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Stralci sullo IOR(tratto da Avarizia di Fittipaldi)


helios
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l libro che fa tremare il Vaticano: ecco gli stralci sullo Ior
Pubblichiamo alcuni brani del capitolo sulla banca vaticana dal volume di Emiliano Fittipaldi dal titolo "Avarizia" (Feltrinelli, 214 pagine, 14 euro)
di Emiliano Fittipaldi
06 novembre 2015

Appena arrivato, nel luglio 2013, Francesco annunciò di non sapere ancora se riformare lo Ior o fargli chiudere i battenti. «Alcuni dicono che forse è meglio che sia una banca, altri che sia un fondo di aiuto, altri dicono di chiuderlo», spiegò ai giornalisti prima di decidere, qualche mese dopo, che lo Ior avrebbe continuato a fornire «servizi finanziari specializzati alla Chiesa cattolica in tutto il mondo», con maggiore trasparenza 
e più onestà (...)

I CONTI SEGRETI
L’istituto e i media vaticani, insieme a quelli di testate di mezzo mondo insistono a esaltare il nuovo corso della banca. Improntato, giurano, a una trasparenza assoluta dei conti dei clienti. Fino all’altroieri cifrati e segreti, inaccessibili alle autorità giudiziarie italiane e a chi voleva ficcare il naso nei depositi di coloro che celavano nel torrione Niccolò V i propri averi. Dal 2010 lo Ior, prima con il presidente Ettore Gotti Tedeschi, poi con il successore Ernst von Freyberg, in seguito a scandali a catena ha tentato davvero di cambiare verso, per mettersi a posto con gli standard internazionali ed entrare nella “white list” dei paesi virtuosi. Da sempre considerato offshore al pari delle Isole Vergini statunitensi o di Andorra, quell’anno lo Ior ha chiesto l’intervento degli ispettori di Moneyval, l’organismo creato dal Consiglio d’Europa nel 1997 per vigilare sulle misure di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo; 
la commissione che, in pratica, ha il compito di valutare la conformità di ciascun paese terzo con le regole europee.
[[(article) Così è nato il libro 
sul Vaticano]]
Il rapporto Moneyval del 2012 ammette che il Vaticano ha fatto “notevoli progressi” nell’adozione di misure normative per combattere il riciclaggio, ma che la nuova struttura “deve essere ancora provata all’atto pratico”. I vertici della banca vaticana 
e dell’Aif, la nuova Autorità di informazione finanziaria creata nel 2010 per vigilare sull’istituto e presieduta da novembre 2014 dallo svizzero René Brülhart, periodicamente annunciano di aver fatto piazza pulita dei conti anonimi e di coloro che non hanno diritto ad averli, cioè i “laici” e gli utenti business che non risiedono nella Santa Sede. Dall’inizio della pulizia sono stati “chiusi 4614 rapporti”, spiega il bilancio Ior pubblicato nel 2015, di cui la stragrande maggioranza “dormienti” (inattivi o con saldi molto bassi) o “chiusure fisiologiche”. Ben 554 dei conti chiusi sono appartenenti invece ad “abusivi”: presumibilmente professionisti, imprenditori, politici, faccendieri che hanno usato la banca vaticana per i loro affari, o per depositare all’estero somme guadagnate in Italia. Ora, a parte le dichiarazioni vaticane e la rivoluzione normativa effettuata, non tutti a Roma sono convinti che dal punto di vista “operativo” sia cambiato davvero molto rispetto ai tempi di Benedetto XVI. Nelle procure italiane, Roma in primis, e in Banca d’Italia si chiedono da qualche tempo 
se i conti attenzionati siano stati finalmente chiusi, o solo bloccati e lasciati dormienti, al sicuro, nelle casseforti d’Oltretevere.

Di certo nessuno sa dove siano finiti i soldi dei vecchi clienti fuoriusciti dal Vaticano. La filosofia dei manager del papa sembra infatti improntata alla tarantella napoletana “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato”: se l’obiettivo finale è quello di un nuovo inizio immacolato, il passato oscuro deve rimanere tale, e venire rapidamente dimenticato. È un fatto che i clienti più “pesanti” e diplomaticamente imbarazzanti abbiano capito che la musica stava cambiando già nel 2008, quando hanno cominciato a uscire dalle mura leonine per trovare rifugio altrove. Le nostre autorità non hanno avuto alcuna informazione sui movimenti finanziari (al tempo il Vaticano aveva mani libere potendosi muovere senza alcuna regola), ma sospettano che enormi somme di denaro siano state bonificate in paesi offshore e in alcune banche della Germania. Perché proprio a Berlino? Perché le autorità antiriciclaggio tedesche sono da sempre assai deboli rispetto a quelle di altri paesi europei: la Financial Intelligence Unit (Fiu) di Angela Merkel è infatti un dipartimento inglobato nella polizia tedesca, senza autonomia, con uomini, mezzi e capacità di analisi finanziarie imparagonabili agli uffici italiani dell’Uif (l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia) o alle Fiu francesi o spagnole. Se dei clienti scappati prima della tempesta e dell’arrivo di papa Francesco la Uif non ha mai avuto nessuna informazione, nemmeno dei 554 clienti misteriosi scovati dalla società di revisione Promontory, gli esperti tricolori dell’antiriciclaggio sono riusciti ad avere notizie: nonostante l’accordo di collaborazione firmato nel luglio 2013 tra la Aif (al tempo guidata dal cardinale Attilio Nicora) e la stessa Uif, finora la promessa informale di girare all’Italia la lista di tutti i clienti sospetti nascosti allo Ior non è stata mantenuta, e Bankitalia non ha potuto analizzare – se non in pochissimi casi – eventuali trasferimenti illeciti o presunte evasioni fiscali, da segnalare poi alla magistratura italiana per possibili indagini penali. Un fuggi fuggi generale che rischia ormai di rimanere impunito.

Mentre andiamo in stampa allo Ior galleggiano poco più di cento conti sospetti, tra cui una decina intestati a nomi eccellenti che potrebbero creare più di un disagio a Santa Romana Chiesa. In qualche caso si tratta di eredità di clienti laici ancora da liquidare (a bilancio la somma è messa a 17 milioni), ma altri depositi appartengono a professionisti e imprenditori. “Questi depositi sono stati bloccati,” ha giurato il capo dell’Aif Brülhart. All’Uif, però, sono rimasti di sasso quando hanno scoperto – dopo la lettura di un articolo giornalistico dell’agosto 2015 – che tra i clienti dello Ior ci sono ancora i nipoti del fu commendatore Lorenzo Leone. Un manager della Sanità che ha accumulato 16 miliardi di lire nella banca del torrione mentre dirigeva (o “depredava”, come hanno scritto i magistrati di Trani in una recente inchiesta sull’ospedale) la Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie, un manicomio di una congregazione religiosa di cui Leone fu dominus quasi fino alla sua morte.

IL PASSATO CHE NON PASSA
Nessuno, dal Vaticano, aveva avvertito le autorità italiane dell’esistenza di quel denaro. Solo quando i pm di Trani hanno spedito una rogatoria internazionale l’istituto ha confermato l’esistenza del deposito segreto. Prima di leggere la notizia sui giornali la nostra Uif non ne sapeva assolutamente nulla. Nonostante, almeno 
in teoria, l’Aif avrebbe dovuto girare ai colleghi dell’antiriciclaggio le informazioni 
del conto del commendatore mesi e mesi prima. Ma non è tutto. Bankitalia non 
solo ha capito che gli 8 milioni intestati agli eredi erano ancora Oltretevere, ma ha anche scoperto che quei conti non erano affatto congelati, ma periodicamente movimentati. Questo caso ha dimostrato a Bankitalia che il sistema dell’antiriciclaggio vaticano non funziona ancora a dovere.

Che le cose siano molto diverse da come appaiono sembra provarlo anche un’altra vicenda. Mentre scriviamo la procura di Roma ha spedito oltre le mura un’altra rogatoria internazionale, chiedendo conto e ragione di eventuali beni posseduti 
da Angelo Proietti. Un costruttore titolare della società Edil Ars, diventato celebre perché la sua ditta ha ristrutturato gratis la casa in cui ha abitato per anni 
l’ex ministro dell’Economia Gi
ulio Tremonti; un appartamento preso in affitto 
dal braccio destro del ministro, Marco Milanese, da una congregazione religiosa, il Pio Sodalizio dei Piceni. Ebbene, Proietti è uno dei fornitori storici del Vaticano e della curia romana per cui ha eseguito decine di lavori e interventi, e i pm – che da mesi sono alla ricerca del suo patrimonio – sono certi che parte dei suoi guadagni siano nascosti ancora oggi all’Istituto per le opere di religione. Anche questa vicenda, 
se le ipotesi investigative dei magistrati italiani si rivelassero corrette, dimostrerebbe che la Santa Sede scambia informazioni con procure e autorità antiriciclaggio di Roma solo col contagocce. Nonostante quello che sta scritto nel memorandum tra Italia 
e Vaticano: “Il protocollo impegna le due autorità, Aif e Uif, a scambiare ampie 
e complete informazioni per lo svolgimento dei rispettivi compiti di analisi finanziaria 
di operazioni sospette. A tal fine, ciascuna autorità fornirà le notizie disponibili 
o acquisibili attraverso l’esercizio dei propri poteri,” spiegava una nota ufficiale 
della Banca d’Italia dopo la firma dello storico accordo. Finora, però, il banco 
di prova non sembra essere stato superato.

L’ufficio stampa dello Ior, a nostra domanda sul perché Proietti e altri laici abbiano ancora un conto in banca, replica che, per conformarsi alla legislazione antiriciclaggio vaticana, “lo Ior non si può limitare a chiudere un conto. Se così fosse si consentirebbe agli utenti una sorta di ‘condono’. I conti sono sottoposti a blocco preventivo. 
Quindi lo Ior deve procedere all’adeguata verifica, sia dell’origine dei fondi, sia della movimentazione. Nel frattempo i conti sono sottoposti a monitoraggio rafforzato. 
Sono quindi possibili due scenari: in caso di assenza di profili di anomalia, cessata l’adeguata verifica, e ricomposto tutto il patrimonio informativo, l’Aif può autorizzare la chiusura del conto con un bonifico in un Paese dotato di un regime antiriciclaggio effettivo, e, nel caso di cittadini italiani, solo verso istituti di credito italiani; oppure
nel caso vi siano profili di anomalia, il conto è segnalato preventivamente alla Fiu 
del Paese di cittadinanza”. Lo Ior non conferma e non smentisce l’esistenza del conto di Proietti. “Non è possibile parlare di casi concreti, si violerebbero il segreto di ufficio e il segreto istruttorio, ma se Proietti aveva un conto presso lo Ior, e questo conto è ‘non conforme’ alla legislazione antiriciclaggio vaticana e alle nuove politiche Ior, ciò che 
si può affermare è che esso è stato sottoposto alla procedura spiegata”.

“Il fatto che l’autorità giudiziaria di un Paese estero chieda la collaborazione della Santa Sede non significa che il conto sia ancora aperto o attivo, oppure che nel frattempo non stia già indagando l’autorità giudiziaria vaticana”.

La volontà del papa di rivoluzionare le abitudini della banca non è messa in discussione nemmeno dagli investigatori italiani più scettici, ma che in Vaticano esistano anche forti sacche di resistenza contrarie al mantra della trasparenza assoluta è – inchieste alla mano – innegabile. Se il futuro della banca deve essere incorrotto, il passato pesa ancora come un macigno, e pulire le macchie e le incrostazioni per farle definitivamente scomparire non è operazione semplice, soprattutto quando non si vuole tradire la fiducia dei vecchi clienti, chiunque essi siano. La strada della redenzione rischia di essere ancora lunga, nonostante gli annunci ripetuti dai cardinali “sulla lotta senza quartiere a ogni opacità”. 
A oggi per la Banca d’Italia lo Ior resta ancora “una banca extracomunitaria che opera in un ordinamento che non è incluso nella lista dei paesi extracomunitari con regime antiriciclaggio equivalente”...

TUTTI CONTRO TUTTI
...Dall’estate 2014 lo Ior, il suo tesoro 
e le strategie finanziarie vaticane sono gestiti direttamente o indirettamente da tre persone: 
il cardinale George Pell e due finanzieri laici, 
il maltese Joseph Zahra e Jean-Baptiste de Franssu, consiglieri privilegiati dell’australiano. Entrambi già membri della Cosea dal luglio del 2013 (la commissione referente 
per gli affari economici poi sciolta dopo aver consegnato le conclusioni del rapporto al papa), Zahra è oggi tra i sette membri laici del nuovo consiglio per l’Economia 
che – con otto ecclesiastici – ha il compito, insieme alla Segreteria di Pell, 
di indirizzare le scelte economiche vaticane. De Franssu, invece, è diventato 
il nuovo presidente dello Ior...

...De Franssu è anche amministratore delegato della società Incipit, e manager 
della Tages Capital Group del finanziere italiano Panfilo Tarantelli. Mentre il figlio di de Franssu, Luis-Victor, dal marzo 2014 è stato assunto proprio dalla statunitense Promontory, che ormai del Vaticano e dello Ior conosce ogni segreto... Non tutti sono felici della presenza degli statunitensi, però. Non solo perché i cardinali temono che dati sensibili sui conti e i clienti finiscano in mano a soggetti stranieri, ma anche perché Promontory ad agosto del 2015 è stata travolta da uno scandalo gigantesco. Che ne mina il mito di soggetto privato ma capace di fornire giudizi indipendenti.

Il Dipartimento per i servizi finanziari di New York ha infatti sospeso il 5 agosto 2015 le attività dell’azienda nell’omonimo Stato, perché accusata di aver “coperto” attività illecite effettuate da un suo cliente con lo scopo di proteggerlo da eventuali sanzioni economiche. Proprio così: leggendo il rapporto del New York State Department of Financial Services, si scopre che quando era consulente della banca inglese Standard Chartered il gruppo che deve fare trasparenza in Vaticano avrebbe volutamente eliminato da alcuni report la notizia di certe transazioni finanziarie che la filiale newyorkese Standard Chartered aveva fatto verso l’Iran. Operazioni illegali, visto che al tempo Teheran era sotto embargo internazionale. “Ci sono numerosi esempi che dimostrano come Promontory, sotto la direzione della banca o su suo consiglio, o di sua stessa iniziativa, effettua cambiamenti per ‘ammorbidire’ 
e ‘attenuare’ il linguaggio usato nei rapporti, evitare domande supplementari 
dai controllori, omettere termini allarmanti o altri interventi per rendere i report
più favorevoli alla banca”, scrivono gli investigatori dell’Nysd, che accusano la Promontory “di aver rimosso informazioni”, di aver usato invece di termini tecnici tipo “potenziali violazioni” frasi “più ambigue e innocue” e di aver alla fine “deliberatamente rimosso le transazioni” con l’Iran “dal rapporto”. Inizialmente il gruppo si è difeso annunciando ricorso, ma alla fine ha deciso di levarsi dagli impicci processuali pagando una multa da 15 milioni di euro. Nulla rispetto a quanto pagato dalla banca nel 2012, che per non aver rispettato le sanzioni economiche operando 59 mila transizioni con clienti iraniani per un giro d’affari di 250 miliardi di dollari, ha accettato di pagare alla giustizia americana 340 milioni di dollari. Se la Promontory ha chiuso la faccenda in tempi record, la storia dimostra che i dubbi sui potenziali conflitti d’interessi dei consulenti bancari assunti e pagati dalle banche per indagare sulle stesse sono molto lontani dall’essere sciolti.

CARDINALE CONTRO CARDINALE
Dopo gli scandali finanziari e le inchieste giudiziarie a catena, il papa sperava 
che George Pell, l’uomo che lui stesso ha soprannominato “il Ranger”, mettesse finalmente pace tra le porpore e facesse trasparenza su conti ed enti. Finora, 
al di là della propaganda bergogliana, non è andata come sperava Francesco. 
Basta leggere la minuta del verbale del 12 settembre 2014 della Commissione cardinalizia dell’Apsa per capire che le mosse di Pell e
dei suoi uomini hanno spaccato la curia, in un “tutti contro tutti” molto simile alla guerra per bande 
che ha caratterizzato l’epoca di Ratzinger e Bertone.

Lo zar della Segreteria ha molti fan, ma la sua gestione e alcune inchieste australiane hanno minato la sua credibilità. Così oggi è inviso non solo alle vecchie volpi che temono di perdere quel che resta della loro influenza (come i reduci di Bertone e gli “epurati” come Mauro Piacenza, Raymond Leo Burke e Giuseppe Sciacca), ma è detestato anche da alcuni emergenti che a Bergoglio sono vicinissimi. “C’è uno che fa tutto e gli altri no,” dice secondo la minuta il neocamerlengo Jean-Louis Tauran, discutendo con i monsignori Pietro Parolin, Domenico Calcagno, Giovanni Battista Re, Giuseppe Versaldi, Attilio Nicora e altri membri dell’Apsa. “Siamo in una fase di sovietizzazione, è molto preoccupante.

Tauran e gli altri “congiurati”, quel 12 settembre, sono davvero furiosi. 
Pell da settimane sta forzando la mano per trasferire alla sua Segreteria tutti 
i poteri dell’organismo. Francesco aveva già deciso, nel luglio 2014, di girare 
al dicastero del “Ranger” la sezione ordinaria dell’Apsa (quella che si occupa della gestione degli immobili), ma Pell voleva di più; così, il 5 settembre 
2014 ha “ordinato” via email al cardinale Calcagno, presidente dell’istituto, 
“di procedere senza alcun ritardo” alla “transizione delle attività della sezione straordinaria a quelle di una tesoreria”, intimando al capo dell’Apsa 
“di astenersi dal prendere altre iniziative”.
Il monsignore, riletta la email, decide però di contrattaccare. Ottiene udienza dal papa, per capire se il blitz dell’australiano fosse concordato con lui. Francesco dice di cadere dalle nuvole, e decide di firmare un “rescritto” che blocca il trasloco delle proprietà di migliaia di appartamenti e case sotto la Segreteria. I cardinali si dicono soddisfatti, ma restano preoccupati: nella bozza del verbale il segretario di Stato Parolin afferma che “gli statuti che si stanno elaborando vanno nel senso di un trasferimento anche della proprietà”. Pell non si è ancora arreso.

L’ambizione del cardinale australiano di mettere le mani sulla gestione dell’intero tesoro del Vaticano, dallo Ior attraverso i suoi uomini all’Apsa, passando per i fondi fuori bilancio della segreteria di Stato, ha subìto uno stop decisivo a febbraio 2015, quando Francesco con un motu proprio ha stabilito poteri e contropoteri della nuova curia, pubblicando gli Statuti dei nuovi uffici da lui voluti: la segreteria per l’Economia ha sì inglobato la prefettura degli Affari economici di cui eredita, rafforzati, i poteri di controllo e vigilanza sui dicasteri vaticani, ma lo zar venuto da Melbourne non è riuscito a impossessarsi, 
come invece sperava, dei beni immobiliari dell’Apsa e di Propaganda Fide, 
e nemmeno del Fondo pensioni dei dipendenti e dei cardinali (che, secondo
i documenti riservati di Kpmg, è arrivato nel 2014 a superare i 433 milioni) che continua a essere in carico alla segreteria di Stato guidata da Parolin.

La lotta, però, non è terminata nemmeno dopo la decisione definitiva del papa. Pell, Zahra e de Franssu hanno infatti prima lavorato alla creazione di un grande Vam, un unico asset management del Vaticano per gestire in modo centralizzato le risorse sparpagliate tra ministeri, 
enti e organismi vari. Poi, congelata l’iniziativa, de Franssu ha rilanciato proponendo la creazione di una Sicav (una società d’investimento a capitale variabile) con cui gestire più liberamente i miliardi dello Ior. Peccato che il progetto, approvato dal consiglio di sovrintendenza dei laici della banca, sia stato bloccato subito dai cardinali e dal papa in persona. De Franssu aveva infatti deciso di istituire il fondo in Lussemburgo. Un paese 
a fiscalità di vantaggio. “Tante volte io penso che la Chiesa 
in alcuni posti, più che madre 
è una imprenditrice,” disse Francesco il 19 dicembre 2014 a Casa Santa Marta, la sua residenza. Mai immaginava quanto fosse a lui vicino, 
uno di quei posti.

http://espresso.repubblica.it/attualita/2015/11/06/news/vatileaks-ior-la-banca-opaca-1.237263


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