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Scorie Tossiche nell'Arcipelogo Toscano


Mari
 Mari
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SCORIE TOSSICHE
NELL'ARCIPELAGO TOSCANO

12.1.12

di Gianni Lannes

Morti due pescatori e una tartaruga marina. Il contrammiraglio Dell’Anna tace… ma spunta fuori il chiacchierato ministro dell’Ambiente

Parole, parole, soltanto parole. L’allarme rosso delle istituzioni parte in notevole ritardo. Tranquilli: ora arriva il chiacchierato ministro Clini, un discutibile esperto che in passato ha avuto le mani in pasta coi rifiuti. «Individuarli e recuperarli è una questione di carattere nazionale e non bisogna perdere altro tempo» taglia corto il governatore Rossi. L’individuazione e il recupero dei bidoni contenenti sostanze pericolose persi nel santuario marino lo scorso 17 dicembre dal cargo Venezia dell’armatore Grimaldi Lines, devono «diventare una questione di carattere nazionale» e «non bisogna perdere altro tempo». E’ la richiesta avanzata dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. «Serve un’autorità di carattere nazionale - ha sottolineato - una commissione tecnico-politica, che possa usare tutti i mezzi necessari. Non vorremo che rimpalli di responsabilità o lentezze nel finanziamento bloccassero l’operazione». Siamo alla punta dell’iceberg. Col beneplacito dello Stato al largo della Toscana sono stati inabissati rifiuti pericolosi d’ogni genere per decenni. Lo studio scientifico - Rifiuti a galla - consegnato mesi fa da Greenpeace ai governatori della Liguria e Toscana è inequivocabile. Burlando e Rossi da allora, però, non hanno mosso un dito.

Mosaico ingarbugliato - Il comandante del cargo Venezia Pietro Colotto (l’unico indagato per ora) aveva fissato alle 5,20 l’impatto con un’onda di 10 metri che aveva causato una rollata di 37 gradi. E aveva aggiunto di essersi accorto di aver perso i camion solo all’arrivo a Genova, dove aveva formalizzato la denuncia. La nostra fonte anticipa l’orario («poco dopo le 3») e assicura che «nella notte si parlava già di due camion in mare. C’era l’allerta meteo, in molti dovevano essere in ascolto: capitaneria, finanza, porticcioli...». Possibile aver saputo dei camion e solo dopo del contenuto? Assai improbabile: perché, spiega la nostra fonte, «la procedura per le merci pericolose (Hazmat, hazardous material) prevede che la capitaneria di partenza dirami un messaggio al comando di Roma con descrizione di carico, rotta, eccetera. Quel carico viene monitorato durante il viaggio. Tutti sanno». Tra le domande che si pone anche il magistrato Luca Masini c’è quella dell’opportunità di salpare con determinate condizioni meteo. I bollettini del 16 e del 17 dicembre indicavano tempeste, venti forti di libeccio, mari molto mossi, possibilità di onde superiori ai cinque metri davanti alle coste toscane e liguri. Il comandante Colotto dice che è stato un evento straordinario, «un mare mai visto in Mediterraneo». La Grimaldi, gruppo di cui fa parte la società armatrice Atlantica, scrive che quest’ultima «dopo l’incidente si è subito attivata per ottemperare alle richieste della capitaneria di Livorno, senza che ciò costituisca un riconoscimento di responsabilità, essendo stata la perdita dei due semirimorchi un evento determinato unicamente da un atto di forza maggiore». Aggiunge la Grimaldi che «i fusti si sono persi in una manovra decisa dal comandante per salvare vite, oltre che la nave»; e che «il nostro iniziale silenzio era necessario per rispetto verso le autorità che indagano». Ci sono altri aspetti da appurare, come l’ancoraggio. E’ normale che quei semirimorchi fossero sul ponte di coperta? Ma erano rizzati bene, cioè assicurati coi cavi? E i ganci erano collaudati? Spetta alle compagnie portuali, ma Grimaldi di solito provvede in proprio. E poi ci sono quelle sostanze di cui conosciamo sigle, utilizzo ma sulla cui pericolosità sappiamo poco: catalizzatori cobalto-molibdeno, usati per raffinare il petrolio, infiammabili al contatto con l’aria. E in acqua? Alla raffineria Isab di Priolo, di proprietà Erg (i famigerati inquinatori Garrone che hanno già assassinato un pezzo della Sicilia orientale) e Lukoil, che li aveva rispediti in Lussemburgo per farli ricaricare, manco sapevano di averli persi. O almeno così dicono.


Mediterraneo, delfini.

Dubbi ecologici - Che ci faceva una nave carica di materiale inquinante nel bel mezzo del Santuario dei Cetacei con un mare forza 9/10 e onde di 10 metri? La storia delle 40 tonnellate di catalizzatore Co.Mo (cobalto-molibdeno) disperse dall’ “Eurocargo Venezia” della Grimaldi Lines al largo di Livorno, all’alba del 17 dicembre 2011, ha parecchi punti oscuri. «La logica vorrebbe che con quelle condizioni il comandante cerchi un riparo ma fermare una nave costa. O ci pensa un’Autorità a bloccare il traffico marittimo in caso di maltempo. Succede per le autostrade, perché non in un’area marina che dovrebbe essere protetta? Oppure decide l’armatore e qualcuno che ha voglia di “correre il rischio” si trova sempre» osserva Alessandro Giannì di Greenpeace. Ma in un’area di mare protetta - il Santuario - non dovrebbero esserci regole che permettono di fermare i trasporti di sostanze pericolose in caso di burrasca? «Purtroppo dentro o fuori il Santuario non cambia praticamente nulla. Anche se la legge di ratifica dell’Accordo sul Santuario ha più di 10 anni, non è stato fatto niente di serio per tutelare questo mare che, oltre a balene e pesci, ospita milioni di persone che popolano le sue coste» spiega l’esperto Giannì. Il carico sarebbe contenuto in fusti chiusi ma l’elicottero della Capitaneria, che ha sorvolato l’area, di fusti galleggianti non ne ha trovati: è sicuro che i fusti fossero chiusi? Dentro i fusti, il prodotto sarebbe poi “protetto” da un solido involucro di plastica (i bustoni d’immondizia formato condominiale?) “chiuso con un nodo fatto a mano”, come informa la comunicazione della Capitaneria ai pescatori. Anche questa comunicazione arriva in ritardo, solo il 2 gennaio: chi ha deciso che questo doveva essere il primo disastro del 2012 e non l’ultimo del 2011? La medesima comunicazione della Capitaneria chiarisce che il materiale in questione non è acqua di colonia poiché raccomanda di non tenere a bordo eventuali fusti “pescati” ancora chiusi, trainandoli fino a sito da concordare con l’Autorità, cercando di stare sottovento “rendendo l’equipaggio meno esposto”. A cosa? Il catalizzatore Co.Mo. può rilasciare anidride solforosa e/o idrogeno solforato: sono entrambi irritanti ma l’ultimo può essere, oltre certe dosi, letale. Del resto anche cobalto e molibdeno sono contaminanti pericolosi. Se il cobalto è noto per causare anche danni al fegato, il molibdeno si distingue per diarrea e anemia. Fare oggi previsioni sugli effetti verosimili di questa ennesima contaminazione del Santuario dei Cetacei è impossibile. Inoltre, la Capitaneria informa che “nel caso in cui dal sacco della rete [da pesca…] si sprigioni calore, si dovrà provvedere a irrorare lo stesso con getto d’acqua continuo e a bassa pressione.” Insomma, è roba che va in “autocombustione a causa del contatto del prodotto con l’aria”. «C’è di che scaldare gli animi al “tavolo tecnico” che , le Regioni Liguria e Toscana hanno promesso di convocare entro febbraio, per discutere finalmente dopo 10 anni di una gestione seria del Santuario dei Cetacei. Sperando che non ci siano altri disastri nel frattempo» denuncia l’ecologista Giannì.

Rivela un altro lavoratore del mare - «Puntualmente capita anche a noi di tirare su fusti. Noi abbiamo delle rotte fisse e caliamo le reti sempre nei soliti punti, ma ci capita di tirare su questa merda. E quando accade significa che poche ore prima
è passata una nave a scaricare. A levante di Gorgona, ad esempio, è difficile tirare su questa robaccia perché un pò tutti pescano in questo specchio di mare e chi fa affondare i bidoni ha interesse che la cosa resti più nascosta possibile. Se invece vai a ponente di Gorgona, nel tratto dall’isola a La Spezia per intendersi, trovi di tutto. E’ una zona quasi mai battuta dai pescatori un pò per la profondità delle acque e un pò perché si sa che ci buttano di tutto. Però attenzione, capita anche di pescare bidoni nella rotta Vada-Gorgona. A me è successo tante volte. Quando ho tirato su i bidoni ho fatto quello che fanno tutti per non avere rogne. Li ributtiamo a mare sottocosta, cioè entro le prima tre miglia dal litorale, dove c’è divieto di pesca. Sai perché non lo comunico a nessuno? Perché se vado alla Capitaneria o all’Asl fermano il peschereccio chissà per quanto tempo e per noi il tempo è prezioso. Già facciamo fatica a sopravvivere così. E’ un pò come i pescatori siciliani quando tirano su i cadaveri degli immigrati. Sono costretti a ributtarli a mare e stare zitti altrimenti gli sequestrano il peschereccio per intere settimane. Mi viene da ridere a leggere che “per una verifica più puntuale della situazione la Capitaneria effettuerà un sorvolo aereo sul litorale, in particolare sulla zona della costa segnalata dai cittadini. Invece di prendere un campione d’acqua volano sopra il mare con l’elicottero. E’ tutta una colossale presa in giro?. Ti trovi di fronte a cose talmente più grandi di te che ti senti impotente. Tutti sanno cosa succede qua davanti, ma nessuno vuole fare niente. La maggior parte dei fusti tossici non viene denunciata alle autorità competenti. Viaggia sotto traccia perché costa molto meno ungere tizio nell’ufficio X, Caio nell’ufficio Y e Sempronio della compagnia Z che smaltirli in modo corretto. Cosa pensi ci voglia a imbarcare e poi scaricare un certo numero di bidoni su una nave? È una pura formalità”. Il comandante della Grimaldi ha denunciato l’affondamento in mare dei bidoni per almeno un paio di motivi. Primo perché riversare una tale quantità di sostanze nocive nel mare non è come gettare un paio di fusti, ma significa distruggere un intero ecosistema probabilmente per sempre. Nessuno mi sembra si stia rendendo davvero conto della catastrofe ecologica che è scoppiata. O forse chi di dovere se ne rende conto e ha interesse a silenziare la questione. Secondo perché si è evidentemente sfruttato un mare forza 10 per fare finta che si possa essere trattato di un incidente. Ma un incidente non è stato di sicuro. Hai presente com’è fatta una nave cargo come la Venezia? Come fa una nave del genere a perdere 200 fusti. Lo sanno tutti che non è stata una disgrazia fortuita, ma non conviene a nessuno denunciarlo e andare fino in fondo. Se le autorità competenti facessero fino in fondo il loro mestiere e condannassero la Grimaldi si scoperchierebbe il famoso vaso di Pandora. Emergerebbero le tangenti e le mazzette che girano intorno al business dei rifiuti tossici affondati, l’approssimazione dei controlli degli enti preposti e la totale vulnerabilità delle aree portuali. E ovviamente si spargerebbe il panico tra la popolazione: la gente non comprerebbe più il pesce, noi pescatori ci ritroveremmo improvvisamente senza lavoro, i politici locali verrebbero chiusi a doppia mandata alle Sughere per aver permesso di trasformare una zona come il Santuario dei Cetacei in una discarica e il turismo crollerebbe. Hai visto come tutti si rimpallano le responsabilità? E chi non lo fa parla, parla, parla, ma non fa niente. Io, comunque, il pesce che peschiamo glielo do malvolentieri a mio figlio, preferisco dargli un nasello surgelato che viene dalla Norvegia. Non esagero, anche perché non ho nessuna convenienza».

Morti due pescatori - Sei vittime tra i lavoratori del mare in circostanze nebulose negli ultimi 13 anni. Al largo di Livorno la cronaca di questi giorni è spietata. Rete impigliata: il peschereccio Santa Lucia II affonda. Morto il padre, disperso il figlio. Un terzo membro dell’equipaggio è stato recuperato in fin di vita. Il comandante si chiamava Silverio ed aveva 64 anni. Il figlio Davide, appena 37 primavere. Strano incidente: mare piatto, cielo sereno, nemmeno un filo di vento, attestano i bollettini metereologici. La rete si impiglia in un ostacolo sul fondale: la barca si inabissa e i tre uomini spariscono nei flutti. I pescatori del Santa Lucia non sarebbero riusciti a inviare nemmeno un primo s.o.s. L’incidente è avvenuto a circa 16 miglia circa a sud del porto cittadino. «Sembra che a provocare l’incidente sia stato un problema con la rete - dice Cosma Scaramella, capo del reparto operativo della guardia costiera livornese - E’ possibile si sia impigliata in qualcosa sul fondo e abbia fatto capovolgere lo scafo». I Curcio, originari di Ponza: una famiglia segnata dal destino. Correva il 13 settembre 2003 quando a 12 miglia da Piombino il San Mauro Primo fu sventrato dalla nave Jolly Blu, della compagnia Messina, già coinvolta nel nebuloso naufragio della Jolly Rosso in Calabria (anno 1990). A lasciarci la pelle fu Pasquale Curcio. Il suo corpo fu recuperato solo in seguito alle suppliche della famiglia al presidente della Repubblica Ciampi: il 5 febbraio 2004, a 120 metri di profondità. Altro che sfortuna. Al contrammiraglio Ilarione Dell’Anna ho chiesto se esiste un qualsivoglia nesso con la presenza sui fondali dell’arcipelago toscano di ostacoli particolari. Risposte? Al momento, zero. Ultima pessima notizia. Una tartaruga Caretta Caretta di circa 70 centimetri è stata recuperata dai sommozzatori dei vigili del fuoco all’interno del porto di Livorno. La testuggine marina, al momento dell’operazione, era già morta. La tartaruga, pesante circa 20-25 chili era stata segnalata intorno alle 10 dalla Guardia Costiera che ha inviato sul posto il personale dei vigili del fuoco del distaccamento porto. Segnali inquietanti? Non si muore per caso.

MEDICINA DEMOCRATICA LIVORNO
Video della conferenza di Gianni Lannes a Livorno sulle navi dei veleni
http://medicinademocraticalivorno.blogspot.com/2010/04/video-della-conferenza-di-gianni-lannes.html


Livorno, tartaruga marina.


Nave Venezia.

http://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2012/01/scorie-tossiche-nellarcipelago-toscano.html

PS Notare la data ... e da domani? 🙄


Citazione
helios
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Sei vittime tra i lavoratori del mare in circostanze nebulose negli ultimi 13 anni. Al largo di Livorno la cronaca di questi giorni è spietata. Rete impigliata: il peschereccio Santa Lucia II affonda. Morto il padre, disperso il figlio. Un terzo membro dell’equipaggio è stato recuperato in fin di vita. Il comandante si chiamava Silverio ed aveva 64 anni. Il figlio Davide, appena 37 primavere. Strano incidente: mare piatto, cielo sereno, nemmeno un filo di vento, attestano i bollettini metereologici. La rete si impiglia in un ostacolo sul fondale: la barca si inabissa e i tre uomini spariscono nei flutti. I pescatori del Santa Lucia non sarebbero riusciti a inviare nemmeno un primo s.o.s. L’incidente è avvenuto a circa 16 miglia circa a sud del porto cittadino. «Sembra che a provocare l’incidente sia stato un problema con la rete - dice Cosma Scaramella, capo del reparto operativo della guardia costiera livornese - E’ possibile si sia impigliata in qualcosa sul fondo e abbia fatto capovolgere lo scafo».

.....certo si parla di tutto e di tutti ma non di questo inquinamento....perchè?

BASE E INQUINAMENTO AMBIENTALE

L’impatto della base sull’ambiente fisico e sociale è molto elevato.
Da un punto di vista dell’ecosistema è bene ricordare che la pineta di Tombolo è una della ultime rimaste tra quelle che ricoprivano le coste del Mediterraneo. Vi sono ancora daini, cervi e cinghiali all’interno della base. Gli statunitensi, per questioni di sicurezza, hanno però stanziato due milioni di dollari per ripulire il sottobosco, compromettendo la conservazione della flora e della fauna presente.
In generale i siti militari pongono enormi problemi di inquinamento. Le tipiche operazioni che vengono svolte al loro interno richiedono una varietà di processi industriali, alcuni specificatamente militari, altri del tutto simili alle routines delle industrie civili.
Basti pensare che tra i siti di cui è prevista la bonifica in provincia di Pisa, circa la metà si trova all’interno di Camp Darby. Questa però probabilmente è solo la punta dell’iceberg: occorrerebbe quindi passare al setaccio la base per accertare quale sia il suo reale impatto ambientale.

NELL’AGOSTO DEL 2000* SI RISCHIA IL DISASTRO PER UN CEDIMENTO DEI MAGAZZINI

Secondo il sito statunitense www.GlobalSecurity.org, che ha tratto la notizia dalla rivista tecnica del Genio dell’esercito USA, nell’estate del 2000 alla base di Camp Darby è stato effettuato lo sgombero d’emergenza di numerosi ordigni.
L’attività si rese necessaria in quanto, già a partire dalla primavera dello stesso anno, era stato rilevato un cedimento parziale delle strutture di copertura di alcuni magazzini munizioni refrigerati, costruiti al centro della pineta, peraltro già precedentemente sottoposti a lavori di restauro. Il materiale esplosivo immagazzinato nelle strutture fu spostato in altri magazzini, impiegando sia personale sia robot telecomandati, in modo da evitare i rischi più grossi.
Più precisamente vennero sgomberati con estrema cautela otto depositi sotterranei e igloo, contenenti 100.000 ordigni con 23 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale.
L’operazione, durata 12 giorni, viene descritta dai militari USA come “delicatissima”, anzi addirittura, come “un piccolo miracolo”.
Tutto, naturalmente, nel più assoluto segreto. Le stesse autorità civili italiane furono tenute all'oscuro. Ancor più la popolazione circostante che, proprio d'estate, si moltiplica riversandosi nelle località di villeggiatura della costa.
La notizia, diffusa in Italia dal Corriere della Sera solo il 13 gennaio 2003, provoca varie reazioni istituzionali, ma senza lasciare strascichi.

URANIO IMPOVERITO

Nel febbraio 2003 la base viene visitata dai deputati dei Verdi Paolo Cento e Mauro Bulgarelli e dalla deputata di Rifondazione Elettra Deiana, i quali vengono ricevuti dal comandante italiano colonnello Ilio Venuti e dal colonnello americano Walton Carrol, responsabile di tutte le basi statunitensi di supporto logistico. Quest’ultimo nega la presenza di armi nucleari, ma conferma quella di proiettili all’uranio impoverito, sia per aerei che per carri armati. Specifica inoltre che spostamenti di tali munizioni da dentro e da fuori la base avvengono in continuazione, sia utilizzando il trasporto su nave che quello su gomma, ma non quello ferroviario.
Ma che cosa sono queste munizioni all’uranio impoverito? Cosa provocano?
In merito alla pericolosità dell'uranio impoverito attualmente esiste una preoccupante serie di evidenze scientifiche che portano a supporre un effettivo rischio per i militari e le popolazioni civili che entrano in contatto con questo metallo dopo la sua esplosione.
L’uranio impoverito, cioè uranio naturale privato della sua componente “fissile” può essere prodotto sia come scarto dalla raffinazione -detta “arricchimento”- del combustibile nucleare (per farne testate di bombe e combustibile per centrali elettriche), che come riprocessamento del combustibile esaurito. E’ relativamente innocuo allo stato inerte, diventando però altamente dannoso se, in seguito alla sua combustione o alla sua ossidazione, viene inalato o ingerito sotto forma di pulviscolo o di ossido.
Le particelle radioattive e gli ossidi nel tempo possono provocare una vasta gamma di manifestazioni tumorali: dalle neoplasie polmonari e vescicali alle leucemie. Ai danni provocati dalla radioattività bisogna aggiungere quelli ben più gravi causati dalla tossicità chimica di questo materiale, come di tutti i metalli pesanti. Infatti se gli ossidi entrano a contatto delle falde acquifere e si inseriscono nel circuito alimentare attraverso gli ortaggi, la carne ed il latte, i danni fisici possono essere incrementati e raggiungere livelli di guardia. Diversi studi indipendenti italiani sostengono che l’uranio impoverito sia responsabile delle diverse forme tumorali diagnosticate su militari italiani in missione in Kossovo. Altri studi hanno messo in evidenza un’elevata incidenza di leucemie e malformazioni neonatali in aree (come ad esempio in Iraq, in Afghanistan e in Kossovo) in cui si è fatto un massiccio uso di queste munizioni.
Circa un terzo delle truppe statunitensi al ritorno dal conflitto iracheno del 1991 è stata affetta dalla cosiddetta “sindrome del golfo”, consistente in un quadro patologico complesso e non univoco che comprende manifestazioni cancerogene, malformazioni neonatali, emorragie, difficoltà respiratorie, fatica cronica, perdite di memoria e della capacità di concentrazione, disturbi della personalità.
L’uranio impoverito, le cui caratteristiche belliche sono “eccezionali” per i risultati che ottiene ed il costo relativamente basso, non fa però distinzione tra “buoni” o “cattivi”, colpisce chiunque si trovi nel momento dell’impatto del proiettile in un raggio di 60 – 70 metri dal bersaglio e nel breve-medio termine genera conseguenze connesse all’inquinamento ambientale e della catena alimentare. Il rischio maggiore, quindi, è quello delle imprevedibili conseguenze a lungo termine che possono correre le popolazioni civili destinate a vivere in prossimità delle aree inquinate.

Un residuo di uranio impoverito di mezzo kg rappresenta una fonte inquinante 3000 volte superiore a quella stabilita dal DL 230/95. E’ quindi sicuramente elevata la probabilità che manipolando anche piccolissimi frammenti di uranio impoverito si corra il rischio di essere contaminati nei termini descritti dalla legge.
Da non addetti ai lavori sorge così una domanda: visto che l’Esercito italiano non ne ha in dotazione, perchè in casa nostra degli stranieri tengono un’ arma le cui conseguenze possano essere altamente dannose?

CHI PAGA LE SPESE DELLE BASI U.S.A. IN ITALIA?
I CONTRIBUENTI ITALIANI NATURALMENTE….

Con i soldi dei contribuenti italiani si pagano non solo le spese militari del nostro paese, ma addirittura i costi delle basi americane in Italia.
Denaro liquido ma anche sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite di trasporti, tariffe e servizi.
In proporzione, siamo il paese NATO che versa di più agli USA: il 37% delle spese complessive contro il 27% della Germania. Contributi diretti e indiretti «aggiuntivi rispetto a quelli della Nato», spiega lo statunitense Report on allied contributions to the common defense.
Qualche dato: l'Italia nel 1999 stanziò alle basi USA 480 milioni di euro, nel 2001 324 milioni di euro e circa 367 milioni di euro nel 2002.
Ma non finisce qui.
Nei patti tra Washington e Roma esiste una clausola chiamata Returned property - residual value, che prevede un indennizzo per le «migliorie» apportate. L'accordo è top secret, ma qualcosa filtra alla pagina 17 delle «osservazioni preliminari» che il GAO (Government Accountability Office), organismo del Congresso USA che controlla la Casa Bia
nca (un po' come la nostra Corte dei Conti), ha consegnato al congresso USA nel luglio del 2004. Leggiamo: «Gli accordi bilaterali stabiliscono che se il governo italiano riutilizza le proprietà restituite entro tre anni, gli Stati uniti possono riaprire le trattative per il valore residuale». Che più o meno vuol dire: se i terreni vengono riusati entro quel periodo, il rimborso va aumentato: CI FARANNO PAGARE 2 VOLTE I TERRENI INQUINATI DOVE PER OLTRE 50 ANNI HANNO MANTENUTO LE LORO BASI MILITARI!

http://www.viacampdarby.org/absolut/_home_appro_det.php?articleID=102

PS-Corrado Clini è stato nominato ministro dell'ambiente della tutela del territorio e del........mare.

http://it.wikipedia.org/wiki/Corrado_Clini


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