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La Borsa è zona di guerra


Tao
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La Borsa è zona di guerra: gli Stati vacillano, vicini alla resa

Trecento miliardi di capitalizzazione “bruciati” in un solo giorno sulle piazze europee: “La Borsa è zona di guerra”, titola la Cnn il 19 agosto, assistendo al crollo simultaneo dei centri finanziari di tutto il mondo. «Di fatto – scrive Francesco Piccioni sul “Manifesto” – gli Stati sono stati mobilitati per “salvare il sistema finanziario”; per farlo hanno distrutto i propri bilanci, gonfiando oltre misura il debito pubblico mentre tagliavano disperatamente la spesa sociale per “reperire risorse”». Dopo la prima ondata di tagli, il sistema finanziario ha ricominciato il gioco della speculazione, solo che adesso «gli Stati non sono più una risorsa di denaro fresco, ma una parte del problema: per questo le misure avanzate da Merkel e Sarkozy non avrebbero potuto “rassicurare i mercati” neanche se fossero state cento volte più intelligenti».

Qual è infatti la soluzione trovata da Parigi e Berlino per dare un governo all’euro? L’istituzione dell’ennesima riunione dell’ennesimo consiglio guidato dal “carismatico” presidente Van Rompuy, ironizza il “Sole 24 Ore”. «Non sono le riunioni a rassicurare i mercati ma le decisioni chiare, nette e rapide. Invece l’Europa di oggi è un continuo divenire», che «non dà certezze e regole e punti di riferimento chiari». Dei piani di salvataggio della Grecia «si è perso il conto», per non parlare del fondo salva-Stati che «ha un numero di versioni possibili e di interpretazioni tali da superare la quantità di paesi dell’Ue», continua il quotidiano della Confindustria: «Eurobond sì, no, forse. Adesso si minaccia perfino il taglio dei fondi ai paesi che non rispettano le regole europee».

Attacca anche Federico Rampini su “Repubblica”: Barack Obama promette che «l’America non ricadrà nella recessione»? Gli fa eco «un certo Herman Van Rompuy, che porta il titolo ambizioso di presidente dell’Unione», garantendo che «non ci sarà recessione in Europa». Due smentite, scrive Rampini, fanno una conferma? «Il tracollo dei mercati – continua l’editorialista di “Repubblica” – è una sentenza spietata sul vertice di martedì fra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy», nel quale «non si è fatto un millimetro di progresso su temi ambiziosi come la creazione di eurobond, quei “titoli pubblici dell’eurozona” che forse sarebbero un argine al contagio della sfiducia, darebbero finalmente al mercato unico europeo una solidità finanziaria e il rispetto degli investitori. Ancora più grave – aggiunge Rampini – è il fatto che da quel vertice non è uscito un frammento d’idea per rilanciare la crescita, nessuna strategia anti-recessione, l’unico “scudo” davvero essenziale in questa fase».

«Sulle Borse in caduta – osserva sempre Rampini – pesano i bollettini catastrofici che arrivano dall’economia reale». Per la prima volta da anni, il Brasile segnala una decrescita del Pil trimestrale (meno 0,2%), mentre la Germania si sta arenando: «E’ la fine di due “miracoli” gemelli, un gigante emergente e la più solida delle vecchie economie industrializzate. Due macchine da guerra dell’esportazione, che non possono crescere se i loro mercati di sbocco sono fermi. Primo fra tutti quello americano, dove in un sol giorno arrivano dati pessimi sulla disoccupazione Usa che risale, le vendite di case sempre più giù, la produzione industriale in sofferenza su tutta la East Coast».

Che la recessione sia alle porte lo dice un altro indicatore attendibile: i rendimenti dei titoli pubblici che precipitano. Prestare i propri soldi allo Stato – almeno in Germania, Stati Uniti e Giappone – è metterli in cassaforte preparandosi a un lungo inverno. «Ad accentuare il nervosismo arriva la decisione della Federal Reserve di avviare un esame della vulnerabilità delle banche americane ai default possibili nell’eurozona: nessuno ha più fiducia in nessuno». Particolarmente cruciale, dunque, la missione del vicepresidente Usa, Joe Biden, a Pechino: dopo lo storico declassamento del rating del loro debito, gli Stati Uniti devono discutere con il loro principale creditore, scrive Michelangelo Cocco sul “Manifesto”, giornale che mette l’accento sulla “guerra” che la Casa Bianca ha dichiarato all’agenzia Standard and Poor’s che ha tolto la “tripla A” alla solvibilità statunitense.

Lo stesso “New York Times” rivela che ora ha aperto un fascicolo il Dipartimento di giustizia, per verificare se vi sia stato «conflitto di interesse» nel caso dell’assegnazione di giudizi molto positivi, ancora nel 2008, a una massa consistente di titoli rivelatisi “tossici” di lì a pochi giorni, contribuendo a ingigantire la crisi del 2008 innescata da casi come quello della Lehmann Brothers, banca d’affari giudicata «sicura» mentre già gli impiegati riempivano gli scatoloni per andarse a casa definitivamente. «Il Dipartimento del Tesoro Usa – scrive Cocco da Pechino, sul “Manifesto” – aveva pianificato di emettere, tra marzo scorso e giugno 2012, buoni del tesoro per un valore di 10 miliardi di dollari ogni mese». Ma ora, dopo il declassamento del rating del loro debito, gli Stati Uniti devono discutere con la Cina, che con 1,16 trilioni di dollari in “treasury bond” è il loro principale creditore.

Se Biden dovrà vedersela a porte chiuse coi cinesi, Obama ha in mente una “strategia dei due tempi”, scrive ancora Rampini su “Repubblica”: prima bisogna rimettere in moto l’economia, rilanciare le assunzioni, ridare fiducia e potere d’acquisto; contestualmente bisogna mettere a punto dei tagli al deficit pubblico più severi di quelli annunciati finora, ma la cui entrata in vigore deve essere rinviata a quando sarà sventato il rischio di ricaduta nella recessione. «E’ l’unico percorso per evitare di “rifare il 1937”: l’anno terribile in cui Franklin Roosevelt interruppe prematuramente le politiche di spesa pubblica del New Deal, e l’America ricadde nella Grande Depressione».

L’intuizione di Obama, secondo Rampini, si snoda su un sentiero strettissimo, per ragioni non finanziarie bensì politiche: «I dibattiti tra i candidati repubblicani alle presidenziali hanno visto il trionfo della demagogia anti-Stato», visto che «tutti i leader repubblicani hanno annunciato che rifiuterebbero ogni compromesso che contenga nuove tasse, perfino quelle tasse sui miliardari auspicate a gran voce dal più ricco (e meno tassato) di tutti, Warren Buffett». In questo vuoto di leadership, aggiunge Rampini, è inefficace la supplenza delle banche centrali: «Fed e Bce continuano a pompare liquidità nei mercati, con il tasso zero Usa o con gli acquisti di titoli pubblici. Ma nella paura che paralizza l’economia, quella liquidità non rifluisce dove servirebbe». E così, le imprese «accumulano montagne di cash o investono solo in maxifusioni» come quella tra Google eMotorola, o «esportano capitali nei pochi paesi emergenti ancora sicuri». E i consumatori che possono farlo «tesaurizzano, riducono i debiti e accantonano risparmi, per prepararsi al peggio».

L’andamento della crisi, osserva “Contropiano” in una riflessione ripresa da “Megachip”, si rivela uno scenario-chiave per comprendere le possibilità della trasformazione sociale: i crac delle Borse «dicono molto sulle possibilità (nulle o scarsissime) del capitalismo attuale di “tornare a crescere”». Semmai annunciano la fine di un’epoca, quella dell’egemonia Usa, negli ultimi decenni sostenuta dal capitalismo “a leva finanziaria”. «Ma la nascita di una “nuova era” è tutt’altro che definita», scrive “Contropiano”. E soprattutto, «non avviene senza dolori».

Se tramonta il sistema finanziario fondato sulla “leva” bancaria drogata dai prodotti derivati, spesso tossici, c’è di che spaventarsi, scrive Piccioni sul “Manifesto”, perché la «massa di de
naro virtuale» ammonta a 600.000 miliardi di dollari, cioè «dieci o dodici volte il Pil mondiale». Impossibile contrastarla con misure per “salvare le banche”, forse nemmeno se si reintroducesse – in tutto il pianeta – il principio guida del Glass-Steagall Act, imposto nel dopoguerra, secondo cui «gli Stati possono garantire le banche commerciali (l’attività di raccolta e prestito su garanzia)», ma non quelle “d’affari”, «lasciando affondare queste ultime prima che trascinino all’inferno l’umanità».

Fonte: www.libreidee.org
20.08.2011


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