Bandiere di guerra ...
 
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Bandiere di guerra e pacifismo impotente.


Anonymous
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Come sempre accade, la guerra diviene un momento della verità nelle relazioni internazionali. Gli strumenti politici e militari sono messi alla prova. Ogni potenza cerca di cogliere l'attimo. L'America in declino relativo comunque cerca di indirizzare il cambiamento a lei più favorevole, la Russia sfrutta la crisi in Ucraina per rientrare nel gioco globale, Londra segue il suo padrone, e gioca in Europa la sua tradizionale prontezza al combattimento, Berlino, dimezzata sino al 1989, varca il Rubicone della piena legittimazione politico-militare. La Francia battistrada per il futuro esercito europeo per le future sfide globali
L'Italia un po oscillando tra Washington e il Reno vende di armi a tutti con l'ipocrisia congenita.
Anche il Vaticano cerca qui un proprio spazio, con le solite vuote parole.

Il comune buon senso li accomuna tutti, ma il loro buon senso si ferma alla superficie degli eventi, perciò è materia prima per tutte le ideologie e porta spalancata ad ogni fanatismo. Non vede in Londra, Parigi, Berlino, Roma, Washington, Mosca e Pechino le metropoli dell'imperialismo, ma nemmeno in Riad, Damasco, Baghdad, Beirut, il Cairo, ecc le capitali di una borghesia araba rotta ad ogni avventura, fradice di petrolio e corrotte a ogni ideologia.
Le ideologie nutrite dal senso comune trovano solo l'occasione per l'interventismo, o per il pacifismo impotente, ignorano le potenze, ignorano le classi, non possono vedervi il proletariato mondiale, nei suoi comparti americano, asiatico, russo, arabo, o ebraico: solo l'internazionalismo può farlo.
Un compito che unisce riflessione, passione politica e impegno concreto. (...)


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Anonymous
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In alcune note, scritte in carcere tra il 1929 e il 1935, Antonio Gramsci riflette su "quello che suol chiamarsi senso comune o buon senso".
Scrive che questo senso comune si muove spinto dal "principio di casualità", dove causa ed effetto sono immediatamente deducibili l'uno dall'altro.
Di fronte ad avvenimenti bellici, ad eventi che scuotono tutte le passioni e accendono tutte le attenzioni, il senso comune cerca la causa delle " ragioni nobili" delle guerre. Una pietra miliare in questa antica via, dove regnano causa ed effetto, l'ha posta Rudyard Kipling, il "bardo dell'imperialismo britannico" secondo alcuni, uno dei poeti del "carattere democratico dell'imperialismo" secondo altri.

Nel 1898 scrive la famosa poesia Il fardello dell'uomo bianco; un anno dopo, Londra democratica schiaccia in Sud Africa i boeri schiavisti. Era l'ora dello jingoismo, l'orgoglio patriotico al servizio della "civiltà tecnologica, la civiltà dell'uomo bianco" che conquistava e mondava il mondo dalla barbarie.

In Italia i cantori dello jingoismo arrivarono alcuni anni dopo. Pesava sulla letteratura e sulla poesia "l'onta di Adua", ma la tradizione risorgimentale forniva terreno e concime atto a far crescere una robusta pianta. Enrico Corradini, uno dei padri del nazionalismo italiano dell'epoca imperialistica, coniò il termine "nazione proletaria". Nel 1914 pubblica Il nazionalismo italiano.
Per Lenin il succo del turbe libello sta in questo: Le altre nazioni depredano molto. "Il socialismo" consiste nel fatto che la nostra piccola e povera nazione raggiunga o superi quelle che depredano molto, per poter depredare anche di più!"
Corradini vedeva la migrazione come un fenomeno da "popolo inferiore" e avvertiva gli italiani che sarebbero divenuti un grande popolo solo, quando lo "spirito migratorio" fosse stato sostituito dallo " spirito coloniale, imperialista!

Tripoli era la meta agognata: " Laggiù in Tripolitania possono vivere felicemente milioni di uomini".
Solo la "barbarie" ottomana impediva all'Italia la "terra promessa che avrebbe risolto il problema del Mezzogiorno e ridotto la piaga dell'immigrazione".

Per l'Imperialismo straccione era troppo pretendere di avere un Kipling che lo cantasse; si dovette accontentare del suo Giovanni Pascoli: la grande proletaria si è mossa; fu il suo motto
Poi venne l'agosto 1914. Con il movimento interventista il programma mazziniano: "rinasceva a un tratto dal sepolcro, in cui sembrava sotterrato da cinquant'anni", scriveva Ivanoe Bonomi. (continua)


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