I tedeschi, l’accog...
 
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I tedeschi, l’accoglienza e quell’eterno senso di colpa


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Roma, 7 set – La scusa utilizzata per convincere gli italiani a scomparire dalla storia non ha mai retto più di tanto. Siccome siamo stati un popolo di emigranti, ci dicono, ora dobbiamo diventare terra di immigrazione. Per smontare questa balla, tuttavia, ci vuole poco, a cominciare dal fatto che i paesi di emigrazione hanno caratteristiche geografiche, demografiche e sociali strutturalmente diverse da quelli costruiti sull’immigrazione. Del resto gli italiani che oggi fanno i conti con gli immigrati non sono gli eredi di quelli che cento anni fa presero la via del mare diretti verso Ellis Island, ma semmai lo sono di quelli che rimasero in patria, quindi la logica del debito morale da saldare non funziona neanche un po’. In Germania, invece, vanno sul sicuro, puntando sull‘eterno senso di colpa dei tedeschi per “gli orrori del nazismo”. Si tratta di una vera miniera d’oro inesauribile, per le oligarchie, che sanno di poter chiedere a questo popolo qualsiasi cosa, tanto ci sarà sempre una consistente quota di tedeschi pronta a tutto pur di “espiare” l’eterna colpa. È così che quello che è semplicemente un brutale pompaggio di nuova forza lavoro può propagandisticamente diventare un piccolo (e ovviamente mai sufficiente) risarcimento per i fatti di allora. Ciò che è successo alla Germania al termine della Seconda guerra mondiale, in effetti, non ha eguali nella storia, forse con la parziale eccezione del Giappone post-Hiroshima: la colpevolizzazione non di un regime, ma di un intero popolo, la messa sotto accusa di una cultura, persino di una razza, con logica uguale e contraria a quella che aveva portato sugli scudi l’ariano creatore di civiltà. La colpa del tedesco, in ultima istanza, è stata quella di essere se stesso. Da qui una lenta e mai conclusa opera di rieducazione (ricordiamo come alle Olimpiadi di Monaco fu fatto esplicito divieto agli atleti tedeschi di avere atteggiamenti marziali durante le premiazioni). Senza entrare nel merito delle tragedie avvenute nel secondo conflitto mondiale, va da sé come questo trabocchetto retorico sia zeppo di meccanismi mentali tipici del razzismo al contrario: come altro definire una colpa che si trasmette dai padri ai figli e poi ai nipoti? Non è esattamente questa la logica del razzismo, il fatto che la responsabilità individuale debba farsi da parte e lasciare il posto alla responsabilità collettiva o addirittura alla responsabilità di razza? Un razzismo tanto più odioso, in quanto si ammanta di argomentazioni morali. Chiamiamolo il razzismo dei buoni, quello che non conoscerà mai alcuna legge Mancino.

Adriano Scianca
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