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Ostaggi in USA


Tao
 Tao
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Molto è stato detto sulla decisione del Getty Museum di Los Angeles di restituire solo 26 opere contro le 52 richieste dall’Italia. Precisamente vi sono 46 opere al vaglio della magistratura (procedimenti nei quali il ministero per i Beni Culturali si è costituito parte civile), 4 opere sono state segnalate invece da scienziati e archeologi italiani e stranieri, e infine altre due opere d’arte sono state indicate come trafugate dall’Italia da enti o fondazioni.

In realtà l’apice del contenzioso verte principalmente su due opere: un bronzo attribuito a Lisippo e la Venere di “Morgantina”. E sarà proprio attraverso la descrizione di queste due opere e la loro storia che tratteremo in maniera approfondita questo caso che così tanto clamore e delusione ha provocato negli italiani, anche nei meno avvezzi all’arte.

Iniziamo con la statua del Giovane Vittorioso anche detto il Lisippo, proprio per l’attribuzione allo scultore greco Lisippo attivo nel IV sec. a.C. (scultore ufficiale prima di Filippo il Macedone e poi di Alessandro Magno). La scultura rappresenta un giovane, che dopo aver vinto una gara olimpica, si incorona con un serto di ulivo. La parte conservata è alta 151 cm ed ha un peso di 48/50 kg; le estremità degli arti inferiori, parte della corona e gli occhi non sono state ritrovate. Il procedimento di fusione del bronzo fu a cera persa, inoltre la testa, le braccia, le gambe ed il corpo, furono fuse in pezzi separati e solo successivamente uniti insieme. Alcuni particolari, oggi perduti, vennero poi integrati al bronzo a completamento dell’opera, come gli occhi in pasta vitrea, o forse in avorio. Nel nucleo interno, costituito da argilla mescolata a diversi materiali, sono stati rintracciati anche frammenti di origine organica, tra cui gusci di nocciole e noccioli di olive che, una volta sottoposti alla prova del carbonio 14 hanno permesso di datare la statua tra il secondo quarto del IV sec. a.C. e l’inizio de II sec. a.C.

Per quanto attiene al tanto discusso ritrovamento del bronzo esso avvenne nel 1964 ad opera del peschereccio fanese “Ferruccio Ferri”, capitanato da Romeo Pirani. Il quale, assieme ai suoi marinai non denunciò la scoperta alla Sovrintendenza, come previsto dalla legge n.1089 del 1939 allora vigente, ma la vendette per poche centinaia di migliaia di lire (sicuramente non era a conoscenza che il Lisippo valesse diversi miliardi e che secondo tale legge gli scopritori di un’opera d’arte avevano diritto a un premio di rinvenimento fino a un quarto del valore del bene ritrovato). La storia della vendita è confusa: dopo varie vicende, da un antiquario di Gubbio venne esportata illegalmente in Svizzera; nel 1971 dopo essere stata acquistata dal commerciante monegasco, Heinz Herzer, anche aderente all’Artemis Group, vennero effettuati sul bronzo i primi restauri e alcune analisi. Nel 1974 dopo l’esame al radiocarbonio, venne formulata la prima attribuzione a Lisippo. Nel 1977 il Getty Museum la comperò per 4 miliardi e 750 milioni di lire.

La storia della Venere di “Morgantina” non differisce poi molto dalla precedente. Innanzitutto l’opera, risalente al 425/400 a.C. è alta 2 metri e 20, e, per quanto attiene al materiale, il drappeggio è in tufo calcareo mentre il viso e le parti nude sono in marmo; due sono le peculiarità che contraddistinguono l’opera, la prima è la tecnica scultorea utilizzata per il drappeggio che lo fa apparire non solo increspato dal vento (come nella famosa Nike di Samotracia) ma anche costantemente bagnato; altra caratteristica è data dalla rifinitura su tutti i lati (generalmente le sculture di culto erano rifinite solo frontalmente), da cui si evince che la statua fosse collocata su un altare, visibile da tutti i punti di vista. Importante sottolineare un’altra curiosità sulla statua e che riguarda la sua autenticità. Infatti, secondo alcune indiscrezioni che provengono dal mondo dei tombaroli di Agira, la Venere non era una statua intera bensì una “ricostruzione”, o meglio, ciò che in termini tecnici viene definito un “aerolite”: un’opera che ha solo le mani, la testa e i piedi di marmo autentici, ma ovviamente”scomposti” (all’epoca si era soliti infatti fare le statue di tal foggia poiché il marmo era molto costoso). Le parti rimanenti della Venere (torace, stomaco e gambe) vennero probabilmente realizzate utilizzando alcuni pezzi di calcare recuperati vicino al tempo di Selinunte e poi assemblando tutti insieme i pezzi: così facendo si sarebbero risolti i dubbi riguardanti la datazione e la provenienza dei materiali, in quanto l’esame al carbonio 14 avrebbe rilevato che tutte le parti della statua avevano la stessa età e provenivano dalla stessa aerea. A quanto pare anche la stessa Marion True, direttrice del Paul Getty Museum all’epoca dell’acquisto della statua, s’informò su questa voce, ma non ebbe mai risposta. Comunque, stando agli esperti che hanno analizzato e studiato l’opera, si tratterebbe di un originale in marmo, scolpito nel V sec. a.C. da un’artista della cerchia di Fidia, attivo in magna Grecia. Per quanto attiene al ritrovamento dell’opera, esso è avvenuto durante gli incauti scavi di alcuni tombaroli nel sito archeologico siciliano di Morgantina. Negli anni Ottanta il ticinese Renzo Canavesi (condannato nel 2001 dal tribunale di Enna a due anni di carcere e al pagamento allo stato italiano di quaranta miliardi di lire, venti come valore effettivo della statua e altri venti per danno morale) vendette la statua alla società inglese Robin Symes Ltd di Londra per 400.000 dollari. Nel 1988, con l’aiuto di un intermediario svizzero, la succitata direttrice del Getty Museum acquistò la statua, pagandola diciotto milioni di dollari.

Come per le altre opere, provenienti da traffici illeciti, la Venere di Morgantina e il Lisippo sono state rintracciate grazie ad attenti monitoraggi che vengono effettuati in musei e collezioni privati. Sui “Tesori rubati” del Paul Getty Museum il “Los Angeles Times” pubblicò qualche anno fa un’inchiesta in cui si sottolineava che la direzione del museo era a conoscenza del fatto che circa metà dei reperti acquistati in Italia erano stati probabilmente trafugati. Dall’inchiesta si evinse inoltre che sin dal 1985 il museo sapeva che alcuni loro intermediari erano venditori di reperti trafugati, ma, come scritto nell’articolo, “ciò non impedì al museo di continuare ad acquistare da loro”.
Intanto, nell’ottobre del 2005, Marion True si dimise dal Paul Getty perché coinvolta in uno scandalo (l’acquisto di un’abitazione nell’isola di Paros per quattrocentomila dollari, ottenuti da un conto svizzero, attraverso la mediazione di un amico greco, Christo Michailidis, abituale fornitore di reperti trafugati). Scoperta, la True abbandonò l’incarico al Museo (anche se il Paul Getty era al corrente del fatto da tre anni). Dopo un mese la donna, responsabile degli acquisti del museo californiano, venne processata a Roma, dove rispose, assieme all’intermediario svizzero Emanuel Robert Hecht, alle accuse di associazione a delinquere e ricettazione e ad una serie di reati specifici relativi al commercio illecito di beni archeologici.

Nello stesso mese, grazie all’interesse dell’allora ministro per i Beni Culturali, Rocco Buttiglione, il Getty Museum restituì spontaneamente all’Italia, alcuni oggetti di grandissimo interesse archeologico, in considerazione della loro illegittima provenienza (si trattava di un cratere a calice a figure rosse, opera del pittore greco Asteas risalente al 340 a.
C. circa, rinvenuto illecitamente in Campania; una stele funeraria lapidea del VI secolo a.C. sottratta nei pressi della antica colonia greca di Selinunte in Sicilia; un candelabro bronzeo a treppiede di origine etrusca, trafugato dalla ex collezione Guglielmi di Vulci). Il cinque ottobre del 2006, mentre il processo era ancora in corso e solo l’antiquario Giacomo Medici veniva condannato a dieci anni di carcere per aver effettuato alcune delle vendite illegali al museo californiano, il nuovo direttore del Paul Getty Museum , Michael Brand, annunciò, durante un incontro a Roma con il nuovo ministro per i Beni Culturali, Francesco Rutelli, la disponibilità a restituire la Venere di “Morgantina” e il Giovane vittorioso di Lisippo, assieme ad un’altra dozzina di reperti. A riconoscimento di questa inedita politica di cooperazione dell’istituzione americana, l’Italia si accordò a prestare importanti opere per alcune esposizioni nel Museo americano.

Si giunge così al 22 novembre del 2006 e alla nota lettera di Michael Brand, pubblicata con ampio risalto dal New York Times (che ha resi pubblici anche gli accordi sottoscritti il mese prima), il direttore scrive: “Se da un lato sono determinato a garantire che il J. Paul Getty Museum adempia a tutti i suoi impegni internazionali, dall’altro ho ugualmente l’obbligo di preservare e tutelare la collezione del Getty Museum, e di attenermi alle leggi della California. Questo significa che non posso restituire oggetti, come la statua del Giovane Vittorioso, che l’Italia per sua stessa ammissione non può rivendicare dal punto di vista legale, o oggetti per cui vi siano prove insufficienti a sostegno della richiesta italiana”. La lettera ha generato una profonda delusione. Rutelli, qualche giorno fa ha parlato di “embargo culturale” ed ha sottolineato che è impossibile che un museo “continui ad esporre opere rubate”, e l’avvocato dello Stato, Maurizio Fiorilli, che rappresenta i Beni Culturali nel contenzioso con il Getty, ha dichiarato “Alla lettera del direttore del Getty Museum dovremo dare una risposta articolata e adeguata, visto che la vicenda è molto complessa. In base alla lettera del direttore del Museo Getty le trattative ormai si sono fermate. Siamo a bocce ferme. E’ ovvio che toccherà al ministero replicare a dovere con una posizione ufficiale”.

Queste sono le dichiarazioni degli organi predisposti, ma è opportuno replicare qui al comunicato di Brand, sottolineando che, innanzitutto, per quanto attiene al bronzo di Lisippo, è comunque certo che l’esportazione è stata illegale: il bronzo, infatti, venne ritrovato in acque territoriali italiane, perciò, in base alla legge n.1089 del 1939, appartiene allo Stato Italiano. Nell’ipotesi in cui non fosse in acque territoriali italiane (eventualità da escludere sulla base delle attuali conoscenze), essendo comunque sbarcato in Italia, sarebbe stato soggetto all’obbligo di notifica al ministero e alla conseguente autorizzazione per l’esportazione. Lo stesso discorso è valido anche per la Venere di “Morgantina”, rinvenuta, per di più, sul suolo italiano. Ricordo inoltre che in Italia, Stato membro dell’Unione Europea, vige la Direttiva 93/7/CEE del Consiglio (15 marzo 1993), in cui si legge: “La direttiva riguarda la restituzione dei beni culturali classificati, prima o dopo aver lasciato illegalmente il territorio di uno Stato membro, come appartenenti al patrimonio artistico, storico e archeologico nazionale, conformemente alla legislazione o alle procedure amministrative nazionali ai sensi dell’articolo 36 del trattato. Essa si applica dal momento in cui detti beni escono dal territorio di uno Stato membro in modo illegale, cioè in violazione della legislazione ivi vigente o delle condizioni cui è subordinata la concessione di un’autorizzazione temporanea d’esportazione”.

Ora, al di là del vociferare legislativo, sappiamo molto bene che l’Italia è uno dei paesi più colpiti per quanto riguarda l’esportazione di opere illegali trafugate da scavi archeologici. Nella maggior parte dei casi è molto difficile poter intervenire perché data l’enorme quantità di beni archeologici, molti di essi non risultano neanche essere inventariati, ad esso poi va aggiunto il lavoro dei tombaroli con i loro scavi clandestini. A queste difficoltà interne si somma il problema della restituzione e gli ostacoli internazionali che ad esso si correlano. Infatti, ogni volta che un Museo restituisce un’opera che risulta essere stata trafugata, l’atto diviene un precedente a cui appellarsi. Per tale motivo, dietro ogni apparentemente semplice restituzione ci sono tantissimi accordi e richieste diplomatiche dietro. Basti pensare che nel dicembre 2001 venne creata una “Carta” firmata dai direttori dei più grandi musei del mondo, contro le richieste incessanti di restituzione di opere trafugate, in cui si legge: “ L’acquisizione di antichità classiche da parte dei musei e nordamericani ha contribuito all’affermazione della scultura greca e del suo valore, ancora attuale nel mondo contemporaneo, come modello per l’umanità intera. Le acquisizioni avvenute in passato devono essere valutate in base a criteri diversi, propri di quelle epoche. Consideriamo questi avvenimenti parte della storia dell’opera d’arte”. Ed ora, dopo aver chiarito la storia di queste due opere, e aver dato voce all’una e all’altra parte, altro non ci resta che aspettare il “non proprio naturale” evolversi della vicenda, nella speranza di non dover attendere troppo a lungo.

Tatiana Genovese
Fonte: www.rinascita.info
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29.11.06


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