Ciao Don Gallo, res...
 
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Ciao Don Gallo, resisteremo anche per te!


radisol
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"Comunque è vero, sono comunista. Non dimentico mai la Bibbia e il Vangelo. E non dimentico mai quello che ha scritto Marx".

Con Don Gallo muore un’idea di militanza cristiana che non battezza i potenti ma si mischia ai senza voce, a chi resiste e lotta. Un esempio di parzialità in un mondo diviso. Una voce scomoda che non asseconda ma critica, una predica che non pacifica ma spinge a schierarsi.

Salutiamo il partigiano Andrea!

Redazione InfoAut

“Alle ore 17.45 il cuore di Don Andrea Gallo ha cessato di battere,la comunità S.Benedetto e idealmente voi tutti siamo stretti intorno a lui”.

Con questo messaggio dal profilo ufficiale di Don Gallo gli amici e i compagni di Andrea annunciano quello che purtroppo sapevamo potesse accadere. Le parole per descrivere il Gallo sono difficili da trovare perchè sarebbe tante per descrivere un uomo, un prete, un compagno che ci mancherà per sempre.

Ci dicevi e dicevi a tutti ” Io sto con chi protesta contro la Tav, sto con i ‘partigianì della Valle’, e noi vogliamo ricordarti come sempre abbiamo fatto in Valle di Susa, con il pugno chiuso alzato cantando Bella Ciao insieme.

Ciao Don Gallo, Resisteremo un minuto e un metro più di loro anche per te!

“Ricordiamocelo tutti e con buona pace del giudice Caselli, se i nemici dell’economia imperante al G8 erano tutti quei ragazzi che gridavano “Un altro mondo è possibile”, oggi i nemici dell’economia imperante sono i ragazzi della Val di Susa. Li caricano come allora e loro, come allora, chiedono giustizia. Attenzione a non girarci dall’altra parte, ancora una volta.” (Don Andrea Gallo)

http://www.infoaut.org/index.php/blog/varie/item/7894-ciao-don-gallo-resisteremo-anche-per-te


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"Con Don Gallo muore un’idea di militanza cristiana ..."
speriamo che muore davvero senza lasciare nipotini .


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radisol
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22 / 5 / 2013

Don Gallo ci ha lasciato, era uno di noi, lo vogliamo ricordare con l'ultimo suo intervento che abbiamo ospitato in Globalproject, stringendoci in un abbraccio con tutta la Comunità di San Benedetto.

Era dicembre scorso una giornata all'interno del Centro Sociale Pedro di Acquisti Collettivi Contro la Crisi. Don Gallo era arrivato come sempre più che disponibile con la sua voglia di parlare, discutere negli spazi sociali, nei luoghi occupati, nelle situazioni in movimento.

Eravamo dopo la giornata molto partecipata in tutte le piazze dello sciopero europeo del 14n in cui si erano viste anche le inaccettabili violenze della polizia contro gli studenti.

In questa occasione le parole di Don Gallo semplici e dirette erano state come sempre “in direzione ostinata e contraria”, rivolte a stare dalla parte nostra, di quel noi collettivo che non accetta la realtà e la vuole cambiare.

Molti di noi l'hanno incontrato anni fa nelle strade di Genova contro i potenti della terra, altri più giovani l'hanno conosciuto ultimamente ma ieri come oggi, per tutti noi, è stato un compagno di strada.

Ciao Don Gallo!

http://www.globalproject.info/it/in_movimento/don-gallo-ci-ha-lasciato/14309

VIDEO :

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=gXbx3sDz8pI


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diotima
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"muore un'idea di militanza cristiana"... stronzate. muore uno dei tanti militanti rossi.

Don Gallo piaceva perchè era sentito e visto come un "compagno"; della militanza non rossa di cui non si parla mai, non frega una cippa a nessuno di questi orfanelli.

solo perchè era amante di Marx ,della costituzione etc, etc hanno potuto amarlo. altrimenti lo avrebbero odiato come odiano ideologicamente tutti gli altri;

solo perchè era "uno di noi" hanno questa tristezza. altrimenti avrebbero detto :"uno in meno".


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radisol
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Sul G8, nel luglio 2001, cercò fino all’ultimo di mediare tra protesta e istituzioni.

Poi, davanti al corpo di Carlo Giuliani, scelse di non mediare più e seppe gridare forte.


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radisol
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"Don Gallo era un uomo libero, sono sempre i migliori ad andare via. Hanno fatto un'eccezione giusto con Andreotti. Andare alle sue messe era stupendo, me lo immagino lassù con il basco e il sigaro".

Questo il commento del leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo


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uno in meno


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Anonymous
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Rispetto Don Gallo, ma ho sempre diffidato dei preti "compagni": li considero uno degli strumenti della Chiesa per ripulirsi l'immagine e portare nuove pecore al suo ovile (o nuovi pesci nella sua rete, per usare la metafora del Cristo) e per questo li tollera.
Sicuramente Gallo era in buona fede (e scusate il doppio senso), ma il vero gesto di rottura sarebbe stato togliersi la tonaca come gesto di ribellione e denuncia e fondare una comunità che vivesse sulle basi dell'insegnamento originale (comunitario e libertario) del Cristo senza cercare l'approvazione di nessuna Chiesa, che da Giustiniano in poi è solo strumento di potere e dominio.
Ma sto sognando. Forse Gallo sapeva bene che i pochi preti che hanno fatto questo sono stati dimenticati presto, o forse non ne aveva il coraggio, o forse pensava che dalla sua posizione di prete potesse avere più voce in capitolo... chissà...
Resta l'impressione però che un prete "comunista" è un ossimoro, un po' come vedere un Balbo che passa dall'altra parte della barricata a Parma a fianco di Picelli.


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Giancarlo54
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A quando all'onore degli altari?


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la differenza tra don gallo e il vangelo sta in questo : nel vangelo Cristo accoglie gli ultimi , i peccatori e le prostitute, affinche non tornino a fare piu quello che hanno fatto ( si achiama redenzione ) ,don gallo invece giustificava e teorizzava il loro modo di vivere . Se gli ultimi per debolezza hanno aderito al vangelo di satana e venivano perdonati da Crsto per non farlo piu, don gallo accettava il vangelo del suo signore( suo padre ) e lo teorizzava come buono .
Mentre nel vangelo si dice che non è stato tolto o cambiato un solo jota della legge del Padre ,ma è abolito solo il ritualismo e le reletive prescrizioni farisaiche , don gallo invece buttava via sia il bambino e sia lacqua sporca. .....
Un buon servizio alla verita e alla giustizia divina , non c'è che dire .


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Matt-e-Tatty
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Curiose le reazioni dei filo vaticani su questo strano (ma nemmeno tanto) sacerdote.
Di Don Gallo ce ne sono a vari livelli, io ricordo Don Marco, Don Guido, Don Gino, ma pure preti certamente destri come Don Battello... persone che ho conosciuto e che oggi fanno non dico traballare ma certamente ragionare su certe mie posizioni anticlericali, amici e stimati. Non fare di tutt'erba un fascio diceva qualcuno, Don Gallo forse?

L'altra faccia, una dei lati che detesto, da un racconto che risale ad oltre un secolo fa, il contrario di un Don Gallo, come sia possibile coesistano i Don Gallo in "squadra" con questi è ancora oggi argomento di riflessione per me.

L'eccidio della Bettola, Comune di Imola.

Come ho gia affermato nei miei primi ricordi, nel paese di Castel Guelfo, nei primi movimenti popolari si erano formate due correnti, anzichè Guelfi e Ghibellini, Ghibellini e Moretti. A questi ultimi appartenevano i preti e tutte le loro cricche di fanatici e bigotti.

Ripeto che Don Gallo Garelli, arciprete, con la continua propaganda di odio, nella chiesa e e ovunque era riuscito a creare la discordia tra fratelli e fratelli. Ad esempio la nostra famiglia contro quella del fratello di mia madre Selva Lorenzo, fra marito e moglie e padre e figlio.

Nei giorni di Domenica, da una borgata del comune di Imola denominata Bettola affluivano nel paese parecchi giovani i quali incominciavano ad abbracciare i primi sintomi della grande idea del socialismo, cosicche nel pomeriggio, quando erano un po allegri, usavano cantare canzono come queste "Abbasso preti e frati, e Papa e Cardinali, noi siamo quei sociali vogliam la libertà. le chiese son botteghe, i preti son mercanti, etc. Avanti o popolo, alla riscossa, bandiera rossa trionferà".

Tutto questo urtava l'arciprete, braccio destro del principe Ercolani, proprietario padrone del paese e sindaco, e a suo cognato Sig. Pietro, cosicchè incominciò una polemica tra i preti e i Ghibellini. Questi ultimi affibiarono due soprannomi: all'arciprete, Simon mago-che Dante accusa di adulterare le cose di Dio per l'oro- e al cognato Capitan Fracassa. Questi due epipeti non potevano essere opera di mio padre e neppure degli altri socialisti, correva voce che cio dovesse essere opera di un certo Cavaliere e avvocato Basoli Benedetto.

La polemica portò a un duello tra Astorai, Ghibellino, e Brini Giuseppe, chiamato Fifì, sicario maggiore del Principe, facente capo ai Moretti. L'esito del duello fu una scalfitura alla mano del Storai. Si sperava che dopo il duello dovesse seguire un periodo di tregua, o per lo meno, una dimuinuzione dei contrasti famigliari o collettivi, invece vi era nella parte nera l'intenzione di compiere un fatto grave che avesse impaurito i rossi a mezzo di spargimento di sangue per far cessare le smargiassate che provenivano da gente di altri comuni, convinti che appoggiati dalla borghesia, dal clero e dal proprietario di tutto il paese i Moretti sarebbero rimasti impuniti.

Da tempo si stavano raccogliendo i nomi per la composizione di una squadra per la spedizione punitiva e per i fatti da compiersi nella suddetta frazione Bettola.

Diffatti, la domenica della fiera di Castel Guelfo di merci e bestiame detta di S.Antonio che viene il giorno..., nel pomeriggio, dopo che le avevano aassicurato che i bettolesi erano in paese a fare qualche partita alle carte nellì'osteria di francesco Sarti, vi fu una riunione nella villa di Giuseppe Brini il quale non prese parte alla spedizione ma incaricò suo fratello minore giacomino Brini capitano della squadra, di andare direttamente a Bettola, distante circa un chilometro, per una scorciatoia lungo una carraia campestre, evitando di passare per per il paese, e la attendere sera tarda quando sarebbero ritornati gli scalmanati giovinastri e dare loro una lezione che li avesse fatto tacere per lungo tempo.

Giuntio alla bettola gli squadristi, armati di tutto punto e per di piu avvinazzati, spavaldamente di fronte alle madri dei giovani affermavano: "i vostri figli non sono dei cattivi ragazzi, ma questa sera gliele diamo, gliele dobbiam dare!".

Verso le 23 giunsero per primi due vecchi sopra la sessantina, segantini, gia curvati dalla fatica e mio zio Francesco, fratello di mia madre. vennero aggrediti dalla ciurmaglia, feriti con armi da taglio e gettati nel fosso. Alle grida, il gruppo nel quale erano i figli dei feriti, indietro circa 200 metri, scattò di corsa e giunse rapidamente nel luogo ove erano i feriti e senza badare a loro iniziarono la zuffa. Dopo pochi istanti cadeva Giacomino Brini colpito da una ferita da taglio che fortunatamente aveva spaccato la fibia della cinta prima di entrare in cavità, con la rivoltella in pugno; e un contadino-Catenaccione-, gia cadavere anche egli, con la rivoltella in pugno. Ferito pure un giovane Sabariolo. Poi avvenne un fuggi fuggi degli apparteneti alla squadra Brini. Non si è mai saputo quanti altri, feriti leggermente, riuscirono a dileguarsi attraverso una terra coltivata a granturco.

Mio padre apprese la notizia per mezzo di un certo Patron Robbi a cui aveva prestato il cavallo per andare a Imola alla tombola. Verso l'una si alzò e si portò sul luogo; vi era gia arrivato l'arciprete Don gallo Garelli il quale, resosi conto dell'accaduto, gli sfuggì la frase seguente: "Boia di un mon, ie tot di noster-i feriti sono tutti dei nostri".

Dopo un anno circa ebbe luogo il processo alla Corte di Assise di Bologna. A difendere gli imputati vi erano gli avvocati Paglierani di Imola e Venturini di Bologna, il quale, in un momento in cui il pubblico accusatore sosteneva che gli imputati erano stati preavvisati da Selva Anna, mia cugina, quindi dovevano tornare indietro per evitare il conflitto, indispettito gridò: "per Dio, se uno vuole impedirmi di entrare in casa mia ho il diritto di difendermi", e togliendosi la toga abbandonò l'aula.

Il processo ebbe dei contrasti acutissimi. Finalmente-caso rarissimo-la giustizia prevalse. Tutti gli imputati vennero assolti. Sei mesi prima la nostra famiglia aveva dovuto abbandonare il paese per non aver trovato più abitazione e portare la sua dimora alla Bettola. Nel giorno della liberazione ricevemmo nella nostra abitazione tutti i liberati, abbracciandoli e congratulandoci con essi assieme a diversi socialisti venuti appositamente da altre borgate del comune di Imola.

Stralcio dall'autobiografia di Attilio Sassi (1876-1957). I fatti narrati sono riconducibili alle ultime due decadi del 1800.


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radisol
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Il racconto della vita nell’unica comunità di recupero senza cancelli.

I ricordi della Comunità S.Benedetto di don Andrea Gallo sono un’audiocassetta nuova di zecca dei Csi ("Ko De Mondo"), la notte passata ad ascoltarla sul treno per la stazione Principe, l’arrivo a Genova all’alba, in una fredda giornata di novembre del ’94.

Un articolo de Il Manifesto che diceva: "guarda che c’è questo prete qua che ha una comunità per tossicodipendenti ma non è come le altre comunità di preti e muccioliani e di preti muccioliani che ti chiudono, che agiscono sui tuoi sensi di colpa, che ti vogliono inquadrare. Insomma, è uno forte". La bufera da poco era ormai passata ma che vuol dire: uno ci vuole provare lo stesso. "Chissà, potrei trovarmi bene. Una dimensione, un nuovo inizio".

Le 7 di quella fredda mattina davanti alla porta di via S.Benedetto 12 (che memoria!).

Toc toc. Ad aprire è una creatura femminile. Capelli bagnati, accappatoio indossato di corsa e tenuto chiuso dalle mani. "E’ un po’ presto - dice con una voce un po’ fonda, quasi da basso - ripassa tra un’oretta, tra poco si svegliano anche gli altri. Io devo andare ad aprire il laboratorio di pelletteria". Stella, trans brasiliana, per il suo ruolo di responsabile, era quella costretta all’alzataccia: era lei ad avere le chiavi e toccava a lei aprire per prima sennò gli altri lavoranti che sarebbero arrivati alla spicciolata come facevano?

Affianco alla comunità il porto, il mare (freddo e per niente tranquillo), un’oretta di attesa tra pensieri bizzarri e stupore. Don Gallo (il Gallo o Andrea), dorme in una stanza della comunità e non scende prima di mezzogiorno: sigaro in bocca, aria sorniona di chi sembra non ascolti. Rilassato, seduto su una poltrona, le gambe sdraiate su quella di fronte. "Mi ricordo la guerra partigiana...", "Ah, così tu sei di Roma...". E poi, i guasti del proibizionismo, l’accenno a grandi progetti, l’idea che il tossicodipendente fosse "un rivoluzionario potenziale". Alla faccia.

Chiama: "Attilio!" (l’uomo del telefono, un uomo di una settantina d’ anni, alto e magro come un fuso. Di origini nobili ma decaduto era stato ripreso per i capelli dal Gallo dopo un tuffo nel vortice dell’alcool. "Pronto, qui comunità S.Benedetto", è stata la sua la voce storica dell’accoglienza. Ma era anche l’accompagnatore del Gallo in ogni appuntamento pubblico. In genere parecchi. "Che palle sto Gallo con sta politica!", usava borbottare in perfetto spirito genovese).

Trasferimento in giornata nella cascina di Frascaro (una delle cinque cascine all’epoca piazzate tra la provincia di Genova e Alessandria. Una, a Visone, è dedicata a Nelson Mandela). Due mesi in quella struttura che, come tutte le altre, non aveva cancelli. Ora per chi non conosce la reclusione (non solo carceraria) quello può apparire un dettaglio secondario. Basti pensare che in Italia (ma anche altrove) probabilmente non esiste a tutt’oggi una comunità per tossicodipendenti che non attribuisca un enorme valore simbolico al cancello. "Sei dentro, sei fuori. Potrai essere fuori soltanto quando ti sarai depurato dalle tue colpe. Ma ricordati di chiudere sempre il cancello alle tue spalle perchè altri dovranno depurarsi dopo di te". L’assioma, il dogma della terapia psicologica che va per la maggiore (senza arrivare a scomodare gli sgabuzzini di S.Patrignano): espiazione e contrizione. Il cancello.

Lì, niente cancelli. Anzi. Si andava avanti e indietro. Talvolta erano previste uscite serali "autogestite" al centro sociale anarchico di Alessandria "Il Guercio", musica punk e birra buona. O noiosissimi quanto interessantissimi convegni della Cgil sul lavoro e sulle tematiche del lavoro trasformate in lunghe passeggiate per le vie di una fangosissima Alessandria (c’era appena stata una terribile alluvione, 70 morti). I compagni di viaggio, come accade in questi casi, erano personaggi: Lello "il Pagnotta" (che trascorse i sixties a San Francisco ad occuparsi di traffici illegali). "La" Silvia. Maurizio. Giacomino che problemi con le sostanze non ne aveva ma viveva una grande sofferenza psichica e che riacquistò il sorriso diventando il numero uno nell’apparecchiamento della tavola (mansione in cui eccelleva). Antonietta e la sua bambina. Enrico "La Pazienza" (un giovane eroinomane un poco intellettuale che aveva fatto dell’esortazione alla pazienza un surreale loop). "La" Carmen, magra e ossuta con un’anima da Baudelaire. Eloisa, 16enne del Guatemala che lo psicologo Gerard Lutte andò a recuperare dalle strade dove si fa la prostituzione e poi si viene ammazzati dagli squadroni della morte.

"Eloisa, ma sei del Guatemala! Come la tua connazionale Rigoberta Menchù!". "No conosco". "E’ questa, guarda" e giù la foto del Premio Nobel della Pace. "Ma es gorda! (ma è una cicciona!)". No conosco. Sulle note di "Cucurucucù paloma" cantata alla romanesca rise per una settimana ogni volta che ci ripensava. Si rabbuiava oltremodo per le offese. Le fragilità di Eloisa si trasformavano sovente in dispetti allegramente infantili e grandi amori, persino verso un romano molto più grande di lei. "Si non torni aquì, te pongo una bottiglia nella caveza!", disse seria al romano che decise di tornare a Roma, scoppiando poi in una fragorosa risata. Il pane fatto in casa, il lavoro svolto con moderazione ("non ti va di alzarti stamattina perchè fa freddo? E vabbè, ci vediamo dopo"): quello stesso lavoro che, secondo altre scuole di "riabilitazione" dalla tossicodipendenza, richiede una dedizione pari a quella dei marines in partenza per il Vietnam.

E don Gallo che una volta alla settimana passava per la cascina e portava al gruppo i soldi per la spesa e si metteva a raccontare di quello spettacolo di Gaber appena visto in teatro (recitando la parte di quell’uomo-isola che alla fine si ribella e il remo di quella barca che dovrebbe portarlo in salvo prima lo mena in testa ai sui aguzzini) ma anche quando raccontava, per l’ennesima volta, che lui, partigiano, portava il mitra sotto la tonaca ("a Gallo, ma ce l’hai già raccontato!"). Le feste del Primo Maggio si facevano a Frascaro, alcune cene alla comunità di S.Benedetto con le vecchie partigiane di Genova ("la" Lilìn), il cimitero del paese era troppo pieno di morti giovani di Aids, passati per la comunità.

Poi vennero il G8, Manu Chao e i carri antiproibizionisti ma quella è storia recente.

Giancarlo Castelli

http://popoff.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=75504&typeb=0


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Il racconto della vita nell’unica comunità di recupero senza cancelli.

I ricordi della Comunità S.Benedetto di don Andrea Gallo sono un’audiocassetta nuova di zecca dei Csi ("Ko De Mondo"), la notte passata ad ascoltarla sul treno per la stazione Principe, l’arrivo a Genova all’alba, in una fredda giornata di novembre del ’94.

Un articolo de Il Manifesto che diceva: "guarda che c’è questo prete qua che ha una comunità per tossicodipendenti ma non è come le altre comunità di preti e muccioliani e di preti muccioliani che ti chiudono, che agiscono sui tuoi sensi di colpa, che ti vogliono inquadrare. Insomma, è uno forte". La bufera da poco era ormai passata ma che vuol dire: uno ci vuole provare lo stesso. "Chissà, potrei trovarmi bene. Una dimensione, un nuovo inizio".

Le 7 di quella fredda mattina davanti alla porta di via S.Benedetto 12 (che memoria!).

Toc toc. Ad aprire è una creatura femminile. Capelli bagnati, accappatoio indossato di corsa e tenuto chiuso dalle mani. "E’ un po’ presto - dice con una voce un po’ fonda, quasi da basso - ripassa tra un’oretta, tra poco si svegliano anche gli altri. Io devo andare ad aprire il laboratorio di pelletteria". Stella, trans brasiliana, per il suo ruolo di responsabile, era quella costretta all’alzataccia: era lei ad avere le chiavi e toccava a lei aprire per prima sennò gli altri lavoranti che sarebbero arrivati alla spicciolata come facevano?

Affianco alla comunità il porto, il mare (freddo e per niente tranquillo), un’oretta di attesa tra pensieri bizzarri e stupore. Don Gallo (il Gallo o Andrea), dorme in una stanza della comunità e non scende prima di mezzogiorno: sigaro in bocca, aria sorniona di chi sembra non ascolti. Rilassato, seduto su una poltrona, le gambe sdraiate su quella di fronte. "Mi ricordo la guerra partigiana...", "Ah, così tu sei di Roma...". E poi, i guasti del proibizionismo, l’accenno a grandi progetti, l’idea che il tossicodipendente fosse "un rivoluzionario potenziale". Alla faccia.

Chiama: "Attilio!" (l’uomo del telefono, un uomo di una settantina d’ anni, alto e magro come un fuso. Di origini nobili ma decaduto era stato ripreso per i capelli dal Gallo dopo un tuffo nel vortice dell’alcool. "Pronto, qui comunità S.Benedetto", è stata la sua la voce storica dell’accoglienza. Ma era anche l’accompagnatore del Gallo in ogni appuntamento pubblico. In genere parecchi. "Che palle sto Gallo con sta politica!", usava borbottare in perfetto spirito genovese).

Trasferimento in giornata nella cascina di Frascaro (una delle cinque cascine all’epoca piazzate tra la provincia di Genova e Alessandria. Una, a Visone, è dedicata a Nelson Mandela). Due mesi in quella struttura che, come tutte le altre, non aveva cancelli. Ora per chi non conosce la reclusione (non solo carceraria) quello può apparire un dettaglio secondario. Basti pensare che in Italia (ma anche altrove) probabilmente non esiste a tutt’oggi una comunità per tossicodipendenti che non attribuisca un enorme valore simbolico al cancello. "Sei dentro, sei fuori. Potrai essere fuori soltanto quando ti sarai depurato dalle tue colpe. Ma ricordati di chiudere sempre il cancello alle tue spalle perchè altri dovranno depurarsi dopo di te". L’assioma, il dogma della terapia psicologica che va per la maggiore (senza arrivare a scomodare gli sgabuzzini di S.Patrignano): espiazione e contrizione. Il cancello.

Lì, niente cancelli. Anzi. Si andava avanti e indietro. Talvolta erano previste uscite serali "autogestite" al centro sociale anarchico di Alessandria "Il Guercio", musica punk e birra buona. O noiosissimi quanto interessantissimi convegni della Cgil sul lavoro e sulle tematiche del lavoro trasformate in lunghe passeggiate per le vie di una fangosissima Alessandria (c’era appena stata una terribile alluvione, 70 morti). I compagni di viaggio, come accade in questi casi, erano personaggi: Lello "il Pagnotta" (che trascorse i sixties a San Francisco ad occuparsi di traffici illegali). "La" Silvia. Maurizio. Giacomino che problemi con le sostanze non ne aveva ma viveva una grande sofferenza psichica e che riacquistò il sorriso diventando il numero uno nell’apparecchiamento della tavola (mansione in cui eccelleva). Antonietta e la sua bambina. Enrico "La Pazienza" (un giovane eroinomane un poco intellettuale che aveva fatto dell’esortazione alla pazienza un surreale loop). "La" Carmen, magra e ossuta con un’anima da Baudelaire. Eloisa, 16enne del Guatemala che lo psicologo Gerard Lutte andò a recuperare dalle strade dove si fa la prostituzione e poi si viene ammazzati dagli squadroni della morte.

"Eloisa, ma sei del Guatemala! Come la tua connazionale Rigoberta Menchù!". "No conosco". "E’ questa, guarda" e giù la foto del Premio Nobel della Pace. "Ma es gorda! (ma è una cicciona!)". No conosco. Sulle note di "Cucurucucù paloma" cantata alla romanesca rise per una settimana ogni volta che ci ripensava. Si rabbuiava oltremodo per le offese. Le fragilità di Eloisa si trasformavano sovente in dispetti allegramente infantili e grandi amori, persino verso un romano molto più grande di lei. "Si non torni aquì, te pongo una bottiglia nella caveza!", disse seria al romano che decise di tornare a Roma, scoppiando poi in una fragorosa risata. Il pane fatto in casa, il lavoro svolto con moderazione ("non ti va di alzarti stamattina perchè fa freddo? E vabbè, ci vediamo dopo"): quello stesso lavoro che, secondo altre scuole di "riabilitazione" dalla tossicodipendenza, richiede una dedizione pari a quella dei marines in partenza per il Vietnam.

E don Gallo che una volta alla settimana passava per la cascina e portava al gruppo i soldi per la spesa e si metteva a raccontare di quello spettacolo di Gaber appena visto in teatro (recitando la parte di quell’uomo-isola che alla fine si ribella e il remo di quella barca che dovrebbe portarlo in salvo prima lo mena in testa ai sui aguzzini) ma anche quando raccontava, per l’ennesima volta, che lui, partigiano, portava il mitra sotto la tonaca ("a Gallo, ma ce l’hai già raccontato!"). Le feste del Primo Maggio si facevano a Frascaro, alcune cene alla comunità di S.Benedetto con le vecchie partigiane di Genova ("la" Lilìn), il cimitero del paese era troppo pieno di morti giovani di Aids, passati per la comunità.

Poi vennero il G8, Manu Chao e i carri antiproibizionisti ma quella è storia recente.

Giancarlo Castelli

http://popoff.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=75504&typeb=0

che schifo e che truffa sti racconti delle case di don gallo senza cancello !!
Questi ragazzi delle tenute non avevano un cancello ma avevano un reticolato spinoso e con fili elettrici ad alta tensione ,invisibile , non ve ne accorgete ? ERANO CASCINE LONTANE DELLA CITTA , QUINDI UN CARCERE NATURALE DOVE C'è NESSUNA NECESSITA DI CANCELLI A FERMARE LA FUGA O L'ENTRATA DI GIOVANI RAGAZZI E DI TOSSICI .

Da tutte le comunita di tossici sono usciti buoni e cattivi, c'è dove ha funzionato meglio e dove peggio, forse negli eremi ha funzionato un po meglio, ma non lo sappiamo e non abbiamo la certezza.


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Canzoniere

Chiare, fresche e dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir' mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna;
erba e fior' che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
date udïenza insieme
a le dolenti mie parole estreme.

S'egli è pur mio destino
e 'l cielo in ciò s'adopra,
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,
qualche gratia il meschino
corpo fra voi ricopra,
e torni l'alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo:
ché lo spirito lasso
non poria mai in piú riposato porto
né in piú tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata e l'ossa.

Tempo verrà ancor forse
ch'a l'usato soggiorno
torni la fera bella e mansüeta,
e là 'v'ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disïosa e lieta,
cercandomi; e, o pietà!,
già terra in fra le pietre
vedendo, Amor l'inspiri
in guisa che sospiri
sí dolcemente che mercé m'impetre,
e faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo;
ed ella si sedea
umile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito e perle
eran quel dí a vederle;
qual si posava in terra, e qual su l'onde;
qual con un vago errore
girando parea dir: - Qui regna Amore. -

Quante volte diss'io
allor pien di spavento:
Costei per fermo nacque in paradiso.
Cosí carco d'oblio
il divin portamento
e 'l volto e le parole e 'l dolce riso
m'aveano, e sí diviso
da l'imagine vera,
ch'i' dicea sospirando:
Qui come venn'io, o quando?;
credendo d'esser in ciel, non là dov'era.
Da indi in qua mi piace
quest'erba sí, ch'altrove non ò pace.

Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia,
poresti arditamente
uscir del bosco, et gir in fra la gente.


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