Grimaldi - Da Thera...
 
Notifiche
Cancella tutti

Grimaldi - Da Theran a Tegucigalpa: C’è “rivoluzione” e..


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 33516
Topic starter  

DA TEHRAN A TEGUCIGALPA: C'E' "RIVOLUZIONE" E RIVOLUZIONE

Al momento di marciare molti non sanno / che alla loro testa marcia il nemico / La voce che li comanda / è la voce del nemico / e chi parla del nemico / è lui stesso il nemico.
(Bertold Brecht)
L’uomo muore in tutti coloro che restano silenziosi davanti alla tirannia.
(Wole Soyinka)
Il silenzio, dicono, è la voce della complicità. Ma il silenzio e’ impossibile. Il silenzio urla. Il silenzio è un messaggio, proprio come fare niente è un’azione. Fai risuonare chi sei in ogni atto e parola. Diventa quello che sei. Ciò che fai è ciò che sei. Diventa il tuo messaggio. Tu sei il messaggio. Nello spirito di Cavallo Pazzo.
(Leonard Peletier, ergastolano pellerossa)

Cari i miei generosi e pazienti interlocutori. Penso che, a vostro sollievo, da dove mi troverò non sarà facile rifilarvi le mie periodiche intemperanze. Ci risentiremo verso fine mese. Qui, un breve post su eventi che dovrebbero infliggere qualche scrupolo anche ai più pervicaci degli asinelli nel paese della cuccagna.

Non si contano i media da cui sono stato cacciato, o dai quali mi sono allontanato. E’ un rosario di fratture dalle quali, mi auguro, le mie ossa siano uscite via via rafforzate. E l’azione ne abbia guadagnato in limpidezza e verità. Paese Sera, The Middle East, la BBC, la Rai, Liberazione… E ora anche Uruknet. Uruknet è un sito-bollettino quotidiano in inglese che la scarsa anglofonia degli italiani non diffonde all’altezza dei suoi meriti (anche se sporadicamente produce versioni in italiano). In compenso ha centinaia di migliaia di affezionatissimi e grati seguaci all’estero. Non v’è dubbio che sul conflitto mediorientale, con excursus in campi anche lontani dello scontro popoli-imperialismo, sia la fonte più attendibile e ricca, un castigamatti dei bugiardi e falsari. Ne sono stato per molti anni uno dei collaboratori più assidui e, dal rilievo concessomi, mi illudo tra i più apprezzati. Poi su Uruknet si è abbattuta la “rivoluzione verde” di Tehran, vista e accanitamente propagandata anche grazie all’apporto della più astuta e disonesta disinformazione imperiale. Una caduta epocale. La giusta avversione a un governo che ha collaborato con l’imperialismo nel più sanguinario crimine del secolo, lo squartamento dell’Iraq, ha tolto a Uruknet quella lucidità di analisi e valutazione che i suoi gloriosi trascorsi avrebbero dovuto garantire. Siccome Ahmadinejad è stato il co-assassino dell’Iraq, ecco che chiunque si scagli contro di lui è apoditticamente un vindice della libertà, democrazia, giustizia. Anche se ogni evidenza grida al cielo – e Hillary Clinton non si è peritata di ammetterlo – che quei moti dell’alta borghesia iraniana, non certo la liberazione dell’Iraq reclamavano, ma un’alleanza con i devastatori imperiali del pianeta tutto. E questo, giustamente nel momento in cui l’intesa congiunturale Iran-Israele-Usa contro Iraq e arabi era andata sfilacciandosi, sostituendovi la collisione per l’egemonia regionale. L’Iran, in questa prospettiva, è l’unico grande Stato musulmano, l’unico paese tra Atlantico e Oceano Indiano, cui la cupola criminale occidentale non ha saputo sottrarre indipendenza, sovranità, ruolo geopolitico e geostrategico. Un ostacolo colossale nell’avanzata verso la frantumazione complessiva di tutti gli Stati frapposti tra il cannibalismo petrolifero e la strategia maltusiana dell’Occidente, e l’Asia centrale, “cuore del mondo”. Il semplicismo analitico, rafforzato da un approccio più emotivo che scientifico, ha fatto di Uruknet, nel suo sostegno a una sedizione Cia-Mossad, assolutamente identica alle destabilizzazioni imperialiste di molti altri paesi, incompresa nei suoi aspetti di classe, l’imbarazzante, stolto puntello a sinistra della guerra infinita rilanciata da Obama. Uruknet, dando poco peso a considerazioni deontologiche, ha smesso di pubblicare la mia versione opposta degli eventi persiani (e anche tutto il resto), ma ha dato ampio spazio alle visceralmente rancorose e diffamatorie aggressioni personali di una sua malferma collaboratrice. Che mi ha descritto in marcia con i fondamentalisti iraniani, nientemeno, con il turbante in testa. Come quando l’invettiva berlusconiana copre la requisitoria del pubblico ministero. Una bella sintonia di Uruknet e della sua corista verde con Obama, Netaniahu, La Russa e tutti i delinquenti della guerra ai “fondamentalisti islamici”. Quelli della, bene o male, tanto gloriosa quanto unica resistenza di massa ai necrocrati del nuovo colonialismo in quella regione del mondo. Chi ha la cortesia di seguirmi su questo blog non ha bisogno che io sottolinei la portata squallidamente squadrista di tale ritrattino. Bye bye Uruknet. C’è sempre tempo, comunque, per riaggiustare il tiro sul nemico. Quando c’è la buonafede…

Ci hanno martellato le palle e, a ogni residuo singulto di una sedizione borghese fallita, continuano a martellarcele, sulla repressione, sui presunti brogli, sulle atrocità carcerarie, sulle confessioni a priori false dei terminali Cia-Mossad in Iran. Tutti quanti, dal mignolo destro al mignolo sinistro, passando a colpi di traveggole per la capoccia vuota di un’opinione pubblica decerebrata. La solita unanimità corale che impone la musica di chi ha la bacchetta in mano. Tutti d’accordo? Vince la destra. E’ un assioma che la storia dei padroni porta appuntato sul petto. E ora, agli assordanti schiamazzi verdi sull’Iran, ottimo sottofondo ai missili che USraele ogni paio d’ore minaccia di lanciare su quel paese, opponiamo il silenzio che si è esteso sull’ecatombe di Gaza, sulla sadica antropofagia di Israele, sull’olocausto dell’Iraq, sul genocidio afghano (fiancheggiato dal “pio pio, ritiriamo le truppe”, pigolato dagli uni, e dal “però non possiamo abbandonare gli afghani “ dei manifestini alla Sgrena), sulla nuova strategia obamiana di sbranare e triturare il Pakistan nucleare in combutta tra India, Israele e Usa. Ma, soprattutto, ponete il berciare omologo sull’Iran a confronto con la morta gora in cui si avviluppa e occulta l’Honduras. E’ questo l’internazionalismo dei nostri giorni. Delle nostre sinistre.

Mettiamo su un piatto della sbilancia l’accanimento terapeutico sul cadavere della rivolta filo-Usa in Iran e, sull’altro, gli spazi dedicati al colpo di Stato nella più derelitta della “repubbliche delle banane”, base d’intervento per tutte le sanguinarie imprese dell’imperialismo Usa, da Cuba al Nicaragua, da Grenada a Panama , dal Salvador al Guatemala, al golpe dei gorilla fascisti scaturiti dalla base Usa di Palmarola e alla resistenza assolutamente fantastica di tutto un popolo, tolta la lumpenborghesia compradora con i suoi mercenari addestrati nella Scuola delle Americhe. Una resistenza del tutto inaspettata da parte di masse contadine analfabete, represse, sprofondate nella miseria, oggetto da decenni dello sfruttamento più spietato da parte dei vampiri multinazionali, giunta a quasi cento giorni di ininterrotta lotta non armata, segnata da brutalità militari di ogni genere, con un presidente deposto, sequestrato, sbattuto fuori, che, da mite liberale dai buoni sentimenti, si è trasformato, spinto al vento della resistenza, in bandiera dell’emancipazione e della sovranità. L’Honduras, emerso dall’abiezione colonialista e oligarchica a una prodigiosa coscienza e combattività rivoluzionaria, trattato come sempre in passato gli Usa hanno trattato popoli stufi di schiavitù, da Pinochet a Videla, da Somoza a Duvalier, da Batista a Uribe, è un paradigma del nostro tempo in bilico tra planeticidio e liberazione, tra criminalità organizzata, politica, economica, culturale, e giustizia nella libertà. Come Gaza, come l’Iraq, come l’Afghanistan, come la Somalia, con un passo in più grazie alla scintilla sociale e laica che ne ha innescato l’incendio antimperialista e antifascista,
scintilla trasvolata dal fuoco di fila rivoluzionario o progressista che avanza dal Cono Sud.

E’ da qui e dalle parallele sette basi militari installate dal guerrafondaio Obama(“Uomo di pace” per l’israelomaniaco Furio Colombo su “Il Fatto”), che si sta scatenando sull’America Latina il revanscismo imperialista e di classe del brigantaggio planetario statunitense. Con tanto di imprescindibile partecipazione israeliana, denunciata dallo stesso Mel Zelaya, con i suoi onnipresenti specialisti degli squadroni della morte ed esperti vuoi delle destabilizzazioni colorate, vuoi della repressione sociale. Ovvio che la classe politica europea dei sottomessi e venduti volti la faccia dall’altra parte, sostenuta nella complicità dai mezzani dei media. Agghiacciante l’ignavia o lo schifiltoso minimalismo con cui le sinistre e i loro comunicatori accompagnano questo ennesimo tentativo imperialista di annichilire un popolo in/risorto e di riequilibrare, a partire da Tegucigalpa, i rapporti di forza tra elites cannibali e resto del mondo, compromessi dall’insorgenza politica latinoamericana.

Per un evento di portata storica e planetaria, dalle ripercussioni infinite e pianificate, scarse e rituali cronache, commenti che si guardano bene dal vedere l’enorme potenzialità di riscatto rivoluzionario manifestato dalle masse in un incredibile maturazione politica, verificatasi in poche settimane. Ponderate analisi che arrivano a simpatizzare con la truffa del “dialogo” affidata da una Washington in difficoltà al pupazzo Usa del Costarica, Oscar Arias, e finalizzata a ricondurre tutto nell’ambito pseudodemocratico di un dominio coloniale affidato da elezioni sotto tutela al mercenariato locale. Unica eccezione, stavolta da innalzare a pietra di paragone di tutte le sinistre in fuga, le cronache e gli interventi sul dramma honduregno del PdCI. Dove sono i cortei, i presidi, le assemblee, le conferenze, le mobilitazioni di qualsiasi genere, gli appelli accorati e indignati della sgomenta intellettualità sinistra? In quale oscuro cunicolo, scampato alla frana dell’opportunismo e dell’autoconservazione, è rannicchiato un residuo di intelligenza politica e di coerenza ideologica?

Sento da mille pizzi microscopiche e ineffettuali organizzazioni di comunisti critici, uniti, dei lavoratori, piattaformali, in movimento, popolari, costituenti, rifondati, vociferare sul proprio primato nella ricostruzione del “Grande Partito Comunista Italiano”. Corrono, sotto l’infuriare di una tempesta imperialista che non avvertono e che tutto condiziona e tutto determina, appresso agli operai sui tetti o sulle gru, ai precari cacciati nel nulla, agli studenti di un’onda che assomiglia a una risacca, a terremotati per sempre senza più comunità, celebrano vittorie per una fabbrica passata da padrone delle ferriere a padrone delle ferriere. Femministe luxuriazzate celebrano messe cantate alla centralità del discorso di genere e seppelliscono sotto i vapori dei turiboli i milioni di donne abusate, violentate, mercantizzate, escluse, massacrate dai valorosi combattenti contro il velo in Iraq, Palestina, Africa, Asia, Honduras.
Battaglie condivisibili? Certo, perlomeno quelle che si pongono l’obiettivo di un frammento di giustizia sociale. Ma battaglie inesorabilmente sterili quando a guardare il bosco non si vedono che singoli alberi. Quando non si vogliono riconoscere i propri alleati, la trincea, lunga quanto il mondo, nella quale inserire, a fianco dello schiavo bananiero honduregno, l’operaio della gru e la sua rivendicazione di lavoro e dignità. C’è più sinistra nel più pio dei Taliban, nel più rigoroso militante di Hamas, nel pirata o Shahaab somalo, nel più saddamita o islamico dei guerriglieri iracheni, in ogni singolo campesino, studente, o sottoproletario honduregno che da 100 giorni marcia contro fascismo e imperialismo. C’è più sinistra, forse l’unica rimastaci, in chi a Vicenza ancora capisce di Nato e di base di controllo assoluto e di sterminio. Con il golpista Micheletti, detto Gorilletti e Pinochetti dagli scamiciati dei barrios e del campo, è partita l’operazione roll-back Usa nei confronti di un continente che ha proiettato sullo schermo del futuro una nuova società, una nuova umanità, per una nuova via rivoluzionaria E’ la vecchia talpa che ha scavato, si è moltiplicata e sta fuoruscendo al sole in America Latina e di qua e di là nel mondo. Lasciandosi dietro lombrichi senza luce a masticare terreni irranciditi da crittogamici scaduti.

Golpe pinochettista e stadio d’assedio in Honduras, la Colombia dell’indispensabile narcoprofitto trasformata in piattaforma d’assalto a Venezuela e Ecuador, innesco di sedizioni reazionarie etniche in Ecuador e Bolivia, attivazione della IV Flotta Usa nelle acque del continente, tambureggianti invenzioni mediatiche e Cia di un “terrorismo islamico” scaturito nelle regioni delle risorse ambite (Amazzonia, Aquifero Guarany della triplice Frontiera, petrolio venezuelano, gas boliviano). L’uomo del change sta davvero compiendo un cambio. Non quello attribuitogli da corifei e gonzi. Si riparte da Pinochet e dall’Operazione Condor. Punto di partenza, oggi, Tegucigalpa. Punto d’arrivo? Credo che lo stabiliranno le masse latinoamericane e le altre che, non importa dove, si alzano in piedi e bruciano le maledette bandiere. Loro sanno che stanno in trincea con noi. Ma noi? L’alternativa è tra un mondo dove mille torri gemelle vengono scagliate sulle parti spendibili dell’ umanità e il bunker sotto la cancelleria di Berlino. E Norimberga. Norimberga non gestita dai vittoriosi tra i criminali. Norimberga degli esclusi, dei popoli.

Fulvio Grimaldi
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.com
Link: http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2009/10/da-tehran-tegucigalpa-ce-rivoluzione-e.html
2.10.2009


Citazione
Condividi: