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Hugo Gomorrez


Tao
 Tao
Illustrious Member
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E ritorniamo su Saviano, e sulla sua disinvolta iscrizione del Venezuela all’asse del male delle dittature. A Saviano il berlusconismo non piace, e pare che veda in esso il rischio per l’Italia di una degenerazione in senso castrista o chavista. Cioè, nella sua personale classifica dell’abiezione politica al secondo posto c’è Berlusconi e al primo Castro e Chavez. Ma li vede tutti come le stazioni di posta di un’unica Via Crucis verso la fine della democrazia.

Per quanto io sia un critico dell’impero USA, non ho la visione semplicistica e strumentale della democrazia e dei diritti umani di molti che orbitano in questo stesso campo. Il regime di Ahmadinejad mi fa ribrezzo. Ho criticato le trasparenti motivazioni politiche alla base del conferimento del Nobel per la Pace a Liu Xiaobo, ma non ho nascosto la testa sotto la sabbia sul problema di un uomo che sta scontando undici anni di carcere per aver diffuso un appello a favore della democrazia in Cina. La strumentalità e l’ipocrisia delle accuse a Cuba stimolano sempre in me una reazione a favore dell’isola e del suo governo, ma ho sufficiente integrità intellettuale per vedere le serie incongruenze tra un processo di emancipazione latinoamericana che si va compiendo in senso rigorosamente pluralistico e democratico e il permanere di un sistema a partito unico a Cuba. Come si fa a esaltare l’enfasi posta sul processo democratico dai vari movimenti popolari sudamericani che a vario titolo vengono etichettati come “Socialismo del secolo XXI” e far finta di non vedere che niente di ciò è arrivato a Cuba? Su quest’argomento ho le mie opinioni, ma per esprimerle compiutamente dovrei fare uno di quei lunghi interventi che, per ormai lunga esperienza di blogger, so che nessuno legge. Almeno quando portano la mia firma. Dunque per ora mi limito a questo breve accenno.

Ma i problemi — dal mio punto di vista — ci sono anche con il Venezuela di Hugo Chavez. Poco più di un anno fa ho smesso di guardare il canale internet di Venezolana de Television, la rete di stato della repubblica bolivariana del Venezuela. A far traboccare il vaso fu una puntata di Dossier — un programma di approfondimento sulla politica internazionale — condotto da un bravissimo giornalista di origine uruguayana, Walter Martinez. L’occasione furono i disordini nelle principali città iraniane a seguito delle accuse di brogli seguite alle elezioni presidenziali. L’appiattimento di Martinez sulle posizioni governative dell’Iran e i suoi toni ingiuriosi e calunniosi verso i manifestanti erano imbarazzanti per un giornalista del suo calibro. Se il programma fosse stato scritto dall’ufficio stampa di Ahmadinejad e Martinez avesse fatto solo l’altoparlante il suo ruolo sarebbe stato meno umiliante. Capii in quell’occasione che l’Iran è per il Venezuela quello che la Colombia è per gli Stati Uniti. Non importa quanto siano gravi le violazioni dei diritti umani: se c’è un governo amico possono farlo, e noi siamo dalla loro parte anche quando una spinta democratizzatrice proveniente dal basso mette in difficoltà il regime. Pur essendo pienamente consapevole del realismo politico a cui la diplomazia costringe gli stati quando si tratta di importanti partner strategici o commerciali, ebbi in quell’occasione la rivelazione che il “socialismo bolivariano” non aveva elaborato in materia alcun atteggiamento problematico: i diritti umani e la democrazia sono munizioni nella lotta della propaganda, da rivendicare solo quando fa comodo. Proprio come insegnano gli USA.

Ho detto però che questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. In verità era da molto tempo che ne avevo le tasche piene di Venezolana de Television. Ad aprirmi gli occhi fu una trasmissione che in principio mi divertiva moltissimo, “Los papeles de Mandinga”, condotta da un giornalista dallo stile vetriolico di nome Alberto Nolia. Per avere un’idea immaginate un Santoro dieci volte più perfido, e una conduzione del programma fatta col metodo dei pettegolezzi di Dagospia. Tutto contro i leader dell’opposizione al governo Chavez. Dato che io sapevo quello che valevano questi leader pensavo anche, con divertimento, che stavano avendo solo quello che si meritavano. Ma piano piano cominciò a rendermi perplesso la circostanza che su Venezuelana de Television c’era un Santoro caraibico (dunque anche assai più folkloristico del Santoro italiano), ma non c’era alcun Bruno Vespa. La tv di stato ospitava solo programmi filogovernativi, e filogovernativi fino alla sfrontatezza. Poi un giorno smisi del tutto di vedere “Los papeles di Mandenga”: non trovavo più niente di divertente in un conduttore della tv pubblica che pronunciava con espressione di disgusto la parola “pederasta” riferendosi a un leader dell’opposizione. In effetti ero nauseato.

Tutto questo per dire che non idealizzo affatto il chavismo. Eppure le mie idee sul Venezuela non sono mai diventate come quelle dell’eroe di carta Roberto Saviano. O dello “specialista” di America Latina di Repubblica, Omero Ciai. O di un giornalista verso cui pur nutro una grande stima come Gian Antonio Stella, del Corriere della Sera. Nonostante tutto, benché io veda fin troppo lucidamente i limiti di quell’esperienza, sono sempre dalla parte del Venezuela di Hugo Chavez, e per ragioni che inchiodano Saviano alla sua doppiezza.

Perché lo stile di compassato liberalismo anglosassone che piacerebbe a Saviano, a Ciai e a Stella (e magari anche a me), in Venezuela non c’è ora e non c’è mai stato in passato. Ma ecco che per le “penne” italiane un paese tradizionalmente ignorato diventa improvvisamente fonte di allarme internazionale, al punto da legittimare l’uso dell’epiteto di “dittatore” per il suo presidente democraticamente eletto. E perché questo? Perché proprio ora e non vent’anni fa? Beh, è molto semplice: perché ora, con il mezzosangue Chavez, la fetta più grossa della rendita petrolifera va alla povera gente, e non, come in passato, a quella ristretta oligarchia bianca che in questa “dittatura” controlla ancora l’80% dei mezzi di comunicazione. Un’oligarchia — vedi un po’ — organicamente alleata a interessi statunitensi ed europei.

Potremmo poi citare i dati della crescita impetuosa dell’economia negli anni di Chavez, del fatto che è il paese latinoamericano con più bassa disuguaglianza nella distribuzione di ricchezza. Citerei soprattutto il fatto che il meccanismo di voto elettronico adottato in Venezuela è il più efficiente e il più trasparente del mondo, e che in ogni consultazione elettorale arriva nel paese una legione di osservatori internazionali che certificano sempre l’assoluta correttezza delle operazioni di voto. Ricorderei che in questo paese in cui, in era pre-Chavez, andava a votare sì e no il 25% degli aventi diritto, oggi si arriva a livelli del 65%.

Ma per chi sprecare il fiato? Per Saviano?

Gianluca Bifolchi
Fonte: http://subecumene.wordpress.com
Link: http://subecumene.wordpress.com/2010/10/22/hugo-gomorrez/
22.10.2010


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