realizzazione del disegno di legge. «Dalla parte del popolo ebraico, contro il terrorismo islamista, contro chi soffia sul conflitto, per l’obiettivo finale di una convivenza pacifica tra due popoli in due Stati, senza che qualcuno possa più avanzare l’odiosa intenzione di cancellare Israele dalla carta geografica». Tuttavia, è sufficiente guardare proprio alle cartine geografiche dal 1948 ad oggi per rendersi conto che non vi è alcun rischio che lo Stato di Israele venga cancellato. Ciò che resta del territorio palestinese è invece oggi relegato nella Cisgiordania (Occupata) e nella Striscia di Gaza. E proprio quest’ultima, con i 30 mila morti tra i civili nei soli ultimi cinque mesi (il 70% dei quali donne e bambini) e la distruzione della maggior parte delle infrastrutture, delle abitazioni, degli ospedali, delle scuole, sta venendo poco a poco spazzata via dalla faccia della Terra.

[di Valeria Casolaro]

 

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dana74
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oggi anche a Trieste i manifestanti pro Palestina hanno manifestato davanti alla Rai

 

Riguardo a questa "legge", gli avranno passato lo stesso testo che Is ra hell ha approvato a casa sua contro i suoi cittadini che dubitano della ricostruzione dei fatti dell'7 ottobre?

Israele vuole incarcerare chi nega la narrazione ufficiale sugli attacchi del 7 ottobre

Domenica 4 febbraio, la Commissione Ministeriale per gli Affari Legislativi israeliana ha presentato un disegno di legge che punisce con la reclusione fino a cinque anni chi nega o minimizza la narrazione israeliana ufficiale del 7 ottobre. A comunicarlo, tra gli altri, è il Jerusalem Post, che in un articolo scrive che la proposta è stata avanzata assieme ad altri due emendamenti, che, secondo la sezione news di Walla, dovrebbero venire discussi per l’approvazione preliminare questo mercoledì. La proposta di punire coloro che si oppongono alla narrazione israeliana degli attacchi del 7 ottobre aleggiava già da qualche mese e si colloca all’interno di un contesto generale di repressione e censura di coloro che si esprimono contro lo Stato di Israele. Che tale emendamento venga o meno approvato, non si può in tal senso evitare di porre in discussione la narrazione dominante che vede in Tel Aviv “l’unica democrazia del Medio Oriente”: negli ultimi anni vi sono infatti state tante riforme, proposte, ma anche solo casi di mancato contrasto attraverso strumenti legali di fenomeni di soppressione delle libertà del popolo palestinese, che non possono che definirsi illiberali.

La proposta di legge non appare nella sezione delle notizie del Governo israeliano, né di quella della Knesset, il parlamento monocamerale di Tel Aviv, poiché deve ancora venire discussa, anche se dal sito di quest’ultima e dalle diverse notizie sparse per il web non è ancora chiaro esattamente quando. La notizia viene piuttosto comunicata da giornali tanto israeliani quanto arabi, che comunicano che la proposta, avanzata dal parlamentare Oded Forer, è stata discussa ed approvata assieme ad altri due emendamenti; essa sancisce che “la negazione del massacro è un tentativo di riscrivere la storia”, e pertanto “l’espressione di supporto per gli atti dei terroristi richiede speciali, serie e immediate attenzioni da parte dello Stato”, che si tradurrebbero nella reclusione fino a cinque anni. Assieme alla proposta di Forer sarebbe stata approvata anche quella di Almog Cohen, che prevederebbe la deportazione dei familiari dei “terroristi” affiliati ad Hamas che sapevano dell’attacco del 7 ottobre, misura che “con una visione lungimirante salverà la vita dei cittadini israeliani”.

Questi due emendamenti, se venissero approvati, non sarebbero i primi ad andare contro la percezione comune secondo la quale Israele rappresenterebbe l’unico avamposto democratico del Vicino Oriente. Sempre in materia di libertà di espressione, basti pensare alla definizione di “antisemitismo” promulgata dall’IHRA, l’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto, la quale è recentemente stata adottata in Italia dal comune di Brescia: nel documento figurano parecchie definizioni del concetto di antisemitismo a dir poco dubbie, come quella che chiama antisemita chiunque faccia “paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei Nazisti”. Questa voce, come tante altre, rientrano in quel processo di identificazione dello Stato di Israele con il popolo ebraico che viene portato avanti dall’ideologia del sionismo revisionista, di cui l’attuale Governo, in carica da quindici anni, è il più limpido esponente. Si noti in tal senso il progressivo processo di nazionalizzazione portato avanti da Netanyahu sin dalle piccole cose, che vanno dall’istituzione di nuove celebrazioni nazionali, alla nuova formula di giuramento diplomatico, fino alla repressione dei movimenti anti-Israele.

Eppure il processo di identificazione Israele = ebrei scalfisce solo la superficie della piega illiberale che Tel Aviv sta prendendo negli ultimi anni. In tal senso alcuni tra i casi più eclatanti sono certamente quelli che coinvolgono la negazione dei diritti dei palestinesi, a cui Israele ha imposto addirittura il controllo delle relazioni amorose, e il fervido contrasto contro tutti coloro che li sostengono. Senza necessariamente stare a guardare leggi e proposte di regolamentazione, basterebbe solo notare il silenzio nei confronti della violenza, denunciata dall’ONU, che i coloni cisgiordani muovono contro i cittadini palestinesi, o l’assente regolamentazione contro la distribuzione di armi in quegli stessi territori, dove Tel Aviv sta sostanzialmente conducendo una guerra non dichiarata. Le modalità illiberali e la guerra contro i palestinesi hanno anche toccato il settore dell’informazione, tanto che a inizio dicembre è stata presentata una mozione per chiudere tutte le operazioni del quotidiano Al Jazeera nel Paese, accusato di “incitare contro lo Stato di Israele”. Il trattamento che Tel Aviv riserva ai palestinesi sul proprio territorio, poi, ne è un’altra testimonianza: recentemente si è iniziato a discutere della possibilità di introdurre la pena di morte per i “terroristi”, mentre a gennaio è stato prolungata una misura temporanea che nega la possibilità di fare ricorso a un avvocato ai palestinesi imprigionati, misure che, messe insieme, potrebbero tradursi in una sostanziale condanna a morte senza processo. Proprio i palestinesi imprigionati, poi, vivono in condizioni di totale degrado sin dall’inizio della guerra, come dimostra la bolla del 18 ottobre con la quale si applicano “misure straordinarie” per far fronte al crescente numero di carcerati nelle prigioni israeliane, togliendo loro i letti e facendoli “dormire sul pavimento”.

La più limpida testimonianza dello stato di illiberalità in cui versa Israele è però quella relativa al tema della giustizia. In Europa siamo abituati a giudicare lo stato di evoluzione democratica delle istituzioni di un Paese guardando al suo sistema giuridico: numerosi sono gli Stati a cui l’Unione Europea ha tagliato i finanziamenti proprio perché dotati di un sistema giuridico visto come troppo poco indipendente; la narrazione comune gioca spesso con tali elementi, e mai sognerebbe di definire completamente liberale e democratico, per fare un esempio, uno Stato come l’Ungheria, che Wikipedia definisce “Stato autoritario”. Israele, però, non viene mai messo in discussione. Nonostante ciò, il 24 luglio 2023 è stata approvata la “bolla sulla ragionevolezza”, che nega agli organi giudiziari, “inclusa la Corte Suprema” di tenere udienza o aprire casi che mettano in discussione “il Governo, il Primo Ministro o un Ministro del Governo sulla ragionevolezza delle loro decisioni”. E con “‘decisione’ si intende qualsiasi decisione, incluse le nomine, o la decisione di astenersi dall’esercizio dell’autorità”. Il processo di identificazione Israele = ebrei, ha insomma compiuto un ultimo determinante passo: quello che ha sancito l’identificazione del Governo con lo Stato, tanto da rendere illegittima la contestazione della “ragionevolezza” delle sue scelte. E ai sensi della definizione di antisemitismo dell’IHRA, questo significa solo una cosa: che dire qualcosa di contrario al Governo di Tel Aviv, significa perpetrare atti della più deprecabile forma di razzismo che l’Occidente abbia mai conosciuto, cosa decisamente poco democratica.

[di Dario Lucisano]

https://www.lindipendente.online/2024/02/07/israele-vuole-incarcerare-chi-nega-la-narrazione-ufficiale-sugli-attacchi-del-7-ottobre//?tg_rhash=cb891b7c9401eb


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