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"IL" nemico


GioCo
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Il Satan è il Nemico. Eppure non sappiamo chi è... Ne facciamo rappresentazioni inconiche e allegoriche anche affascinanti ma non sappiamo chi è e nemmeno perché dovrebbe quella specifica icona rappresentarlo e apparirci affascinante.

Il fascino o la fascinazione è certamente parte dell'enigma ma non la soluzione. Nemmeno l'arte, la creatività o la fantasia ci consentono di avere risposte chiare ed esaurienti in proposito. Ci rimane tra le dita solo tanta confusione da nascondere, di cui portare vergogna. Infinita vergogna e senso di colpa.

Senza contare della "natura del Male" che ci porta verso altre derive. Satan è solo un @GioCo di parole, un modo diverso tra gli infiniti di indicare la stessa cosa, lo stesso ente: il nemico.

Ma cos'è questo nemico, chi è e come opera? Dove si trova e come lo si riconosce? Di fatto appare tutto e niente e questo ci fa impazzire. Nasce l'urgenza di comprendere e nel comprendere pare inevitabile abbandonarsi al Male per approcciarlo. Pare inevitabile attraversarne gli oscuri luoghi ove dimora e farne carne, per averne una rappresentazione.

Eppure rimane sfuggente, effimero e paradossalmente più lo facciamo potente e "in carne" caricandolo di evidenze, più ne esaltiamo gli aspetti crudi e puri che deve per forza possedere, più diventa inafferabile e alieno, in una parola: irriconoscibile. Altro da sé. Allora diventa "bizzarro" e inizia a rappresentare tutto e il suo contrario. Ciò che è di fatto nemico comincia a diventare desiderabile. Si confonde con l'Amore e iniziamo ad Amarlo.

Per ciò più lo osserviamo e studiamo questo Male, questo nemico, più lo Amiamo. Senza scampo!

Come sempre non so cos'è vero, non cerco ne spaccio alcuna verità. Mi limito a lasciare commenti di natura coerente che hanno l'intento di provocare il lettore, farlo riflettere su aspetti verso cui non prestiamo di solito attenzione. Nulla di difficile o di mediamente incomprensibile, solo che mettendo insieme cause con effetti partendo da certi principi poco ragionati, si finisce sempre per arrivare rapidamente verso l'inaccettabile, ciò che abbiamo escluso a priori per "i motivi". Allora il problema, la questione dirimente, non sta fuori nell'osservato e osservabile, ma dentro di noi e nella misura di ciò che possiamo o non possiamo accettare. Una misura che però è pregna di un altra azione inscindibile che è qualitativa e risponde al modo in cui si agisce. Una misura di natura emotiva e per tanto personalissima.

Eppure, certi canoni, certi aspetti di ciò che affrontiamo, devono essere riconosciuti e riconoscibili e nulla è più importante del nemico. Di ciò che ci assilla, ci minaccia, ci costringe alla resa dei conti. I nostri personalissimi conti di un Mondo che condividiamo con altri. I nostri debiti e crediti che ovviamente e senza appello sono quelli emotivi. Già solo l'Inferno di Dante che lo dice, abitato com'è da gente che è preda d'Amore... Sbagliato. Ma sbagliato in che senso? Dante non ce lo dice. Ci lascia con l'enigma tra le dita come se la risposta fosse ovvia. Putroppo è la domanda che mette in luce come di ovvio qui non ci sia proprio nulla. Semplice, tutto è banale e semplice, ma non ovvio. Ovvio è ciò su cui la nostra attenzione ricade facile e qui, nell'imperio del nemico, la nostra attenzione fa di tutto per stare altrove e pare proprio che la volontà con tutte le nostre energie e in specie l'intenzione, sia concentrata perché vada altrove, ovunque fuorché dove sarebbe ovvio l'ovvio. Come se ci fosse una seconda volontà che ci abita, precipua e dirimente ma che non controlliamo e che però si palesa come "IL" nemico. Essa ci vuole bene ma rimane "IL" nemico.

Da impazzire! E infatti sono molte le forme di squilibrio che si osservano in tempi come i nostri, dove il nemico c'è e prende tutte le forme, tutti i luoghi e tutti i tempi finendo per diventare pervasivo, onnipresente e "pare" pure onnipotente. Beh, solo una cosa dovrebbe avere quelle caratteristiche e quindi... @GioCo forza...

No! Ciò che è onnipotente, onnipresente e onniscente per noi, non è detto lo sia per chiunque. Per ciò il genere di lotta che conduco me lo impedisce e il mio demone mi costringe in questo senso. Lo chiedo di nuovo: cos'è questo nemico? Tutta la vita l'ho inseguito e tutta la vita mi ha fatto ciondolare la carotina davanti al naso mentre frustava le mie terga come non ci fosse un domani. Ero il suo Mulo, la sua Vacca, il suo trastullo. Finché... Timidamente... Ha brillato una semplice caratteristica: l'esagerazione.

Che introduce il problema della parsimonia, della moderazione, della saggezza. La parsimonia è generalmente la misura di una quantità di agito esterno, la moderazione di una quantità di agito interno e la saggezza aggiunge la qualità di questo agito. Ma c'è di più, tanto di più e il mio demone mi costringe a condividerlo. Non sono certo che vada bene, ma nell'incertezza gli do credito, mi fido, per il banale motivo che fin'ora non mi ha mai deluso, mi ha sempre deluso il contrario. Questo non mi rende però suo fedele credente, non mi induce ad abbassare la guardia, a smettere di diffidare. Basterebbe una delusione, anche piccola piccola a rimettere in discussione tutto e in specie la sua presenza. Ma per ora non pare niente di meno che perfetto e quindi lo ascolto. Osservo che il solo motivo della sua presenza è proprio la testa di ca%%o dura che oppongo, come trovasse piacevolmente "pane per i suoi denti". Ciò non di meno sono spesso rassegnato a scoprire come e quando perderò la partita, non se vincerò la stessa pur giocando esclusivamente per vincere, senza perdere colpi. Come una macchina progettata per quello scopo.

Perché? Perché questa constato essere l'esperienza, il @GioCo del destino nonché la più straordinaria e meravogliosa avventura che ci è dato di sperimentare: la Vita.

Non scopro nulla di nuovo, ne sono perfettamente consapevole. Riscopro quello che prima di me infinilioni di altri hanno già scoperto più e più volte, ma ogni volta il qualia di tale scoperta rimane personalissimo, proprio del tempo e dello "scopritore" che ne accetta le conseguenze, quindi ciò che viene svelato non è mai identico a se stesso. Solo "quasi" identico. C'è l'impercettibile "aggiunta" che per le nostre condizioni miserabili non possiamo apprezzare. Pazienza, ci possiamo accontentare di aver recuperato una conoscienza atavica e propria della nostra specie, nostra per diritto... O no?  😊

Dicevamo quindi la parsimonia che è il contraltare dell'eccesso, la moderazione che è il contraltare della brama e della saggezza che è il contraltare della follia, dell'agire sconsideratamente e senza metodo che non abbia per fine la distruzione e per mezzo la forza.

Ecco spuntare il metodo, il modo in cui operiamo. Ci deve per ciò essere metodo in ciò che facciamo, un "pensiero pensato" e il metodo deve sempre essere guidato da un principio e il principio deve portare alla misura che è sempre un equilibrio tra noi stessi, ciò che ci governa dentro e l'esterno, ciò che governa oltre, che va oltre la nostra miserabile persona. Il modo ci dice cos'è giusto e cos'è sbagliato, purtroppo non c'è un modo solo di intendere le cose, ce ne è almeno uno per ognuno di noi.

Qui parte l'altro embolo. Nel senso che ciò che ci pare di capire, almeno intuitivamente, qui lo perdiamo e con esso perdiamo la misura, ad esempio ci arrabbiamo con il Mondo o con gli altri per ciò che fanno o per ciò che sostengono, per le idee che hanno fatto proprie. Iniziamo a vedere il Male nel nostro prossimo e a credere (volenti o nolenti) che abiti l'Uomo e che sia quello il problema: essere umani. Se fossimo bestie invece... Invece saremmo evidenti bestie malvage perché pure le bestie possono essere malvage e spesso ben più degli umani, perché aggiungono incoscienza e ignoranza all'incoscienza e all'ignoranza. Punto. Non se ne esce, apparentemente!

Perdiamo in specie per ciò solo la capacità di reagire e di riflettere su ciò che ci accade e che stiamo facendo. Ci arrendiamo al Male, sbrocchiamo e siccome non riusciamo a vincerlo, diventiamo noi quel Male, lo assumiamo come il modo per reagire migliore, diventa "la nostra intuizione geniale". Il principio dell'Anello di Sauron: è talmente potente e indistruttibile che il solo modo di vincerlo è usarlo per il Bene. Ma esso è votato al Male e se lo si usa finisce per corromperci e farci fare il Male anche se promette tutto e il contrario di tutto in modo Affascinante. Ma noi siamo più forti e non cederemo al fascino... Quindi il problema è solo la forza di volontà o di Spirito e se ci lasciamo possedere è perché è giusto così, siamo deboli e dobbiamo farci da parte per lasciare che altri ci provino (tipo spada nella roccia) finché non verrà colui che dominerà quel Male e lo userà per il Bene. Il Salvatore.

Ma è così? Questa è la FIABA cattolica e più in generale cristianodonte che aggiunge che il salvatore poi è uno solo e se non credi in lui sei fottuto... Non è la mia e non è nemmeno quella che stiamo per discutere. Quindi vedete voi se preferite continuare o meno. Comunque non sono qui per convicere, non desidero proprio convincere nessuno: non faccio il prete per mestiere, tutt'altro! Non sto cercando proseliti ma persone coscienti che siano capaci di prendere tutto ciò che offro con spirito critico e che abbiano il coraggio di usarlo come strumento per "testarne" tutta la potenziale incoerenza. In altre parole è solo un esercizio di stile che chiedo, per chi ha voglia e tempo, chiaramente.

La mia è una posizione di equidistanza dalla fede e dal meccanicismo. Non sono per ciò Ateo ne Credente eppure a un tempo sono entrambe le cose. Non posso che ritrovarmi in quella posizione seguendo i dettami della coerenza. Per ciò devo essere cosciente di ogni ente a cui presto fede e devo essere consapevole che da quello discende il tipo di meccanica che mi domina e significa il Mondo per me, il tipo di ordine matematico e di logica che da quei principi procede: la risposta non può che essere nell'osservazione e l'attenzione per il dettaglio farà la differenza. Come la condivisione, dato che l'umiltà di sapermi poca cosa accompagna questo lavoro su me stesso e per moderarne i termini. Non per disconoscere il processo.

Bene, perdonate il pippotto ma lo ritengo essenziale. Dicevamo del nemico. Esso ha tante interessantissime caratteristiche e quella più importante è forse più assurda è che NON è il nostro nemico. Lui ci Ama ed è così, lo possiamo constatare, non ci abbandona anche se non vogliamo averlo tra le palle. Ama ma ci spinge verso la distruzione, la nostra e quella altrui perché è la sua natura, non può farne a meno.

Quindi il Male è il nemico di se stesso e BASTA. A questo punto noi allora contro chi stiamo combattendo? Nessuno, tutti, qualsiasi cosa. Forse più che altro contro la nostra confusione come il cane che si morde la coda.

Ma peggio che peggio, se non siamo il Male, l'imperituro nemico che abbiamo fatto nostro finalmente e dopo tanto combattere "inutile" e per riconoscergli la superiorità assoluta, Dio, chi ca%%o siamo? Se non siamo Dio, chi siamo? Sorge il timore di non essere niente!

Allora? Siamo una sua proiezione? L'idea malata di un dormiente cosmico? Alle speculazioni che servono a metterci la pezza, di nuovo, pare non ci sia freno e di nuovo manca con ciò moderazione. Si sbiella e si sballa e di nuovo torniamo alla questione di Sauron e del fascino del suo potere su di noi e sugli altri. Di nuovo in prigione e avevamo appena realizzato un barlume di speranza di potercela fare a superare questo stato di cose ed è sempre così! Ogni speranza pare debba per forza costruire solo frustrazione e impotenza che ad ogni tentativo di fuga ci rigetta nelle Forche Caudine della disperazione inferica e ivi possiamo fare una sola cosa: cercare di dimenticare e se non riusciamo, strapparci gli occhi per non vedere e non soffrire: l'indifferenza. Un Bene difeso a oltranza che ci salva e a un tempo condanna alla sofferenza eterna.

Già perché ce lo dice Dante, quel "malefico" poeta che tanto ci ha donato e tanto poco di ciò che ci ha donato rimane comprensibile ai più per come è codificato in via criptica. Tuttavia sappiamo bene come il modo migliore per nascondere qualcosa di prezioso e tenerlo bene in vista sotto il naso di chiunque. Per esempio esplicitandolo: non è forse il centro della Potenza inferica, quella che dovrebbe svelarci come e perché Satana riesce a fare tutto e il suo contrario, a svelare l'impotenza di tale opera? Non è forse il centro del trionfo a dirci in modo solare come sia solo un luogo caduco, anzi il centro stesso della caducità? Non è forse infine proprio Dante a dirci come a prevalere non sia lo schifo o l'orrore, in quanto ogni esperienza sia pure quella inferica può divenire abitudine, ma la compassione a cui non ci si abitua e proprio quella è la debolezza prevalente con cui più dovremo combattere?

Perché la tentazione a questo punto diventa chiara: la tentazione di cedere alla proposta più affascinante di sempre e cioé che il Male sia conquistabile per effetto della nostra compassione e che sia proprio il Male stesso a chiedercelo per la sua Salvezza in quanto vittima impotente di se stesso: chiede il nostro intervento e noi ci facciamo per lui deboli, cedendo. Ci identifichiamo e con... Il nostro Male, non quello di un altro e per noi alieno verso cui non nutriremo alcuna "compassione". Giusto? Allora se il nostro sarà il girone degli invidiosi potremmo avere avversione per la rabbia animale e per chi ne è posseduto in quando rischia di distruggere quello che desideriamo e che l'altro possiede, mentre se stiamo in quello dei lussuriosi può essere l'odio che ci impedisce di godere del prossimo. Ovvio.

Per ciò la guerra che ci vuole nel campo dei nemici a combattere e quindi per estensione il confronto dove una parte vede nemica l'altra, sussiste solo e unicamente negli inferi, ci trascina lì e ivi trova alimento per rinnovarsi in eterno. Non importa come, ciò che importa è il potere, la forza che prevaricherà e con essa la soluzione al conflitto. Quindi sempre, sempre, sempre, l'esagerazione, richiesta, pretesa, voluta con accanimento e brama, in quando sfogare la potenza fino alla cancellazione di tutto è propria dell'impotente. Chi gode di un effettivo potere, non desidera, non brama, non opprime. Agisce consapevolmente e in forza della forza di cui è consapevole, cioè limitatamente a ciò che domina per effetto dell'unica consapevolezza sensata: la consapevolezza del limite. Conosci te stesso dicevano gli antichi, ben sapendo che superare quei limiti oltre misura o ridurli troppo è la via facile. La via difficile è tenerli bilanciati ed è difficile perché ci richiede un impegno continuo e assiduo, ci richede tempo e ragionamento oltre che la forza di riconoscere dove abbiamo sbagliato, non per condannarci ma per superare, andare oltre quell'errore avendolo riconosciuto e quindi in forza del fatto che sappiamo dove porta. Quali sono le conseguenze di quello specifico "modo d'essere".

Che è sempre, sempre, sempre riconducibile a uno stato emotivo proprio di un vissuto, di un istante che ha dettato l'accadere e il comportamento in certe occasioni.

Allora non siamo mai contro nessuno? Si, esatto. Non ci sono nemici, non ne abbiamo e mai ne avremo, ma questo non significa che non sia necessario combattere sempre, ovunque e comunque. Solo che non combattiamo MAI "contro" qualcosa o qualcuno, contro un idea ad esempio o contro il Male che commette il nostro prossimo, combattiamo sempre e solo esclusivamente per conquistare faticosamente equilibrio emotivo, per essere spinti sempre un pochino oltre, poco e sempre consapevoli che anche quel poco potrebbe per noi essere troppo e magari è troppo a un certo istante ma non il successivo o il precedente. Perciò si combatte, ma non contro un Male, si combatte senza nemici.

Si combatte una battaglia individuale, propria di chi vuole capire chi è e cos'è, dove diamine si trova e dove a quel punto, quando ritiene di avere sufficiente sincerità verso se stesso da reggere ciò che osserva, iniziare a studiare non una via d'uscita, ma un altro luogo da raggiungere, possibilmente migliore. Assurgere al meglio partendo dalla miseria in cui versiamo non è difficile, tanto c'è così tanto da fare che non è difficile.

Giusto? Bene, allora non ci resta che dire dell'ultima e non meno importante caratteristica del nemico e che è tale inscindibilmente e per effetto di tali cause. Quello di rimanere celato, nascosto. Tanto che possiamo affermare che tutto ciò che è svelato diventa per contrasto "amico". La parte brutta è che però non è verificabile il contrario: ciò che è nascosto non è per forza nostro nemico! Infatti è la necessità di nascondere ad esserlo e ci sono infinilioni di motivi per cui può essere necessario nascondere, uno migliore dell'altro ma tutti, tutti, tutti sono riconducibili all'incapacità di accettare e accettarsi. Sempre!

Per esempio e per concludere: non sono contro i movimenti pro-gender come non sono contro l'ideologia nazifascista. Non condivido, ho le mie idee distanti, ma non sono contro. Nell'istante però in cui soggetti QUALSIASI affermano che "se non sei con me sei contro di me" (a prescindere da TUTTO) mi costringono a difendermi e a difendere le mie idee non perché ora sono "contro" di loro e ciò che rappresentano, non perché d'improvviso la loro ideologia, la loro mentalità o tutto il resto diventa satanica e deve essere con ciò combattuta. Non perché siano eletti a nemici, ma perché in quell'istante diventano nemici di se stessi, sposano il Satan nostro e loro, rinunciano alla moderazione e si fanno possedere dal Male, rinunciano al dialogo e a osservare le loro idee per metterle in @GioCo e con ciò a superare l'errore potenziale. Per ciò salvo me stesso e loro a un tempo considerandoli per ciò che osservo: corrotti. Non salvo me stesso o loro, salvo me stesso e loro a un tempo, mi faccio carico della responsabilità totale dei miei gesti e perché constato che questa responsabilità non c'è... Non sono e non sarò mai "contro" se non l'esagerazione ed è evidente, solare che se mi consideri con ciò un tuo nemico da combattere ad ogni costo e da eliminare fisicamente in quanto pericoloso estremista della autodifesa, solo perché non la penso come te pur rimanendo nel rispetto delle reciproche differenze di opinione, la misura a prescindere è passata e deve essere rimessa in ordine.

Forse hai ragione, forse le tue idee sono migliori, ma il punto a quel punto non è più stabilire cos'è meglio, quali idee sono migliori, ma cos'è più responsabile, se mantenere il dialogo o meno, se mantenere le differenze d'opinione o uniformarle tutte e per sigillarle così sine die.

Non ci sono se e non ci sono ma. Si combatte per l'equilibrio e l'azione saggia e si combatte dentro tanto quanto fuori. Si combatte sapendo che non è il prevalere di questo o di quello, fosse pure un idea stupenda o per contro una schifezza, che fa la differenza. Ciò che fa la differenza siamo noi, singolarmente e nella misura in cui in noi prevale saggezza ovunque e sempre perché dove questa prevale, non prevale il fascino del Male, non prevale la forza come metro per imporre e imporsi e per ciò il Male recede "globalmente".

In buona approssimazione per ciò il nemico, questo nemico, non si sconfigge distruggendo chicchessia o noi stessi, si sconfigge esorcizzando la paura e con ciò mantenendo noi stessi alla luce di una sana emotività moderata. Qualsiasi altro risultato è la sconfitta e la disperazione.

Tutto qui.


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R66
 R66
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Ho sempre affrontato l'argomento sezionandolo e quindi a step.
Prima di individuare il "nemico", ritengo sia il caso di trattarne le sottosezioni, ossia le emozioni, il sentire o qualunque altro termine si voglia usare, che si considerano derivanti da esso.
Uso appositamente il verbo considerare per via della soggettività che il riconoscimento richiede, per me lo è e magari per te no, il che presuppone che il punto di osservazione sia interiore e non esteriore.
Potrebbe non esserci mai un accordo tra noi sul riconoscimento, ma il tuo percorso è il tuo, il mio è il mio.
Ora ne prendo una a caso per esempio, volendo possiamo cambiare tranquillamente con qualsiasi altro argomento: la rabbia.
Alcuni la vedono come un elemento deleterio e quindi tentano di porvi un argine.
Altri non la considerano tale, sia perché non vi ragionano avendo altro da fare, sia perché l'accettano come parte integrante della vita e, volendo utilizzare per forza il termine "nemico", si può dire che gli uni lo combattono, gli altri l'assecondano.
Trattando soltanto quelli che lo combattono, a volte riesce anche di vincere, purtroppo però vincendo una battaglia non si vince la guerra e così ecco che arriva un secondo elemento, un terzo e un quarto e così via.
Ad un certo punto, chiunque fosse interessato all'approccio, si rende per forza conto che non è in grado di vincerla questa guerra.
Da qui gli atteggiamenti sono molteplici.
Ci si abbandona ad esso, si combatte random, si fa finta di niente oppure si "sceglie" un filone di quelli conosciuti.
Non volendo trattare nessun filone in specifico (ma se ti aggrada possiamo anche farlo), nella maggior parte alla base c'è proprio la realizzazione dell'incapacità di completare il compito in autonomia, un processo di percezione di inadeguatezza e una sorta di auto demolizione.
A seguire il combattere diventa una costante e non un qualcosa da portare a termine come fosse un obiettivo di lavoro, il "nemico" in senso stretto, alla indiani e cowboy per intenderci, perde di significato, è l'esistenza stessa ad esserne pregna.
Seppur da angolazioni un po' diverse, anche io penso che il punto focale non riguarda la vittoria o la sconfitta, ma il volere andare a braccetto con "esso" o meno.


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GioCo
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Pubblicato da: @r66

Ho sempre affrontato l'argomento sezionandolo e quindi a step.
Prima di individuare il "nemico", ritengo sia il caso di trattarne le sottosezioni, ossia le emozioni, il sentire o qualunque altro termine si voglia usare, che si considerano derivanti da esso.
Uso appositamente il verbo considerare per via della soggettività che il riconoscimento richiede, per me lo è e magari per te no, il che presuppone che il punto di osservazione sia interiore e non esteriore.
Potrebbe non esserci mai un accordo tra noi sul riconoscimento, ma il tuo percorso è il tuo, il mio è il mio.
Ora ne prendo una a caso per esempio, volendo possiamo cambiare tranquillamente con qualsiasi altro argomento: la rabbia.
Alcuni la vedono come un elemento deleterio e quindi tentano di porvi un argine.
Altri non la considerano tale, sia perché non vi ragionano avendo altro da fare, sia perché l'accettano come parte integrante della vita e, volendo utilizzare per forza il termine "nemico", si può dire che gli uni lo combattono, gli altri l'assecondano.
Trattando soltanto quelli che lo combattono, a volte riesce anche di vincere, purtroppo però vincendo una battaglia non si vince la guerra e così ecco che arriva un secondo elemento, un terzo e un quarto e così via.
Ad un certo punto, chiunque fosse interessato all'approccio, si rende per forza conto che non è in grado di vincerla questa guerra.
Da qui gli atteggiamenti sono molteplici.
Ci si abbandona ad esso, si combatte random, si fa finta di niente oppure si "sceglie" un filone di quelli conosciuti.
Non volendo trattare nessun filone in specifico (ma se ti aggrada possiamo anche farlo), nella maggior parte alla base c'è proprio la realizzazione dell'incapacità di completare il compito in autonomia, un processo di percezione di inadeguatezza e una sorta di auto demolizione.
A seguire il combattere diventa una costante e non un qualcosa da portare a termine come fosse un obiettivo di lavoro, il "nemico" in senso stretto, alla indiani e cowboy per intenderci, perde di significato, è l'esistenza stessa ad esserne pregna.
Seppur da angolazioni un po' diverse, anche io penso che il punto focale non riguarda la vittoria o la sconfitta, ma il volere andare a braccetto con "esso" o meno.

Non sono sicuro di avere capito. In genere per me vale un approccio integrale, considerarlo un po' alla volta mi sembra obbligatorio ma per le semplici proporzioni dell'argomento. Una cattedrale non riesco a guardarla tutta subito e in blocco, dovrò avere una visione di insieme di partenza, tipo mappa, poi procedo a esaminare ogni aspetto particolare ma credo sia semplicemente un modo di procedere dettato dal buon senso.

Cioé da quel minimo di saggezza "del fare" che oggi abbiamo quasi del tutto dimenticato. Complice forse una vita che poggia la sua massima aspirazione nel lavoro astratto. Come quel filosofo che fu preso in giro dalla servetta perché guardando le stelle finisce per cascare in un buco del terreno, secondo (se non ricordo male) un racconto di Platone.

Ma forse il problema è acquisire chiarezza nel pensiero, uno sforzo nello sforzo. Per me esporre i miei pensieri in modo che rimangano limpidi, chiari e comprensibili ai più, corrisponde alla necessità di farli chiari per me stesso, ma è una sfida continua e non sempre riesce. Quante volte mi pare aver raggiunto pensieri trasparenti e invece poi mi accorgo che non lo sono affatto: l'opacità è propria degli specchi e gli specchi sono infidi. Svelano e nascondono a un tempo. Le nuove tute per l'invisibilità ad esempio, sono composte da microfibre che semplicemente prendono la luce da dietro e la riproiettano avanti e così tu vedi lo sfondo riflesso come in uno specchio, ma non chi c'è dietro. Quindi riflettere svela e cancella a un tempo.

L'emozione funziona in modo un po' differente. Intanto non riflette, ma attraversa. Poi non è mai uguale a se stessa, muta continuamente. Prendi la rabbia del tuo esempio. Non è mai la stessa nel lasso di tempo in cui la sperimenti, ne rispetto a un altra. L'assurdo è che nonostante non sia mai la stessa emozione e nemmeno porti una sua "identità" propria perché muta istante per istante, la riconosciamo subito al volo. In noi come negli altri. La possiamo riconoscere a prescindere da tutto, persino in una stanza vuota "come presenza a se stante". Come ci fosse un vivente di nome "rabbia" intangibile, informe e incolore a noi permeabile che fa i cavolacci suoi. Eppure tutto ciò che possiamo dire di questa "rabbia" è quello che ci costringe a fare.

Da diventarci matti.

Però, però. Il problema non è "vincere" una roba del genere. Sarebbe come vincere la corrente elettrica, un non senso. La si può sfruttare non "vincere". Come una fonte di energia. Ma qui il problema è il meccanismo più generale in cui è inscritta: la mappa. Senza quella non vai da nessuna parte. Per l'elettricità è la proprietà conduttiva dei materiali che va studiata per poi farne schemi elettrici. Per l'emozione non è molto diverso (secondo me). Un principio generale delle emozioni è la carica. Simile a quella di un condensatore. Noi le emozioni le "carichiamo", come dei colpi di pistola. Ma non ce ne accorgiamo e quando poi il colpo parte devi essere Neo di Matrix, cioè un fenomeno da baraccone, per evitare le conseguenze logiche e a volte non basta neppure quello. Quindi il buon senso ci dice che bisogna agire prima di quando proverai l'emozione. Se no poi la subisci e bon, tanto vale fare pasticci. Certo, magari dopo dopo dopo, quando da buoni circensi abbiamo imparato a fare il triplo salto carpiato con superca%%ola magari possiamo anche provare a farlo senza rete di sicurezza, ma per iniziare forse è meglio dalle cose più semplici. Che sono più semplici ma non per questo banali.

Come funziona? Semplice: ripeti. Ad esempio ti piace una certa cosa o persona, ripeti ripeti ripeti e carichi "gioia" (tipo: mi piace, mi piace, mi... etc etc) . Poi vedi l'oggetto o la persona e ti esalti meccanicamente. Per la rabbia è uguale: ripeti quanto questo o quello non ti piace, non ti va, non lo accetti (in generale lo rifiuti) e quindi è tuo dovere reagire e combatterlo (tipo l'ingiustizia?) poi succede che sei "costretto a subire" il precaricato e scatti. Ok, sembra una ca%%ata, ma funziona e in millanta mila modi, tanti che la creatività non basta a conteplarli tutti. Se sperimenti te ne accorgi. L'assurdo è che funziona a prescindere. Non serve che ci credi, non serve che lo reciti facendo finta, non serve sapere che per te è vero o meno. Funziona e basta su base meramente quantitativa e meccanica e funziona in un senso e nel suo opposto: carichi e scarichi.

La pubblicità ne fa largo uso ed è per quello che ripete ripete e ripete anche se non la caca nessuno. Per assurdo ottiene uguale (c'è pur sempre l'attenzione inconscia) e quindi c'è chi è disposto a spendere patrimoni pur di tenerla ripetuta ed altri che ci fanno su business con poco sforzo. Ma noi non ne governiamo per noi stessi la meccanica.

Questo si che è assurdo! O no?

P.S.

Vale anche per l'innamoramento e il suo opposto. Se vuoi disinnamorarti o ridurre la pressione dell'invaghimento basta che ripeti cose che ti fanno cacare di quella persona. Se ne trovano sempre e per tutti. Certo, questa è veramente solo la base, ma mai sottovalutare la potenza delle cose semplici! Un cazzotto ben piazzato da un pugile è più che sufficiente a stendere il più grande combattente di arti marziali e solo perché ha ripetuto la tecnica abbastanza a lungo. Lo diceva Bruce Lee, mica un cretino qualsiasi!


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R66
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Provo a mettere un po' di ordine altrimenti non se ne esce...
Con l'argomento "rabbia" non volevo ne intendere la grinta richiesta dall'allenatore alla squadra di calcio, ne alla reazione scocciata che un orologiaio potrebbe avere nel ricevere una pacca sulla spalla mentre sta sistemando un micro ingranaggio; parlo del rancore che si genera quando si ha la percezione di aver subito un torto.
Quindi nessun errore riguardo il suo riconoscimento, verso chi non ne fosse capace che si abbia pietà.

Tale rancore, sia che sfoci in ira e in azioni violente, sia che covi interiormente, dal mio punto di vista è una faccia del "nemico".
Ad ognuno la scelta riguardo il lavorio che esso richiede.
I più lo giustificano come naturale o risolvono appioppando tutta la responsabilità a terzi; il famoso puntare il dito ai cattivoni per intenderci.
Questo perché il "nemico" è con loro, anzi, loro sono con il "nemico".
Pochi altri vi lavorano cercando pian piano di mitigarne l'influenza.
Questi ultimi a mio avviso si riconoscono da un semplice fattore: hanno la coscienza di non poter mai vincere in maniera definitiva, vivono in costante lotta e, strano a dirsi, nonostante la percezione di essere "tarlati", riescono anche a prendere sonno, ridere e scherzare.
Domani si ricomincia...

 


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GioCo
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Pubblicato da: @r66

Provo a mettere un po' di ordine altrimenti non se ne esce...

Decisione molto saggia! 😋 

Con l'argomento "rabbia" non volevo ne intendere la grinta richiesta dall'allenatore alla squadra di calcio, ne alla reazione scocciata che un orologiaio potrebbe avere nel ricevere una pacca sulla spalla mentre sta sistemando un micro ingranaggio; parlo del rancore che si genera quando si ha la percezione di aver subito un torto.
Quindi nessun errore riguardo il suo riconoscimento, verso chi non ne fosse capace che si abbia pietà.

Generalmente non indico "errori", men che meno con chi è così impegnato nella osservazione del processo emotivo, ma l'ho dato per scontato. Indico cose che non si notato, integro dove vedo "buchi" o almeno ci provo. Ma in questo caso specifico ho premesso che temevo di non aver capito e quindi di rispondere Roma per toma o Torino per tombino.

Tale rancore, sia che sfoci in ira e in azioni violente, sia che covi interiormente, dal mio punto di vista è una faccia del "nemico".
Ad ognuno la scelta riguardo il lavorio che esso richiede.

Ora "credo" di capire meglio il "qui quo pro", le ragioni del malinteso (se c'è stato). Dimmi poi tu se me lo confermi o meno. L'aspetto che facevi notare è l'intensità del portato e il fatto che quando sbiella (esagera) diventa "nemico". Per me è il "nemico" che diventa palese che si fa riconoscibile ai più ma i prodromi che ne consentono gli agiti "nascosti" li metto altrove. Un conto è quando sorprendi il ladro di notte con la refurtiva in mano, ben altro è capire come ci è arrivato, il percorso che lo ha portato a quel "fare" e con esso il nostro che ci porta all'incontro con quel "fare". Sono due lavori paralleli che agiscono di concerto. L'uno non esclude l'altro.

I più lo giustificano come naturale o risolvono appioppando tutta la responsabilità a terzi; il famoso puntare il dito ai cattivoni per intenderci.
Questo perché il "nemico" è con loro, anzi, loro sono con il "nemico".
Pochi altri vi lavorano cercando pian piano di mitigarne l'influenza.
Questi ultimi a mio avviso si riconoscono da un semplice fattore: hanno la coscienza di non poter mai vincere in maniera definitiva, vivono in costante lotta e, strano a dirsi, nonostante la percezione di essere "tarlati", riescono anche a prendere sonno, ridere e scherzare.
Domani si ricomincia...

Certo, torniamo verso il tormentone del collaborazionismo. Come in era pandemica, alla fine se costretti come nei campi di lavoro forzato, tipo "se ti ribelli muori", fai di necessità virtù per gradi diversi, fino al collaborazionismo spinto che è una forma di piacere sadomasochista. Se le cose peggiorano abbiamo estremi come quelli che ci narrava Levi nella sua esperienza dove il collaborazionismo non mitiga il senso di colpa, ma lo alimenta e ci rende compartecipi del Male al fine di sopravvivere. Il rendersi conto che il corpo e la sua sopravvivenza è messo da noi al di sopra degli ideali di umanità di cui ci credevamo paladini si fa (di nuovo) evidenza (perché diminuiscono gli spazi in cui puoi illuderti diversamente) e con esso le debolezze che ci dominano. In fondo sono sempre e solo quelle che dominano, le nostre debolezze. Per ciò come dico spesso, se te ne rendi conto, non prevale la condanna verso tuo prossimo, ma la compassione.

Quel che per me è prioritario è il lascito (non so se riuscirò è un tentativo) che il senso di colpa di chi cede è mal riposto, non ha proprio senso coltivarlo e non perché sia "errata" l'analisi o (peggio) il vissuto come nel caso di Levi. E' solo una ragione incompleta, parziale. Domina l'ignoranza ed è ingegneria fine in questo caso. Se si porta il ragionamento al suo grado massimo, si realizza che il problema non è la disumanità accolta in noi per sopravvivere, ma il piacere verso la stessa che fa la differenza. Non importa cosa mi sento costretto a fare per la mia capacità di sopravvivere "sulla pelle del più debole", ma quale grado di piacere provo nel subire e far subire l'ingegneria dell'ignoranza, quanto mi rifugio nell'idea che sia "piacere" la sofferenza ricevuta o procurata. La "seconda" attenzione deve rimanere centrata sull'emozione provata mentre sperimentiamo il vissuto e per constatazione, nel valutare noi stessi. Ad esempio se dico che "il problema sono gli umani" sto indicando il grado di corruzione al piacere nel procurare sofferenza, ma nel farlo "mi esalto" o no? Finisco per adorare le bestie che mi piacciono (perché le altre, tipo blatte e pitocchi smettono di esistere ovviamente dato che non possono esistere "spiacevolezze" bestiali) o le includo e finisco per diventare disgustoso tanto quanto loro?

Fai attenzione però che questo discorso riguarda sempre gli equilibri che vanno soppesati ogni volta e in specie nelle parole, come queste che sto usando ora. Per ciò invito sempre a riflettere e rileggere con attenzione ciò che scrivo nella misura in cui ognuno riesce o può (personalmente faccio schifo, sono dislessico!!).

Ad esempio, il modello animale ci aiuta. E' evidente che la fiera prova piacere nell'aggredire la sua preda, come noi quando cachiamo. Il piacere in natura ha la funzione di spingere alla reiterazione del comportamento che nell'ordine più generale delle cose serve a mantenere un equilibrio organico ed ecologico rispetto l'ambiente, un ambiente che noi abbiamo pesantemente alterato senza tenere conto delle conseguenze. La fiera prova certamente piacere nella caccia (quanto noi, ad esempio nella caccia del partner) ma il piacere non è difficile svincolarlo dalla sua sede e farne un uso distorto. Per esempio mi sparo seghe dal mattino alla sera coi pornazzi e mi appiccico alla TV fino a rincoglionire oppure vado al cinema spesso e mangio schifezze fino a scoppiare diventando un obeso da 300 chili che poi ci vuole un carretto per portarmi in giro. Anche qui come per Levi sono estremi che ci rendono palesi le nostre debolezze, finiamo per viverli perché siano evidenza ai nostri occhi e continueranno finché non li riconosceremo per ciò che sono: inutili stronzate senza appello. Cosa che deve essere accolta con l'ovvia necessità di trovare un compromesso tra l'esigenza di piacere e l'eccesso, non facile in un Mondo artificioso che fa di tutto per stimolare gli eccessi. Ecco perché poi ci rifugiamo negli scampoli di ciò che chiamiamo "natura" ed altro non è se non l'equilibrio che abbiamo smesso di seguire e riconoscere come sensato e superiore al nostro modo di valutare le cose.


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