di Sara Gandini, epidemiologa biostatistica, Clementina Sasso, astrofisica, Fabrizio Tuveri, medico

Sui media ormai si parla di guerra e non più di decessi in eccesso, ma nel 2022 in Ue l’eccesso di mortalità è stato del +19% rispetto al periodo pre-pandemico. In Italia ha superato il 2021, con picchi regionali come in Sardegna, dove l’eccesso nel 2022 è stato addirittura quasi doppio rispetto al 2020. Il sacrificio di intere generazioni di giovani, misure draconiane e aggressive campagne vaccinali hanno sicuramente fallito l’obiettivo di ridurre la mortalità nel lungo periodo, mentre la Svezia, con un approccio meno chiusurista, si è distinta per il minore eccesso di mortalità (2%).

Michael Levitt, Francesco Zonta e John P. A. Ioannidis in un recente articolo pubblicato su European Journal of Epidemiology, dal titolo “Excess death estimates from multiverse analysis in 2009–2021”, evidenziano che tra gli Stati emergono alcune nette differenze. Gli Usa, che hanno un sistema sanitario con grandi disuguaglianze (circa 30 milioni di persone non assicurate), hanno registrato un aumento dei casi di obesità, abuso di oppiacei, overdose e morti violente. L’aspettativa di vita negli Usa è in caduta libera, vi è un aumento della mortalità tra i giovani e un quinto dei bambini di 5 anni non arriverà al suo 40° compleanno.

Anche la privatizzazione delle case di cura, in paesi come la Svezia o il Canada, ha comportato picchi di morti in eccesso. Persino paesi con un deficit di mortalità nel 2020-2021 (ad es. Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud) hanno poi avuto un notevole eccesso di mortalità nel 2022.

Sono stati chiamati in causa i vaccini a mRNA, ma un recente articolo pubblicato su Nature Communication mostra che, mentre è chiaro l’aumento dei decessi in seguito alla vaccinazione non-mRNA nelle giovani donne, non si è registrato un aumento statisticamente significativo di decessi, cardiaci e non, dopo la seconda dose di vaccino a mRNA nei giovani maschi: una fortuna, vista l’imposizione di obblighi e ricatti anche per i giovani sani senza che ci fossero chiare evidenze scientifiche riguardo al beneficio per loro e per la comunità.

I decessi che si sono osservati nei giovani sono legati per la maggior parte a fattori socio-economici e psicologici. Le cause sono principalmente droga e alcool (le cosiddette morti da disperazione di cui parlano anche Anne Case e Angus Deaton) con più morti da armi da fuoco che da incidenti stradali. La comunicazione terroristica e le chiusure hanno inoltre contribuito a far nascere ed aggravare problemi psichiatrici, soprattutto nei minori, come osserviamo in modo drammatico anche in Italia e di cui abbiamo parlato anche nel nostro recente libro L’Onda Lunga. Gli effetti psicologici e sociali della pandemia sul mondo non-adulto, curato da Presidio primaverile per una Scuola ed edito da Erickson

La comunicazione terroristica è stata giustificata con la grande crisi del nostro sistema sanitario ritenuto non adeguato a reggere l’emergenza pandemica, in realtà la narrazione per cui si moriva solo di Covid-19 non ha aiutato a nessun livello. Ci sono stati accertamenti ed interventi chirurgici per patologie importanti rimandati e screening per il cancro sospesi. Nel periodo tra gennaio 2020 e ottobre 2020 si è registrata una riduzione del 46,7% degli screening per il tumore al seno, del 44,9% per il tumore del colon-retto e del 51,8% per il cancro della cervice uterina, come evidenziato in una meta-analisi pubblicata sulla rivista JAMA Oncology. Tutto ciò è avvenuto nonostante una delle principali cause di decesso, anche durante il 2020, sia stata la malattia neoplastica, più frequente della Covid-19.

Anche in Italia l’1% più ricco della popolazione ha 40 volte la ricchezza detenuta dal 20% più povero e questo ha un effetto anche sulla salute. Un basso livello socioeconomico è un fattore di rischio al pari del fumo, dell’obesità e dell’ipertensione, in grado di ridurre l’aspettativa di vita anche di due anni. Rimando al libro Dissenso informato edito da Castelvecchi e curato da Elisa Lello e Nicolò Bertuzzi in cui queste tematiche sono ampiamente sviluppate. Lo scorso anno oltre 4 milioni di italiani, il 7% della popolazione, ha rinunciato a cure necessarie, principalmente per motivi economici e per le lunghe liste d’attesa.

Spero che il coinvolgimento della cittadinanza nei referendum contro la guerra e per la sanità pubblica di cui si è parlato anche nell’ultimo incontro della Commissione Dubbio e Precauzione il 13 aprile a Torino, dal titolo “Stato di guerra o stato sociale?”, possa essere una strada per ripensare a quale società stiamo costruendo. Siamo invitati a firmare per tre quesiti referendari, due dei quali volti ad abrogare le attuali basi giuridiche del trasferimento di armi in teatri di guerra quali l’Ucraina e il terzo quesito vuole invece denunciare il progressivo indebolimento della sanità pubblica a fronte del rafforzamento del comparto militare.

“Ferma il dolore, Firma la Pace” è il motto della campagna referendaria. Può esser un punto di partenza per ripensare anche la politica? Lo speriamo. Perché la shock economy si sta mostrando nella sua veste più inquietante.