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Fini - Il 25 Aprile senza la retorica della resistenza


Tao
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Il 25 Aprile si può celebrare uniti senza la retorica della resistenza

Si celebra domani il 25 aprile, la giornata della Liberazione. Per la prima volta vi parteciperà anche l’attuale presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che l’aveva finora snobbata. Temo però che questa adesione prestigiosa, e peraltro doverosa, non farà che rafforzare un voluto equivoco su cui gli italiani hanno vissuto per decenni e ancora vivono, e che è stato foriero di gravi guasti per la vita nazionale. Questo equivoco si chiama Resistenza.

Come fatto militare la Resistenza fu del tutto marginale all’interno di quel grandioso e tragico evento che è stato il secondo conflitto mondiale. Servì come riscatto morale per quelle poche decine di migliaia di uomini e di donne coraggiosi che vi presero parte. Dico poche perché nel dopoguerra si è assistito non solo al miracolo gaudioso per cui, da un giorno all’altro, il 25 aprile appunto, gli italiani divennero tutti antifascisti da fascisti che erano stati, ma perché non c’è stato quasi italiano adulto che non si sia appuntato sul petto fasulle medaglie partigiane. E anche non adulto. Non c’era chi, all’epoca ragazzino o addirittura bambino, non dichiarasse di essere stato, come minimo, una "staffetta partigiana" (a dar retta a questi racconti i partigiani più che combattere avrebbero fatto altro che scambiarsi messaggi).

La Resistenza è stata invece interpretata come un fatto che riguardava tutti gli italiani per cui, nell’immaginario collettivo, è nata la comoda convinzione che l’Italia si sia "liberata" da sola e non grazie alle truppe angloamericane e che avesse quasi vinto una guerra che invece aveva perso nel più vergognoso dei modi. Con i nazisti non ci si doveva alleare, ma una volta alleati è stato troppo facile, comodo e vile pugnalarli alle spalle in una lotta per la vita o per la morte nel momento in cui si profilava la sconfitta. Per cui l’8 settembre dovrebbe essere ricordato come la giornata della vergogna e non celebrata come il suo contrario. E i ragazzi che andarono a morire per Salò lo fecero a loro volta per un riscatto morale, per altri valori che allora contavano qualcosa e che noi oggi, nella finta libertà democratica, abbiamo perduto, l’onore e la lealtà, e meritano il rispetto che si deve a tutti i vinti che si sono battuti in buona fede. (Rispetto che non va a Mussolini che dopo tanta retorica sulla "bella morte", in nome della quale si sacrificarono tanti giovani fascisti, fugge travestito da soldato tedesco. Che è poi l’eterna e disgustosa storia dell’"armiamoci e partite" che segna la classe dirigente italiana, da Caporetto, al Re, a Badoglio che, con i loro bauli, fuggono da Roma lasciandola in balia dei tedeschi, a Toni Negri, a Moro, che dalla sua prigione scrive le lettere che scrive, a Bettino Craxi, classe dirigente che, al momento del dunque, trova sempre qualche autogiustificazione per non pagar dazio e per violare quelle regole e quei codici morali che aveva chiesto agli altri di rispettare).

La Resistenza non fu quindi il riscatto dell’Italia né degli italiani, la stragrande maggioranza dei quali stette alla finestra aspettando di vedere chi fosse il vincitore per poi accodarsi a lui o addirittura prenderne la guida. Ma aver fatto credere il contrario ha avuto come conseguenza che gli italiani, a differenza dei tedeschi e dei giapponesi che la guerra la condussero fino in fondo e la persero fino in fondo, non abbiamo mai fatto veramente i conti con sè stessi e con il proprio passato. È dalla retorica della Resistenza (no, sia ben chiaro, dai veri partigiani che meritano il nostro rispetto, la nostra ammirazione, il nostro omaggio) che è nato il fenomeno del terrorismo rosso che insanguinò il nostro Paese per una decina d’anni e che ancor oggi, di quando in quando, continua ad insanguinarlo.

Io credo che il 25 aprile potrà essere una giornata di memoria condivisa solo quando cesserà di essere la celebrazione retorica di un’epoca che riguardò i pochi e diventerà invece un momento di riflessione autentica sulla nostra storia, sui nostri errori, sulle nostre responsabilità.

Massimo Fini
Fonte: www.massimofini.it
24.04.2009


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Tao
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Un’immeritata riverenza servile alla potenza colonialista yankee

Che gli americani abbiano liberato l’Italia è una delle barzellette più uggiose e stomachevoli che i nostri rappresentanti (si fa per dire), in combutta con giornalisti-ciabattini, continuano a raccontarci senza vergognarsi del ridicolo, di cui si coprono, confessando se non altro un’immensa ignoranza della storia.

Gli americani si sono sempre mossi solo in funzione di interessi di potenza o di mercato (che è poi un modo diverso di fare potenza). Non hanno mai manifestato alcun proposito di liberare un solo Paese da una dittatura o potere cattivo meno che nei riguardi del mondo comunista, in cui vedono, e non a torto, la propria negazione. Il parametro della tollerabilità di qualunque Stato, nell’ottica degli USA, si chiama solo e semplicemente “USA-compatibilità”. Il che significa, come è evidente, che quanto è compatibile, anzi cònsono, con gli interessi, geopolitici o di mercato, della macchina del mostro industriale-politico-militare nordamericano, non può temere alcun intervento o sanzione anche se all’interno si fa scempio dei diritti civili.

Non è proprio una battuta ad effetto, questa, se si pensa che ancora ci sono paesi in cui si condanna alla lapidazione delle adultere e se nell’Arabia Saudita, paese amico degli USA, si pratica ancora il taglio della mano per i ladri (magari per fame!). Quello della democrazia è un paravento che fa spifferi da tutte le parti. Del resto, “la più grande democrazia del mondo” è una dittatura imperialista con dittatore elettivo legittimata da un giochetto elettorale e rappresentata da un fantoccio di turno al servizio del potere reale di chi lo ha fatto eleggere.

Le continue ciance sui diritti civili trasgrediti in Cina e a Cuba nascondono una realtà tipica, che fa davvero pietà se si pensa che nell’àmbito degli USA non esiste alcuna garanzia circa il diritto al lavoro e meno che mai a quello di conservarlo, se l’assistenza sanitaria è pagata – quando possibile – dagli stessi assistiti attraverso specifiche polizze di assicurazione, se la povertà sta sempre dietro l’angolo e se la criminalità è come una patina che copre l’intero territorio della grande unione di Stati.

Ciò premesso, appare chiaro che gli americani non avevano alcun interesse di liberare l’Italia dalla dittatura fascista tanto da non accorgersi di quella, davvero feroce, di Franco e dell’altra, di Salazar, ambedue nella penisola iberica, ma solo quello di accorrere in aiuto alla complice Inghilterra: a tal fine, non potevano non invadere-occupare l’Italia, il polo più a portata di aggressione dell’asse con Berlino. E non potevano che farlo secondo il costume yankee, cioè massacrandola di bombardamenti non certo per colpire obiettivi militari ma il più spesso a scopo prettamente terroristico, per fiaccare le autorità e le forze in armi attraverso il panico (terrore) dei civili, quando non anche o solo per il piacere sadico dei seminatori di morte. A Tripoli (dove lo scrivente viveva), i fratelli siamesi di Albione, voglio dire i signori inglesi, degni compari dei militari “a teschi e bare” (pardon, a stelle e strisce), venivano a bombardare quasi tutte le notti (e talvolta anche di giorno, colpendo abitati civili e povera gente che non disponeva di un rifugio adeguato. Memorabile è il bombardamento navale britannico del 21 aprile 1941 (Natale di Roma!), durato non meno di quattro ore e causa di danni immani e di innumeri morti, tra i civili s’intende.

La liberazione dell’Italia dal potere mussoliniano fu solo un effetto secondario e, quel ch’è peggio, costituì un pretesto per occupare militarmente il nostro Paese. Era inevitabile che la gente, stressata dalle bombe e dalla fame, vedesse negli occupanti il simbolo della fine di un incubo. Sulla stessa fame le truppe “di liberazione” posero il pretesto del famigerato “Piano Marshall”, una forma di carità pelosa, cioè condizionata dal rispetto, senza limiti di tempo, della sovranità militare degli occupanti, che sarà il diritto dei vincitori e che si chiamerà NATO con quelle implicazioni a catena che conosciamo.

Così conciato il nostro Paese è diventato perfettamente “USA-compatibile”, anzi “USA-servile”, una “riserva coloniale” a tutti gli effetti, con basi militari in crescente proliferazione e fra le più grandi di tutta l’Europa. E’ così che agli interessi nazionali va anteposta la devozione feudale al principe yankee di turno inviando inservienze militari gratuite (a titolo vergognosamente ipocrita di “missioni di pace”) prima in Iraq ed ora in Afghanistan, a dispetto dell’art. 11 della Costituzione, semplicemente ridotto a figura retorica della carta fondamentale di uno Stato sedicente di diritto.

La storia del dopo guerra è una conferma a posteriori della non liberazione dell’Italia se è vero che nei paesi latino-americani i signori yankee continueranno ad abbattere o a creare poteri a seconda della compatibilità o meno con il parametro sopra detto. Un esempio valido per tutti è quello del Cile dove, fatto assassinare Allende, vi instaureranno la tirannia del malvagio cattolicissimo Pinochet.

La classifica, che gli USA han fatto degli Stati prima dell’occupazione, totalmente contro il diritto ordinario e internazionale, dell’Iraq è ben eloquente: è “canaglia” qualunque Stato che non sappia servire gli interessi della Casa Bianca e del Pentagono. L’Iraq, già vittima dell’embargo con moria di bambini per mancanza di alimenti e di farmaci di prima necessità (oltreché per irradiazione radioattiva, strascico dell’aggressione militare di Bush-padre), subirà un’aggressione con un dispiegamento di forze tanto poderoso quanto vile ma non senza l’assenso di un’ONU, ridotta a feudo di fatto della potenza yankee.

Il 25 Aprile è una ricorrenza nazionale ambigua nella misura in cui pretende di ricordare agli italiani una liberazione americana, che non è mai avvenuta e che oggi, più che mai, sa di viscido ossequio ad una potenza selettivamente criminale, semplicemente barbarica, (con buona pace del premio Nobel per la pace Obama!) e che sta mettendo a rischio la sopravvivenza della specie umana. Chi ha il coraggio di proporne l’abolizione senza correre il rischio di essere accusato di apologia di fascismo?

Carmelo R. Viola
Fonte: http://byebyeunclesam.wordpress.com
Link: http://byebyeunclesam.wordpress.com/2010/04/15/25-aprile-una-festivita-da-abolire/#more-4770
15.04.2010


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