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capitalismo senza regole


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L’editoriale
Capitalismo: se mancano le regole...

di Matteo Caratti (*) - 20 agosto 2011

C’è una domanda fondamentale, alla quale varrebbe la pena rispondere, se non vogliamo ritrovarci regolarmente impantanati a seguito di crisi finanziarie che vanificano gli sforzi per far ripartire l’economia reale. La domanda – non di poco conto – è: quale capitalismo vogliamo? Vogliamo un capitalismo che permetta ai più ricchi d’arricchirsi oltre ogni logica e obblighi i più deboli a cucirsi altre pezze al sedere? In questo caso basta continuare su questa pericolosa china.

Un esempio? Di recente abbiamo pubblicato un servizio (l’ennesimo) che ripeteva l’ormai nota storiella: mentre il popolino sudava lacrime e sangue, temendo per il suo traballante posticino di lavoro, i membri delle direzioni e dei consigli di amministrazione delle maggiori società svizzere cosa facevano? Mediamente hanno guadagnato il 10% in più nel 2010 rispetto all’anno precedente. In quegli ambienti, crisi o non crisi, vale la seguente regola: il salario dei big boss sale proporzionalmente alla grandezza dell’impresa e alla sua importanza in Borsa.

Ma come ben si sa, oltre alle questioni di giustizia nella politica salariale (che l’economia può anche considerare irrilevanti), chi più guadagna, anche se dovesse (e ci riesce!) guadagnare ancor di più, non spenderà oltre a una determinata cifra, mentre chi guadagna molto meno, se avesse a sua disposizione qualche soldino in più lo spenderebbe più che volentieri se confrontato con una moderata fiducia nel futuro, immettendolo quindi nel circolo economico e favorendo alla lunga la ripresa.

La logica del “si salvi e si rafforzi il più forte” la si è poi applicata, come abbiamo a più riprese avuto modo di evidenziare, quando la maggioranza borghese dei parlamentari federali ha deciso di salvare Ubs. Un salvagente gettato senza condizioni. Si è così potuto constatare in seconda battuta che quella grande banca, salvata grazie a iniezioni miliardarie di denaro pubblico, continua a seguire logiche che privilegiano chi già ha i piedi parecchio al caldo: non versa da anni dividendi agli azionisti (i veri proprietari della banca), delocalizza tranquillamente in Ungheria determinati servizi (è l’Ungheria che l’ha salvata?) e premia ancora con salari da nababbi taluni suoi manager. Complimenti!

La stessa musica la si è poi udita in queste settimane di franco alto ed euro debole, quando ci si è chiesti come mai taluni monopolisti non fanno automaticamente beneficiare noi consumatori delle evidenti diminuzioni di prezzo. Ora pare che anche il Consiglio federale se ne sia accorto promettendo di metter mano, in senso restrittivo, alla legge sui cartelli. Non ci si poteva pensare prima visto che siamo tutti sostenitori dei mercati concorrenziali?

A questi esempi di evidente stortura nostrani, se ne potrebbero aggiungere altri guardando anche al di fuori delle nostre frontiere. Anche Obama, confrontato con l’ultima crisi immobiliare/bancaria pronunciò un paio di anni fa frasi del tipo “mai più!” promettendo regole... Certo, regole, ma qualcuno le ha mai viste? Se oggi quelle regole ci fossero davvero, non ci ritroveremmo nuovamente in quattro e quattro otto trascinati al punto di partenza.

Che fare allora? Vista la posta in gioco non possiamo né dobbiamo abbandonarci alla rassegnazione. Chiediamoci, soprattutto nei prossimi mesi, quando dovremo scegliere chi fra i nuovi candidati alle federali merita il voto, a quale modello di capitalismo costui o costei si ispira.

È giunto il momento di puntare su un capitalismo capace indubbiamente di premiare chi ha voglia di lavorare, di creare ricchezza (quella vera e duratura), ma che nel contempo sappia promuovere un’equità nella redistribuzione della ricchezza (dei redditi).

Un capitalismo che sappia pure far crescere un Paese grazie alla ricchezza effettivamente prodotta. E dietro a quell’effettivamente deve esserci imperativamente una scelta di fondo: chi specula in Borsa come (in altri tempi) nell’acquistare e vendere immobili, facendo semplicemente lievitare artificialmente i prezzi e quindi generando instabilità che poi ricade sui più deboli, va tassato di più, rispetto a chi genera ricchezza effettiva faticando, sudando le classiche sette camicie!

Quindi ben venga ad esempio la Tobin Tax.
Una tassa che prevede di colpire in modo modico le transazioni speculative e non quelle effettivamente necessarie per il buon funzionamento del mercato. Ai mercati non piace e le Borse perdono la testa? Bene, è la giusta reazione, è il prezzo (iniziale) da pagare se non vogliamo ritrovarci a breve ancora immersi in una nuova crisi.

Il futuro appartiene soltanto ad un capitalismo cosciente (ma la coscienza sono gli uomini e le donne) di poter sopravvivere a sé stesso unicamente se riuscirà finalmente ad introdurre, come detto, alcune regole di giustizia ed equità. Se non ci riuscirà saranno i crescenti squilibri a spazzarlo via, portando i cittadini, sempre più poveri, direttamente in piazza.

Fuori dai nostri confini si intravedono già i primi segnali. E da noi c’è già chi è pronto ad arringare le folle. Il passato, neanche poi tanto lontano, crudamente insegna.

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(*) direttore de "La Regione Ticino"


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