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Chiesa - La crisi ucraina


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Comunque vada a finire la nuova, grave crisi ucraina, le prospettive di un più o meno rapido ingresso di Kiev nell'Unione Europea si sono allontanate di molto, di anni. Perché sarà sicuramente molto più difficile, adesso, con movimenti di truppe ribelli che seguono atti avventati dei vertici dello stato, caldeggiare l'arrivo nella democratica Europa di un paese che, con ogni evidenza, non ha ancora terminato il calvario della formazione di uno stato democratico di stampo occidentale.

Difficile capire se il presidente Viktor Jushenko abbia agito di testa propria quando il 2 aprile scorso, decise di sciogliere la Rada , il parlamento ucraino nel quale si trova attualmente in evidente e irrimediabile minoranza. Se ha agito su “ispirazione” si deve concludere che è stato male ispirato.

Certo la rottura del patto di non belligeranza viene da una forzatura irrealistica: per quella soluzione non c'è una maggioranza nemmeno nel paese. Lo prova il dato che la Corte Costituzionale non è riuscita, in quasi due mesi, a pronunciare un verdetto.

Non s'ingaggia un braccio di ferro di questa portata e le cui conseguenze potrebbero essere tragiche, senza avere ben misurato i rapporti di forza politici. A meno che non si fosse pensato che, quali che fossero le forze politiche a sostegno di elezioni anticipate, sarebbero state le forze militari a definire il passaggio alla “seconda repubblica ucraina”. In ogni caso Jushenko è troppo debole, perfino nei confronti della sua intemperante alleate Julia Timoshenko, per poter dettare condizioni così drastiche, per non dire sul filo dell'eversione.

Viktor Janukovic ha dalla sua la maggioranza del parlamento e ha una Costituzione che assegna alla Rada il potere di confermare o sfiduciare il governo. Ovvio che rifiuti tenacemente di rinunciare alle sue posizioni, tanto più che le motivazioni giuridiche che sostengono gli atti del presidente sono pressoché inesistenti.

Come lo è stata quella con la quale Jushenko, alla vigilia dell'esplodere della crisi (e sicuramente incentivandolo) ha sottratto il controllo delle forze di polizia dalle mani del governo, per metterlo nelle proprie.

La seconda considerazione è di carattere internazionale. I rapporti tra Europa e Russia – dopo il vertice fallito di Samara – sono al punto più basso della storia delle loro relazioni. Vladimir Putin ha detto a chiare lettere, sia a Monaco che a Samara, che la Russia ha terminato la sua ritirata strategica e che da ora in poi reagirà con determinazione per fronteggiare e respingere manovre ai suoi confini.

A Kiev il Cremlino ha subito una dura sconfitta, quasi due anni fa, con l'elezione di Jushenko, e ha dovuto ingoiare la rivoluzione arancione. Ma in questi due anni ha recuperato tutto il terreno perduto e non accetterà nessun fatto compiuto. Un eventuale precipitare della situazione politica in Ucraina avrebbe senza alcun dubbio gravi ripercussioni nei rapporti non solo tra Mosca e Kiev, ma anche tra Mosca e Varsavia e tra Mosca e Bruxelles.

Il che dovrebbe, come minimo, costituire un invito alla prudenza per tutti. E non si dimentichi che gli avvenimenti di Tallin sono stati guardati con grande preoccupazione anche nella vasta zona dell'Ucraina orientale, la cui popolazione è di lingua russa. A Kharkov, Dnepropetrovsk, e nelle città industriali dell'Ucraina orientale, guardando in tv le cariche della polizia di Tallin contro i russi di Estonia, si sono certamente chiesti quale sarà la loro sorte in caso che i loro legami con la Russia siano messi a repentaglio.

E sono più d'un terzo dell'Ucraina.

Giulietto Chiesa
Fonte: www.lastampa.it
28.05.07


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