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Di cosa si occupano gli economisti?

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Stodler
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Di cosa si occupano gli economisti?

La riforma dell’Università italiana, e il suo sottofinanziamento, hanno accentuato l’egemonia del mainstream liberista e contribuito al proliferare di studi caratterizzati dall’espulsione di qualunque elemento politico dal discorso economico e dalla sostanziale irrilevanza dell’oggetto di studio. Una galassia di teorie che spesso si traducono in esercizi autoreferenziali o bizzarri, nella convinzione che l’Economia sia una scienza nell’accezione della Fisica Teorica.

di Guglielmo Forges Davanzati *

L’Economia è una disciplina che orienta le decisioni politiche e che, per questo tramite, influisce in modo significativo sulle nostre condizioni di vita e di lavoro. Chiedersi di cosa si occupano gli economisti, in Italia e non solo, non è dunque una domanda oziosa.

Il punto di partenza è dato dalla constatazione che questo non è un periodo particolarmente fecondo di nuove idee. È quello che Alessandro Roncaglia, nel suo testo La ricchezza delle idee, ha definito l’età della disgregazione. La ricerca in Economia, non solo in Italia, è sempre più frammentata e specialistica, e soprattutto sempre più ‘autistica’: gli economisti tendono a dialogare esclusivamente fra loro, spesso coprendo di sofisticati tecnicismi o montagne di matematica pure banalità, tautologie o, nella migliore delle ipotesi, teorie che non “spiegano” nulla, né hanno l’ambizione di farlo[1].

Continua, e si accentua, l’egemonia del mainstream neoclassico-liberista – termine diffusamente usato, sebbene ambiguo – che tende sempre più a marginalizzare la tradizione di studi marxisti, neo-ricardiani e keynesiani che sono stati prodotti dai maggiori economisti italiani nella seconda metà del Novecento: una tradizione di ricerca che ha portato all’affermazione di teorie elaborate in Università italiane nel resto del mondo (da un po’ di anni l’Italia è importatore netto di teorie economiche).

Questa tendenza è favorita dalle nuove modalità di reclutamento e di avanzamento di carriera nelle Università derivante dalla c.d. Legge Gelmini. L’accesso alla carriera universitaria è, oggi, in Italia, non solo estremamente difficile (per non dire quasi impossibile) ma anche sempre più legata a lunghi periodi di precariato. Ciò per questa ragione. La riforma Gelmini ha sostituito al ruolo del ricercatore a tempo indeterminato (ruolo che va ad esaurimento) quello del ricercatore a tempo determinato. Al tempo stesso, si sono ridotti in modo massiccio i finanziamenti alle Università e si è legata la possibilità di reclutamento alla disponibilità di “punti organico” (facoltà assunzionali). In queste circostanze, si disincentiva l’assunzione di giovani ricercatori dal momento che questa costerebbe più dell’avanzamento di carriera dei ricercatori a tempo indeterminato[2]. In un contesto di continua riduzione di fondi, si può comprendere che, anche in presenza di giovani molto preparati, si tenda a preferire, risparmiando, l’uso di risorse umane già disponibili.

Chi viene reclutato e come avvengono gli avanzamenti di carriera (da ricercatore a professore)? Qui entrano prepotentemente in gioco i criteri di valutazione prodotti dall’Agenzia Nazionale di Valutazione della Ricerca (ANVUR). L’ANVUR – il cui costo di funzionamento è stimato a circa 10milioni l’anno – stabilisce un elenco di riviste sulle quali i ricercatori sono chiamati a pubblicare, definendole di classe A sulla base di tecniche e metodologie alquanto discutibili. Fra queste, si può considerare il fatto che ANVUR considera “eccellente” un ricercatore che pubblichi su riviste con elevata “reputazione”, del tutto indipendentemente dalla rilevanza dei contenuti della ricerca. La “reputazione” di una rivista è certificata dal suo “fattore di impatto” (impact factor), e la sua certificazione è effettuata sulla base di criteri individuati dall’istituto Thomas Reuters, azienda privata anglo-canadese.

In altri termini, in Italia si valuta il contenitore (la rivista), non il contenuto, e il contenitore è buono se lo considera tale una delle più grandi imprese private su scala mondiale che opera nel settore dell’editoria. Va peraltro ricordato che l’impact factor è stato pensato come strumento per selezionare l’acquisto di riviste da parte delle biblioteche universitarie, e, anche sul piano strettamente tecnico, da più parti se ne sconsiglia l’uso ai fini della valutazione della ricerca scientifica: è recente la denuncia dell’Accademia dei Lincei contro l’uso di indicatori bibliometrici per la valutazione della ricerca, soprattutto nelle scienze umane e sociali (per approfondimenti rinvio a www.roars.it). E va anche ricordato che negli Stati Uniti – le cui Università sono comunemente ritenute estremamente sensibili alla “cultura della valutazione” – l’impact factor non è quasi mai considerato un indicatore attendibile per valutare la qualità della produzione scientifica.

In Italia, i (pochi) reclutamenti nelle Università italiane e i (pochi) avanzamenti di carriera dei docenti universitari avvengono prevalentemente sulla base della qualità della ricerca scientifica dei candidati, come certificata dalla lista delle riviste elaborata da ANVUR sulla base del loro impact factor. Il che genera un meccanismo potenzialmente vizioso. La gran parte delle riviste considerate eccellenti tende a pubblicare articoli il cui contenuto è in linea con la visione dominante. Ciò induce attitudini conformiste, soprattutto da parte delle giovani generazioni, impedendo di fatto la produzione di ricerche realmente innovative. E poiché l’attività didattica non è mai disgiunta dall’attività di ricerca, i contenuti dell’insegnamento tendono a diventare sempre più conformi alla visione dominante, rendendo gli studenti sempre meno informati su teorie alternative a quelle dominanti[3].

Qui è rilevante chiedersi cosa e come gli economisti comunicano, ovvero quali teorie espongono e quali tecniche argomentative utilizzano per persuadere i loro interlocutori. Un utile punto di partenza è dato dalla considerazione di McCloskey secondo la quale “la ricerca della Verità è una cattiva teoria delle motivazioni umane” e gli scienziati “come esseri umani, cercano la forza di persuasione, l’eleganza, la soluzione di rompicapi, la conquista di dettagli sfuggenti, la sensazione di un lavoro ben fatto, l’onore e il reddito che derivano da un incarico”. Se si assume questo punto di vista, occorre chiedersi come gli scienziati (nel nostro caso, gli economisti) riescano a ottenere reputazione.

In linea di massima, possono ottenerla per due canali non necessariamente alternativi: diventando “consiglieri del Principe” e/o cercando di ottenere il massimo numero di citazioni dei propri articoli. Con ogni evidenza, ciò avviene all’interno di specifici dispositivi di finanziamento e valutazione della ricerca scientifica, giacché, da un lato, il “Principe” ha sue idee politiche che necessitano di essere legittimate dalla ricerca stessa e, dall’altro, i dispositivi di finanziamento e valutazione non sono affatto neutrali rispetto ai contenuti delle pubblicazioni scientifiche. Anzi, i meccanismi che presiedono al finanziamento e alla valutazione, almeno nel campo delle scienze sociali (e, ancor più, in Economia) sono intrinsecamente normativi e sono normativi nel senso che non possono che assecondare gli interessi economici dominanti – o quantomeno non possono contrastarli. È ciò che si può definire un effetto di cattura degli economisti da parte di gruppi di interesse che esprimono una domanda politica di idee economiche. Occorre rilevare che tale domanda non necessariamente implica che l’economista debba legittimare politiche economiche che avvantaggiano alcuni gruppi a danno di altri, potendo, per contro, incentivare – tramite la distribuzione di finanziamenti e la valuta
zione della ricerca – il proliferare di studi che eliminano qualunque connotazione politica dal discorso economico. È ciò che viene definito l’imperialismo dell’economia.

È un dato di fatto che un numero consistente e crescente di economisti si occupa di temi che non attengono propriamente a ciò che si sarebbe indotti a considerare temi economici. Ne costituiscono esempi l’economia della famiglia, l’economia della religione, l’economia della bellezza, l’economia dello sport, la teoria economica del tempo libero. Si tratta di studi che applicano il criterio della razionalità strumentale a qualunque scelta possibile, a volte giungendo a risultati talmente improbabili da meritare il c.d. IGnobel in Economia o da essere destinati alle “Humor Sessions” dell’American Economic Association. E già il fatto che esistano Humor Sessions nell’ambito dei convegni della più grande associazione scientifica di settore la dice lunga sullo stato della disciplina.

A questi studi si affiancano ricerche puramente empiriche che certificano correlazioni senza causazioni, o correlazioni spurie: si verifica, cioè, che il fenomeno X è statisticamente correlato al fenomeno Y, ma che X non “causa” Y, dal momento che il fenomeno che si intende spiegare dipende da altre variabili e, dunque, la correlazione fra X e Y è del tutto casuale. È come rilevare che al crescere del numero di cicogne cresce il numero di neonati. In più, in questi esercizi spesso le variabili considerate non attengono alla sfera tradizionale dell’indagine economica.

Un esempio estremo, che ha fatto molto discutere nella comunità scientifica internazionale, riguarda un articolo che affronta il fondamentale problema se la lunghezza del pene influenzi la crescita economica ( https://mpra.ub.uni-muenchen.de/32706/1/MPRA_paper_32706.pdf). L’autore rileva che la correlazione esiste: Paesi nei quali la lunghezza del pene è maggiore tendono ad avere più alti tassi di crescita, e prova a motivarla con l’effetto che il testosterone avrebbe sulla propensione al rischio e, quindi, sulla dinamica degli investimenti. L’autore chiarisce che questo effetto potrebbe anche verificarsi per l’elevata autostima che deriva dall’avere un pene lungo e che un “eccesso” di lunghezza del pene potrebbe generare eccessiva assunzione di rischio. Si tratta di una variante di un certo interesse dell’Economica e del suo imperialismo, dal momento che riflette un’ulteriore tendenza tipica di questo approccio e che si potrebbe definire di misurazione senza teoria. Due caratteristiche accomunano i due approcci: i) l’espulsione di qualunque elemento politico dal discorso economico; ii) la sostanziale irrilevanza dell’oggetto di studio, se si considera rilevante un’analisi che prenda ad esame variabili propriamente economiche.

Il mainstream, la visione egemone, è oggi questo: una galassia di teorie che non sempre e non necessariamente portano a prescrizioni di politica economica di segno liberista, e che spesso si traducono in esercizi autoreferenziali o bizzarri o concepiti nel quadro di una visione cumulativa della conoscenza, associata alla convinzione che l’Economia sia una scienza, nell’accezione della Fisica Teorica.

* Questo testo è una stesura ridotta e rielaborata di un’intervista rilasciata a www.siderlandia.it

NOTE

[1] Si veda la denuncia dello scarso collegamento fra elaborazione teorica e fatti economici di Ronald Coase: http://www.hbritalia.it/blog/item/913-salvare-l%E2%80%99economia-dagli-economisti.html#.VmWO89LhDGg

[2] Sulla questione del sottofinanziamento delle Università italiane, si rinvia, in particolare a http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/La-crisi-dell-universita-italiana-31995

[3]Come hanno osservato, in particolare, Bellofiore e Vertova, in un articolo pubblicato sul “Manifesto” del 22 marzo 2012, dal titolo “Per una critica della valutazione”, la valutazione della ricerca, basata sulla “cultura della valutazione” (ovvero quella fatta propria dall’ANVUR), inevitabilmente genera omologazione, dal momento che non riconosce l’esistenza di una pluralità di “paradigmi” teorici in conflitto fra loro.

(11 dicembre 2015)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/di-cosa-si-occupano-gli-economisti/


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Truman
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Per quel che posso vedere, gli economisti si occupano soprattutto di esorcismi.
Ma Repubblica non lo dirà mai.

Repubblica spaccia mitologie avariate e tossiche. Nuoce gravemente alla salute mentale.


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mincuo
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Puoi applicarlo a chiunque. E' un qualunquismo.
Di che si occupano i matematici. Di che si occupano gli storici. I biologi, i fisici, i giuristi....
E anche di che si occupano i calciatori. Di calcio. Però c'è Messi e c'è l'attaccante del Forlimpopoli.

In economia è uguale. Comunque se posso dire non sono quelli che circolano comunemente sulla bocca della gente quelli realmente buoni.
Per antipatico che possa sembrare i migliori lavorano per le 5 o 6 grandi banche, non a scrivere articoli o libri divulgativi.
Ed è anche logico.
E infine non ci sono nemmeno le visioni, teorie o dottrine "unitarie" che immagina la gente, da 50 anni almeno.
Quella è propaganda.
Va bene per il popolino il "neoliberismo" e tutte le pacchianerie di contorno. Ed è meglio tutto sommato che sia così.

L'Italia, salvo eccezioni, non è messa bene in qualunque campo.
Non solo e non tanto per i soldi, ma perchè è un sistema nepotista sindacal-partitico-burocratico ad avanzamento di carriera automatico ecc...

Alcuni buoni se ne sono andati via.
Qui resta il tipico pallone gonfiato sconosciuto appena fuori dal giardino di casa, che non ha scritto niente che valga la pena ricordare, che è interessato alla "collocazione politica" e a dirsi l'un l'altro, tra dei pari nessuno, "lei non sa chi sono io".
Salvo quando trovano qualcuno che conta per un verso o per l'altro e allora da arroganti diventano servilissimi e umilissimi.


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makkia
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Per quel che posso vedere, gli economisti si occupano soprattutto di esorcismi.
Ma Repubblica non lo dirà mai.

Tuttavia questa particolare intervista (fra l'altro non l'ha fatta Repubblica l'intervista, ne pubblica solo una sintesi) racconta qualcosa di molto vicino a quello che dici tu, invece.
Dice che gi economisti fanno un sacco di "ammuina" per nascondere il fatto che non hanno alcuna certezza di riuscire a "salvare il paziente", meno che meno di farlo con un qualche tipo di metodica scientifica.
Più che esorcismo direi sciamanesimo, ma siamo lì.


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Georgejefferson
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Post: 4401
 

L'economia non e' come "qualunque" particolare specializzazione, e contemporaneamente, oltre all'importanza che occupa nella vita e morte delle persone, non e' la sola ed unica.

Che sia la sola ed unica colonna portante e' ideologia buona per i polli (quelli che stanno appena sotto ai detentori del potere, il popolo in sè...e' acqua fresca al confronto)

La differenza tra un calciatore ed un altro (per stare nella metafora) nell'ambito economico non e' differenza assoluta uguale per tutti. Quella e' la favola che gli ideologicizzati del capitale propagandano per il popolo a favore degli interessi dei detentori del potere ed egemonia culturale.

C'e' l' abilità a far fruttare suddetti interessi delle minoranze a sfavore della maggioranza, quindi dal punto di vista degli ideologicizzati cooptati dal capitale e' sicuramente degna di status di "migliore" (l'abilità), perche non condividono l'importanza delle finalità a favore della maggior parte delle persone possibili,nel determinare una soggettiva valorizzazione, quindi

che lo scopo sia il bene comune,
oppure il bene di un profitto privato che paga

per loro e' uguale, non c'entra lo scopo per determinare il valore e status di "migliore".

Ideologia comodissima per gli interessi elitari, da sempre li allevano apposta cosi. E costruiscono anche test di q.i. per valutare i migliori cooptabili pro domo loro.

Lo stesso vale per il significato di "buono", e' relativo alla soggettività che valorizza a seconda della ideologia di appartenenza.

Quindi i piu abili nel perpetrare gli interessi delle 5 banche piu grosse ( anche "grandi" e' un trucco semantico per indottrinare) non sono " antipatici ", sono proprio piu abili nel perpetrare gli interessi delle 5 banche piu grosse.

Anche se questo ragionamento puo sembrare antipatico ad alcuni.

Quindi logica senza chiarire lo scopo non vuol dire nulla, perche infatti e' logicissimo che i piu abili e ideologicizzati dal dio denaro sono al servizio dell 5 banche. Cosi come i piu abili e ideologicizzati esperti militari al servizio degli interessi di profitto del complesso militare industriale ecc..

Questo ragionamento banale e ovvio non e' vero che non esiste da almeno 50 anni, NON e' mai esistito nei ragionamenti dei detentori del potere, ed e' appunto una banalità per i motivi espressi sopra.

Che non possa esistere ragionamento che riflette e valorizza gli scopi nel popolo e' propaganda ideologica. La migliore al servizio di elite.

Non e' una novità che i religiosi della tecnica elogino l'elite come "migliore" a prescindere e che sia un bene che il popolo sia mantenuto nella ignoranza credendolo ontologicamente incapace per natura. Esistono da sempre.

Sono gli stessi che esprimono una contraddizione assurda che denota tutta la religiosita fedele, e cioe che elevano a valore il bue (i piu grossi nel mondo banchieri, economisti prezzolati, industriali ereditari, preti servili e politici camerieri) dando del cornuto all'asino (il mondo piccolo mafioso del nepotismo italico, ovviamente da condannare, che vale un centesimo al confronto).

I piu servili se ne vanno a prezzolarsi con piu sicurezza e remunerabilità.

Pero c'e' da dire, e' vero, che i maggiori sicari dell'economia non sono arroganti come altri, sono ben vestiti, gentili, non si espongono tanto e con precisione chirurgica, eseguono i desiderata dei loro padroni senza abbaiare troppo.


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Per quel che posso vedere, gli economisti si occupano soprattutto di esorcismi.
Ma Repubblica non lo dirà mai.

Tuttavia questa particolare intervista (fra l'altro non l'ha fatta Repubblica l'intervista, ne pubblica solo una sintesi) racconta qualcosa di molto vicino a quello che dici tu, invece.
Dice che gi economisti fanno un sacco di "ammuina" per nascondere il fatto che non hanno alcuna certezza di riuscire a "salvare il paziente", meno che meno di farlo con un qualche tipo di metodica scientifica.
Più che esorcismo direi sciamanesimo, ma siamo lì.

Ad ogni modo la categoria peggiore è quella dei patacca. Quelli non beccano mai il segno, arrivano sempre o troppo indietro o troppo avanti… Non ce la fanno, è più forte di loro…


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mincuo
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De beata ignorantia.
Non esiste nemmeno "economia" come qualcosa di preciso.
Come dire "il mondo vegetale".
Come ho detto meglio così.


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istwine
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Continua, e si accentua, l’egemonia del mainstream neoclassico-liberista – termine diffusamente usato, sebbene ambiguo – che tende sempre più a marginalizzare la tradizione di studi marxisti, neo-ricardiani e keynesiani che sono stati prodotti dai maggiori economisti italiani nella seconda metà del Novecento: una tradizione di ricerca che ha portato all’affermazione di teorie elaborate in Università italiane nel resto del mondo (da un po’ di anni l’Italia è importatore netto di teorie economiche).

Eh si, è proprio questo il problema, l'assenza di spazio per un bel "qualcosa analyzed in a marxian framework" o qualche riferimento a Sraffa e Joan Robinson.

A questi rode il poco spazio, ma solo perché non sono loro ad aver spazio e condurre le danze, se no romperebbero i coglioni agli studenti con l'ennesima interpretazione del paragrafetto di Ricardo o del problema della trasformazione del valore in prezzi di produzione. Stanne certo.

Se no molti di questi avrebbero già abbandonato certe idee, e non starebbero a parlare esclusivamente di fondi o di egemonia della teoria neoclassica-liberista, che tanto è irrilevante quanto quella marxianricardiankeynesianvattelapesc. Dopo tutto se uno deve andare a cercarsi alcuni autori sconosciuti o alcune analisi lievemente più aderenti, purtroppo dagli italiani non può passare, anche se li conoscono (vedi Roncaglia) oppure deve guardare a vecchi scritti di quei pochi rimasti, quando non son morti.

Dev'essere la mancanza di fondi. Cretini gli autodidatti che non si fan pagare per scoprire certe cose.


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mincuo
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@Istwine. Quello che dici è giusto ed è anche triste. Ma non credo che qui siano in molti che abbiano capito cosa vuoi dire, sinceramente.
E non credo neanche che valga tanto la pena provare a scriverci qualcosa.
Meglio così.


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Dev'essere la mancanza di fondi. Cretini gli autodidatti che non si fan pagare per scoprire certe cose.

Confidiamo nelle nuove generazioni 😀


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Capablanca
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@Istwine. Quello che dici è giusto ed è anche triste. Ma non credo che qui siano in molti che abbiano capito cosa vuoi dire, sinceramente.
E non credo neanche che valga tanto la pena provare a scriverci qualcosa.
Meglio così.

Io credo invece che ne valga la pena. Anche se mi pare che molte cose in passato le abbiate già scritte, indicando autori molto importanti per i contributi che hanno portato, ma che sono poi stati realmente (e scandalosamente) emarginati o addirittura oscurati del tutto dalla "cultura ufficiale".
Se comunque vorrete aggiungere altri spunti, riferimenti, ecc. io personalmente ve ne sarò grato, e non credo che sarò l'unico..


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Giovina
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Puoi applicarlo a chiunque. E' un qualunquismo.
Di che si occupano i matematici. Di che si occupano gli storici. I biologi, i fisici, i giuristi....

Giusto, ed e' proprio in questa epidemia che si nasconde il nocciolo del problema, e della causa. Una epidemia che non riguarda solo l'economia, ma lo stesso diritto e prima di tutto la stessa cultura. Cosi' agendo, a vicenda questi settori si controllano e si asfissiano, in tal maniera producendo tutte le tare conosciute nell'intero sistema sociale, relegando alle ultimi posizioni, se non annullandole, le proprie caratteristiche e competenze alle quali dovrebbero ottemperare: ma l'approssimazione disperata, la corruzione, non sono altro che il frutto obbligato di un sistema in grosso conflitto di interesse, quindi ignorante, in partenza e alla base, un sistema in conflitto di interesse, un conflitto ritenuto immodificabile e non esplicantesi altrimenti.


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istwine
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@Istwine. Quello che dici è giusto ed è anche triste. Ma non credo che qui siano in molti che abbiano capito cosa vuoi dire, sinceramente.
E non credo neanche che valga tanto la pena provare a scriverci qualcosa.
Meglio così.

Io credo invece che ne valga la pena. Anche se mi pare che molte cose in passato le abbiate già scritte, indicando autori molto importanti per i contributi che hanno portato, ma che sono poi stati realmente (e scandalosamente) emarginati o addirittura oscurati del tutto dalla "cultura ufficiale".
Se comunque vorrete aggiungere altri spunti, riferimenti, ecc. io personalmente ve ne sarò grato, e non credo che sarò l'unico..

Cerco di spiegare che intendo, tieni conto, com'è normale, che fra sei mesi o un anno potrei dirti che quel che ho scritto adesso lo riscriverei, che alcune cose son diverse ecc. Dev'essere necessariamente in divenire la cosa, a parte ovviamente dei punti fermi.

Qual è il problema principale? Uno l'ha scritto mincuo, ed è la ricerca di teorie unificatrici, l'altro è il non avere spesso idea della realtà. Quando mincuo scrive che stanno nelle grandi banche, ha ragione, non dice nulla di così ideologico come pensa qualcuno, è semplicemente vero. Un po' di tempo fa avevo letto quest'intervista a Brian Arthur del 1998, un economista che ha lavorato tra le altre cose per McKinsey, alla domanda sul perché non venisse presa sul serio l'economia, lui dice fa la solita critica al formalismo, alla modellizzazione neoclassica ecc, e poi dice:

"You could make a counter argument saying, "Well, economists are always looking at the actual economy. The Wall Street Journal's full of quotations from economists." But I'm talking about academic economists, not the chief economist for Morgan Stanley. I'm talking about economics as an academic discipline."

"S&B: Are you saying that economics has been self-referential rather than examining the world that it's supposed to describe?[i]"

W. BRIAN ARTHUR: Yes, in that economists are spending a great deal of time looking at what economists are spending time looking at. It goes around in a circle. The logical framework became very persuasive -- by the 1970's and 80's, it became completely mathematized. Economists -- the top layer, the theoreticians -- tend to look very much at the framework. So it's becoming, in a sense, Talmudic and self-referential. This happens from time to time. In a couple of decades, we'll get away from it.

To be sure, there are some really excellent theorists who spend a great deal of time looking out into the world. Some economists are very aware of what's going on.

But there is another issue -- a great deal of economics is done the way it is done for analytical convenience. It is not just that the framework has become, as I said, so persuasive that economists don't feel that they need to look outside anywhere near as much. It is also that the framework itself is 50 percent an approximation to reality and 50 percent analytical self-convenience."

Ecc. Nel 1998. Le stesse cose le scrivevano altri zilioni di anni fa. Quindi la critica che fa Forges Davanzati è pure ok, ma è banale, trita. Brian Arthur non si riferiva certo a riportare in auge marxisti e ricardiani però.

Ma non c'è nulla di strano nel fatto che quelli seri stiano alle grandi banche o Big Three, Four ecc. Gli autori del mercantilismo erano mercanti, imprenditori, tecnici, Thomas Mun il più noto, era Governatore della Compagnia delle Indie, non erano l'economista da cattedra, quello arriva dopo, e comunque mantenevano un ruolo governativo come consulenti del Re, solo dopo, nel diciannovesimo secolo nasce la figura dell'economista cattedratico. Alcuni per me son ottimi (Scuola Storica Tedesca) altri sono risibili (c'è una lista da qua al polo nord!). Ma le politiche di Mun erano politiche d'interesse nazionale, per l'Inghilterra. Certo, facevan bene pure alla Compagnia delle Indie al tempo, ma Mun non lo negava, aveva però un'ottica di un certo tipo, come List successivamente. Che non è l'"ottica del capitale".

Tornando al punto. Queste cose che dice Brian Arthur, e che lui in quel momento attribuisce alla teoria neoclassica infatti non è che non siano generalizzabili anche agli altri. Marx e marxisti neanche c'è il tanto di sottolinearlo, neoricardiani idem, sarebbero i seguaci di Sraffa circa (mi scuseranno se non identifico tutte le branche e sottobranche, filoni e controfiloni). I keynesiani o postkeynesiani non si distaccano granché, ed il principale problema è che lavorano quasi esclusivamente per dati aggregati, e non per forza sempre attendibilissimi. Cioè, loro fanno ragionamenti su GDP, Investimenti, Domanda, Manifattura, Servizi, Agricoltura, Minerario, Banche, Export, Import, Portfolio Investments, FDI ecc ecc. E su questi ragionano.

Non è che sia sbagliato in sé, lo fanno anche alla BIS, al FMI ecc, come lo fanno le grandi banche, non è questo il problema. Il problema è che questi aggregati hanno delle economie eterogenee su cui si basano, e ognuno di questi ha molteplici differenze, dire Manifattura (Industria) vuol dire tutto e vuol dir nulla, perché al suo interno vi sono vari tipi di industrie che hanno differenti metodi di produzione, distribuzione, commercializzazione ecc ecc, e differenti grandezze, strutture, fatturato ecc. E ognuno di questi produce cose diverse in modi diversi, alcuni son settori maturi, altri son settori nuovi, alcuni competono sul prezzo l'altro sulla qualità, alcuni investono in R&D perché è un settore che necessità di quel tipo di investimenti, altri non ne fanno perché è un settore maturo o che non si basa su quello. Per dire le prime cose che mi vengono in mente (non son esperto!). Ognuno di questi va analizzato per le sue caratteristiche, e necessita soprattutto di particolari politiche che una visione su aggregati non permette.

Aggregarlo in "Manifattura" e poi costruirci un grafichetto, è infatti un esercizio sterile, del tutto sterile. Di manifattura ce n'è anche negli stati africani, e magari come quota è pure alta nell'export di alcuni, ma non è proprio la stessa che c'è in Germania o Giappone. Lo stesso vale per gli altri settori e per ognuno degli aggregati. Investimenti diretti esteri è un altro su cui si fanno strali, ma dalle mie conoscenze, sono state uno strumento centrale nello sviluppo dei paesi un tempo poveri. Alcuni vedo che ne parlano come "un debito", perché nella BdP entra come debito. Per dire il livello.

Questo è un aspetto.

L'altro aspetto è che il mondo evolve, e utilizzare gli stessi schemi teorici dei vecchi economisti, per quanto geniali fossero non per forza è utile adesso. Perché eran magari geniali, tutto quel che vuoi, ma lo erano al tempo. Se io ti facessi l'esempio della fabbrica di spilli per spiegarti l'importanza della manifattura, e mettessi in campo politiche di sussidio alle fabbriche di spilli sarei un cretino. No? Eppure molti economisti volente o nolente usano ancora gli schemi di Smith, di Ricardo, di Marx ecc. Non che non si possan prendere delle intuizioni, certo che sì, ma vanno contestualizzate, a me piace Friedrich List, ma mica ti parlo di ferrovie e treno a vapore! Né List ti parlerebbe adesso, nel 2015, di quello. E in ogni caso mi piace il modo che aveva di ragionare, ma non mi dice granché su come funziona il mondo ora o negli ultimi dieci anni. Per quello devo leggere altro.

L'altro problema è che sono ignoranti di finanza, pure io, bada bene, ma ne son consapevole, e tengo a mente la cosa. La maggior parte di questi no, oltre il "capitalismo casino" spesso non vanno. Ed è molto povera, visto che finanza e "economia reale" come dicono loro, non son due cose a parte, manco un po', mai state anzi.

Un altro problema è che molti di questi non sanno un cazzo di storia del pensiero economico, se no saprebbero ad esempio che ricardiani, sraffiani e marxisti non hanno mai contato una ceppa nella politiche economiche reali e che quelle van guardate per capire come siamo arrivati qui. Ma non sanno granché di storia economica e di storia in generale. E quel che sanno, in particolare di storia, e qui neoclassici e battaglione eterodosso vanno a braccetto, è sempre a senso unico. Non conoscere certe cosette ti porta facilmente a parlare di "neoliberismo e pacchianerie di contorno" come scrive mincuo. Zero nomi e cognomi, solo grandi aggregati, per il resto va bene Repubblica o il Corriere, o il paper referato!

Questo più o meno il problema.

T
utti questi aspetti non son purtroppo un problema di fondi, ANVUR e cazzi vari, sono un problema di paraculismo, pregiudizi, assenza di curiosità, arrivismo, ego, dinamiche interne all'università, assenza di rispetto per gli studenti e per l'istituzione, vicinanze politiche, assenza di etica e tanto tanto tanto indottrinamento.

PS: Ti faccio un esempietto su uno che per me è un bravo storico monetario se pure grande propagandista su Repubblica, Marcello De Cecco: su youtube c'è un video di De Cecco che parla del sistema internazionale del dopoguerra, non ricordo quale, son 4. a un certo punto fa un accenno a due cose. La prima è quando dice che le banche al tempo e da sempre prestavano prima di avere i soldi (investimenti--->risparmi) "nonostante qualche economista dica il contrario" e l'intervistatore gli dice "mi ricorda la teoria postkeynesiana" e lui gli dice "sì sì, loro lo facevano prima di teorizzarlo!". Come dire, nel business ste cose si sanno e da sempre, a prescindere dalle menate degli economisti. L'altra cosa che dice è, sempre col solito modo suo, che al periodo, alla Bank of England c'era un Rothschild, alla Banque de France c'era un Rothschild. Lui dice una cosa del tipo "sicuramente erano dei patrioti eh!". Lo dice così, per scherzare (e metter le mani avanti), ma intanto lo dice, e lo dice per far capire che certe ricostruzioni storiche senza nomi e cognomi, mica son tanto buone. O almeno io così l'ho intesa.

PS2: Aspetta un annetto e ti dirò se la penso ancora così 😀


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Georgejefferson
Famed Member
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In effetti non e' ideologico citare i selezionati (aspettando anche le nuove generazioni) piu efficenti alla causa di protezione e perpetuazione degli interessi delle 5 banche piu grosse.

E' la realtà.

Nel senso di banale e ovvia anche.

Ideologico e' considerarli (per religiosa convinzione ideologica) di valore, i migliori escludendo dall'opinione i fini, quindi giudizio di valore a priori.

Perchè conforme ai propri principi e valori, in questo caso porre il bene comune in secondo piano.

Quindi non e' antipatico o ideologico che sia un dato di fatto, e' proprio cosi.


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istwine
Prominent Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 824
 

Mah dipende George, se tu lavori nel centro studi di una di queste multinazionali, e il tuo committente è una Regione che ti chiede di studiargli un modo di migliorare il processo di riciclaggio dei rifiuti o di sviluppo di energia rinnovabile, secondo me è lodevole. Certo, prendono uno stipendio, e l'azienda è pagata tanto, ma offre un servizio, come lo offre il commercialista del panettiere. Tu che dici?


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