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Fini - Sakineh, la strumentalizzazione occidentale


Tao
 Tao
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La mobilitazione internazionale a favore di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per adulterio e complicità nell'omicidio del marito (i due fatti, se le accuse sono veritiere, sono, con tutta evidenza, collegati), sarebbe totalmente condivisibile se fosse stata centrata esclusivamente sulla modalità dell'esecuzione: la lapidazione. La lapidazione infatti va oltre la pena di morte, è una tortura. Una tortura, se si può dir così, a fuoco lento (le pietre non devono essere né troppo grosse, così da uccidere all'istante la condannata, né troppo piccole da non farle male). Ora, un uomo, in determinati e precisi casi, può essere lecitamente ucciso ma mai torturato o umiliato, tant'è che la tortura, almeno formalmente, non è legittimata in nessuno Stato del mondo nemmeno in tempo di guerra (anche se gli americani l'hanno usata a piene mani a Guantanamo – con l'ipocrito escamotage che era fuori del territorio degli Stati Uniti – e nel modo più sadico, ignobile e schifoso a Abu Ghraib dove è venuto a galla tutto il marciume morale della cosiddetta “cultura superiore”). Ma la mobilitazione internazionale, per meglio dire: occidentale, non contesta solo la lapidazione, ma anche la pena capitale inflitta alla donna e anzi la vuole “subito libera”. Davanti a una immagine di Sakineh che, per iniziativa del governo italiano, campeggia da tre giorni all'ingresso di Palazzo Chigi il ministro degli Esteri Franco Frattini e quello delle Pari opportunità Mara Carfagna hanno dichiarato “Finché Sakineh non sarà salva o libera il suo volto ci guarderà dal palazzo del governo italiano”.

ORA, LA PENA DI MORTE è in vigore anche in Paesi considerati campioni della civiltà, come gli Stati Uniti, e nessuno Stato lascerebbe a piede libero un assassino. Quanto all'adulterio è considerato un reato meritevole della pena capitale non solo in Iran ma in molti altri Paesi islamici che hanno una cultura e una morale diversissime dalle nostre soprattutto per quel che riguarda la famiglia. La domanda è questa: le sentenze di un Tribunale iraniano su fatti che quel Paese considera reati gravi sono ancora sentenze di uno Stato sovrano o devono essere sottoposte ai Tribunali popolari dell'Occidente? E può Sarkozy dichiarare che Sakineh “è sotto la protezione della Francia”? Allora sia coerente e dichiari formalmente guerra all'Iran in nome dei principi in cui dice di credere, invece di continuare a farci cospicui affari (la Francia è il secondo partner commerciale europeo dell'Iran, dopo l'Italia).

Questo il quadro di principio. Ma dietro i principi ci sono le persone in carne e ossa. In questo caso una giovane donna di 42 anni che rischia da un momento all'altro di essere giustiziata. È l'eterno conflitto fra pietas umana e la legge (dura lex sed lex dicevano i Romani), fra Antigone che, contro la legge, seppellisce il fratello Polinice in terra consacrata e il re Creonte che quella legge deve far rispettare e la condanna a morte. È l'eterno dilemma fra Libertà e Autorità così profondamente scandagliato da Dostoevskij nell'apologo de Il Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov.

L'IRAN NON HA ALCUN obbligo giuridico di fornire all'Occidente le prove che la sentenza del suo Tribunale è giusta, anche perché qui non ci troviamo di fronte a un oppositore politico ma a una persona accusata di reati comuni e non si vede quale interesse avrebbe mai la giustizia iraniana ad accanirsi arbitrariamente su di essa. Ma l'Iran è però un grande, colto e civile Paese, molto più civile di quanto lo facciano gli occidentali, e dovrebbe avere la sensibilità, anche politica, di capire che su un caso che è comunque sotto gli occhi di tutto il mondo ha l'obbligo morale di dare sulla reale colpevolezza di Sakineh informazioni maggiori e più trasparenti di quante ne abbia date finora, senza per questo sentirsi diminuito nella propria sovranità, anche se sappiamo benissimo che questa vicenda viene strumentalizzata in funzione della tambureggiante campagna contro Teheran di Stati Uniti e Israele. Perché, a questo punto, un'esecuzione al buio sarebbe altrettanto inaccettabile di quella liberazione al buio che vorrebbero il ministro Frattini e Bernard-Henri Lévy.

Massimo Fini
Fonte: www.massimofini.it
7.09.2010


Citazione
Attila
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Salviamo Sakineh. E gli altri?…
di Rita Vergnano
In questi giorni, in ogni dove, si sente parlare dell’appello in favore di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione per adulterioe per complicità nell’ omicidio del marito.

http://www.cdt.ch/mondo/cronaca/30265/non-dimentichiamo-sakineh.html

Naturalmente la campagna è condotta, oltre che per salvare Sakineh anche (come si legge nell’articolo sopra) in favore di tutte quelle donne iraniane ostaggio delle proprie famiglie, della propria società e di leggi scritte che contraddicono i principi dei diritti umani».

Premesso che sono contraria alla pena di morte (in tutte le sue forme) mi sono chiesta più volte se la situazione in quei paesi (come l’Iran ed altri paesi del Medio Oriente sotto una dittatura teocratica e non) fosse davvero l’inferno delle donne, ostaggio delle proprie famiglie e della società, private di ogni diritto umano, e il paradiso degli uomini che, di conseguenza, costituendo l’altra metà della società e delle famiglie verrebbero a trovarsi nella posizione di detentori di ostaggio. Oppure se non fosse un “inferno” per entrambi.

Prima di Sakineh c’erano state Safya, Amina, le donne in pericolo e a rischio di lapidazione per le quali sono stati lanciati numerosi e ripetuti appelli. Eppure, in generale, la pena di morte (così come il carcere) è una misura presa in gran misura più nei confronti degli uomini che non delle donne.

Ho dato un’occhiata al rapporto di Amnesty International sulle condanne a morte ed esecuzione nel 2009 e così ho potuto leggere alcuni numeri cui di norma non viene dato rilievo sui media.

http://www.amnesty.it/dati_pena_di_morte_nel_2009

Così, proprio a proposito dell’Iran e della lapidazione (pena che da quanto ho capito è comminata solo agli adulteri) a pag. 18 si legge “Nonostante una direttiva del 2002 imponesse una moratoria sulle esecuzioni tramite lapidazione e una dichiarazione dell’agosto del 2008 del portavoce dell’autorità giudiziaria che affermava che questo metodo diesecuzione era stato sospeso, almeno cinque uomini e una donna sono stati lapidati a morte negli ultimi otto anni. A gennaio 2009, lo stesso portavoce ha confermato alcune esecuzioni tramite lapidazione e ha detto che la moratoria non ha un peso legale e che i giudici possono anche ignorarla.

Il 5 marzo 2009, Vali Azad è stato lapidato a morte in segreto, all’interno della prigione di Rasht, nel Nord Ovest

dell’Iran. Almeno altre sette donne e tre uomini sono a rischio di essere lapidati perché condannati a morte per adulterio durante il matrimonio.

Quindi, ricapitolando, il 70% degli incarcerati in attesa dell’esecuzione di cui si ha notizia è costituito da donne ma l’83.34% delle esecuzioni avvenute è costituito da uomini. In sostanza le condanne per adulterio sono 50% uomini e 50% donne (5 lapidati e 3 in attesa dell’esecuzione fra gli uomini e 1 lapidata e 7 in attesa di esecuzione fra le donne) ma, stando ai dati forniti da Amnesty, solo il 12.5% delle donne viene effettivamente messo a morte in un modo così barbaro contro il 62.5% degli uomini.

Sulle motivazioni nulla si sa.. Potrebbe anche essere che all’attenzione internazionale vengono portate solo le donne e di conseguenza, date le pressioni mediatiche internazionali, venga sospesa o procrastinata l’esecuzione in percentuale maggiore per le donne mentre per gli uomini non essendoci appelli o tam tam mediatico non c’è speranza? Oppure c’è, a monte, una severità maggiore nel giudicare (o forse è anche più facile che venga allo scopertol’adulterio nel caso di una donna e che lo si dimostri) ma di contro, una maggior clemenza, alla fine, nel giudizio?

Così, ad esempio sempre in Iran, il progetto di legge per il reato di apostasiaprevedeva pene diverse per un uomo e per una donna (progetto di legge che pare sia stato approvato, nonostante le pressioni internazionali, tanto che nel novembre 2009 è stato impiccato per apostasia il ventisettenne Ehsan Fattahian).

http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=11629&size=A#

“L’Istituto sulle politiche religiose e pubbliche, con sede a Washington, che ha reso nota giorni fa l’iniziativa, spiega che il testo in esame stabilisce la morte per l’apostata-uomo e il carcere per l’apostata-donna”.

Parlando di condanne a morte in generale, si apprende che in Iraqdalla fine del 2009, sono più di 900 le persone, incluse 17 donne, che si trovano in imminente rischio di essere messe a morte nel paese. Secondo le informazioni ricevute da AmnestyInternational, queste persone hanno esaurito tutti i possibili gradi di appello e ora le condanne a morte devono essere ratificate dal Consiglio presidenziale.

Ecco qua.. lo stesso meccanismo comunicativo per i morti sul lavoro, evidentemente gli uomini in attesa di giudizio sono 883 o forse di più, visto che il totale delle persone è 900 ma l’accento cade su “quell’incluse 17 donne” . E a proposito della maggior capacità empatica femminile secondo cui se le donne fossero al potere, in virtù della loro capacità di dare la vita, combatterebbero la cultura di morte, si apprende anche che in Iraq, a contrapporsi al presidente Jalal Talabani che sostiene l’abolizione della pena di morte e si rifiuta di firmare le esecuzioni, oltre al primo ministro e ad alcuni altri ministri c’è anche una signora, la dott.ssa Wijdan Mikhail Salim che è stata nominata nientemeno che ministro dei diritti umani e il cui mandato dovrebbe essere proprio quello di promuovere la causa della protezione dei diritti umani.

http://www.uominibeta.org/2010/09/03/salviamo-sakineh-e-gli-altri/


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Attila
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I Diritti Umani secondo Tette&Culi
09/05/2009

In questi giorni dagli organi di "informazione" si è levata molta indignazione per la condanna a morte di Delara Darabi,ragazza iraniana di 23 anni colpevole e reo confessa di un omicidio. Chi conosce il mio blog sa benissimo quanto orrore provo nei confronti della pena di morte e di come apprezzo ogni sforzo teso all'eliminazione di questa pena, tuttavia altrettanto apprezzamento non posso provarlo quando l'indignazione per una condanna a morte è suscitata da motivazioni puramente strumentali e ideologiche.

Perchè così è stato nel caso di Delara Darabi; la condanna e l'indignazione per la sua esecuzione, difatti, è stata causata non tanto per l'esecrazione della pena di morte in se e nè tanto dalla giovane età della persona giustiziata, quanto,invece, per il Paese in cui è avvenuta questa esecuzione(Iran), e soprattutto per il sesso della persona finita sotto il patibolo, quello femminile appunto. Proprio negli stessi giorni in cui veniva giustiziata Delara, sempre in Iran, un ragazzo quasi coetaneo a lei è stato lapidato per aver commesso un'azione che dalle nostre parti non è un reato, ma anzi è considerata un' opera benemerita, specie se a compierla sono le donne: l'adulterio(link). Eppure non c'è stata quell'indignazione che invece ha accompagnato l'esecuzione di Delara Darabi, anzi quasi non ne hanno parlato(eccetto un trafiletto dell'edizione on line di pochi giornali).

E inoltre nel mondo, a cominciare dagli Usa, vengono di continuo giustiziati ragazzi per reati commessi da minorenni e proprio da noi in Europa, in tempi recenti, nel 1976, un ragazzo francese di appena 20 anni, Christian Ranucci, accusato di omicidio,fu decapitato a Marsiglia con la ghigliottina per ordine dell'allora Presidente della Francia, Giscard D'Estaing ,senza che ci furono indignazioni e proteste, ma anzi con la piena approvazione dell 'opinione pubblica.Il perchè di questa disparità di trattamento quando a finire sul patibolo sono esseri umani di sesso maschile è ovviamente da ricercare nella concezione tipicamente occidentale della donna la cui vita è considerata di maggior valore rispetto a quella degli uomini("prima le donne...", si dice).

E infatti, in merito all'esecuzione di Delara non si può far a meno di notare come sui giornali e tv il nome di questa ragazza viene sempre preceduta dall' attributo artistico di "pittrice" e, quasi mai seguito dal reato per cui è stata condannata(*), quasi a voler maggiormente instillare nell' opinione pubblica la leggenda metropolitana femminista secondo cui nel mondo le donne vengono giudicate per il loro essere donne e non per azioni commesse(quando invece sappiamo che sia in Iran che in tutto il mondo, la stragrande maggioranza di coloro che finiscono in carcere o al patibolo sono maschi).

Inoltre provate a immaginare se al posto di Delara Darabi, fosse stato giustiziato magari dopo essere stato orrendamente seviziato ed evirato-come spesso succede in alcuni Paesi-un suo coetaneo maschio, anche egli pittore,per violenza sessuale, cioè per un reato-con buona pace del popolo bue-oggettivamente meno grave rispetto all' omicidio. Ovviamente di ciò non se ne sarebbe parlato, oppure se proprio se ne fosse parlato, i giornali, le tv e il popolino avrebbero avuto minuziosa cura e patetica precisione nello specificare il reato per cui sarebbe stato condannato-"stupro"-"abusi"-"molestie"- e ovviamente il suo nome e la sua figura non sarebbero stati preceduti e accompagnati dalla qualifica di "pittore", ma da tutt'altro che gentili omaggi quali "mostro stupratore", "orco", "predatore", "maniaco" e da tanti altri patetici termini e neologismi di cui è infarcito il vocabolario del popolo bue, avallando una simile esecuzione come modello da importare nel nostro sistema giuridico(e in parte già è stato importato) giacchè dalle nostre parti per gli stupratori si chiedono a gran voce gli stessi metodi e punizioni che si usano in popolazioni tribali o comunque in stati arretrati, quali lunghe e sproporzionate pene detentive, pene di morte previa squartamento o bollitura in pentoloni ed evirazioni , in piena linea con l'orrenda "ricetta Calderoli" di...tagliare il pene "senza nemmeno sterilizzare il coltellaccio".

Come si può vedere, non c'entrano nulla i diritti umani con questo clamore per l'esecuzione di questa ragazza iraniana, infatti il popolo denuncia e si indigna per le violazioni dei diritti umani solo quando bisogna difendere categorie gradite oppure per screditare stati e governi sgraditi, ma le invoca tranquillamente contro ogni qualvolta in questione ci sono categorie odiate e nemiche. E' un vezzo, questo, che da sempre contraddistingue la stupida massa popolare.Giudicare un' azione usando metri di giudizio diversi a seconda delle pelle o del sesso di chi questa azione la compie o la subisce, non può che configurarsi come una spregevole forma di razzismo.

(*) NOTA: Nei giorni seguenti all'esecuzione su quotidiani e in tv è incominciata a balenare l'ipotesi che a commettere l'omicidio sarebbe stato il suo compagno e non lei che invece sarebbe stata indotta a confessare l'omicidio. Ovviamente a supporto di questa tesi non vi è nessuna prova, ma è solo una ipotesi che fa molto comodo in quanto ben si adatta alla propaganda di regime occidentale secondo cui le donne sarebbero intrinsecamente incapaci di compiere il male e perennemente vittime del sistema "patriarcale" e "maschilista".

http://ilvolodidedalo.blogspot.com/2009/05/i-diritti-umani-secondo-tette.html?showComment=1243023932529


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