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"La flessibilità come via alla crescita"


spadaccinonero
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articolo preso da qui

http://www.techmec.it/newseconomia/articoli/2016/03/07/news/domenico_appendino_prima_industrie_la_flessibilit_come_via_alla_crescita-123877/

segnalato da Xeno, a parer mio meriterebbe la home a causa degli enormi spunti di riflessione che offre.

Buona lettura

07 marzo 2016

Domenico Appendino, Prima Industrie: “La flessibilità come via alla crescita

Intervista a Domenico Appendino, vice presidente esecutivo di Prima Industrie, sulle tendenze in corso nell’economia mondiale e nelle sfide che deve affrontare la manifattura italiana all’estero.

Sulla poltrona di Tecnologie Meccaniche (i numeri di Tecnologie Meccaniche sono leggibili online previa registrazione gratuita) si è seduto Domenico Appendino, vice presidente esecutivo di Prima Industrie, presidente fondatore di Prima Power Suzhou e consigliere d’amministrazione delle altre due controllate in Cina. Con Appendino abbiamo discusso delle tendenze in corso nell’economia mondiale, delle sfide che devono affrontare le aziende italiane per avere successo all’estero e, in particolare, in Cina.
Domenico Appendino è anche vicepresidente SIRI (Associazione Italiana di Robotica e Automazione, Milano), consigliere UCIMU (Unione Costruttori Italiani Macchine Utensili, Milano) e presidente ManuFuture Italia.

Il 2015 sembra essere stato un anno positivo per il settore della macchina utensile. Secondo lei è vero che il “grande freddo” del 2008 è ormai alle spalle ed è iniziato un periodo di crescita?
Sicuramente il 2015 è stato un anno decisamente positivo per la macchina utensile e la robotica, ma non bisogna dimenticare che il confronto è fatto con i risultati degli anni successivi al “grande freddo” e che quindi la crescita è da considerarsi relativa ad una situazione che è stata di crisi estrema. E’ però molto bello notare che tra le aziende riuscite a superare quel periodo difficilissimo per tutti, ma in particolare per i produttori di beni d’investimento, alcune di esse, come ad esempio Prima Industre, abbiano di nuovo raggiunto valori di fatturato equivalenti a quelli degli anni precedenti alla crisi e, sempre nel caso di Prima Industrie, anche superato la redditività di quegli anni.
Esiste quindi una tendenza certamente positiva anche se fare oggi delle previsioni per il futuro è particolarmente difficile in un quadro geopolitico globale in continuo cambiamento. Si pensi ad esempio ai problemi epocali che sta vivendo l’Occidente come il cambio dei suoi paradigmi industriali storici e dei relativi modelli di sviluppo, complicati in particolare in Europa dall’immigrazione massiccia e continua dai paesi più poveri. Gli scenari in cui viviamo mutano con una velocità molto elevata, la finanza si è sovrapposta all’economia reale influenzandola in modo continuo e repentino, la variabilità è diventata una delle caratteristiche principali di questo secolo, le problematiche relative a questa situazione ci devono quindi far rimanere cauti in ogni previsione. A dispetto di ciò le speranze sono certamente positive, crediamo in uno sviluppo e per questo continuiamo con determinazione a fare impresa.

La parola innovazione viene spesso indicata come la chiave del successo di un’azienda. Per lei cosa vuol dire fare innovazione in azienda?
Soprattutto per il “vecchio mondo”, quell’Europa di cui anche l’Italia fa parte, l’innovazione è sempre stata la chiave del successo. Innovare significa avere prodotti all’avanguardia e quindi di eccellenza. Il costo del lavoro e quindi del prodotto è un fattore sicuramente importante ma noi europei continuiamo a vendere macchine, soluzioni e tecnologie perché le nostre sono più avanzate rispetto alle altre. Nei mercati emergenti o emersi, la macchina utensile europea si trova nella fascia alta del mercato, una fascia più ristretta ma ancora molto importante. Ed è qui che ci giochiamo il nostro futuro.
Ma innovazione non vuol dire soltanto innovare tecnologicamente un prodotto, oggi innovare vuol dire anche avere una flessibilità aziendale e commerciale tale da dotare l’azienda di nuovi strumenti idonei per i vari mercati ed adatti alle nuove esigenze. Oltre ad avere prodotti di eccellenza bisogna essere aziende di eccellenza. Nel proprio settore, Prima Industrie è sempre stata un’azienda non solo di innovazione tecnologica ma anche di innovazione nel senso organizzativo e di marketing. Oggi Prima Industrie ha piedi ben saldi in tre continenti (Europa, America e Asia) e continua a cercare nuove soluzioni organizzative per essere presente in tutti i mercati con forme societarie e di produzione idonee che le consentano di aggredire segmenti di mercati che, senza un’organizzazione di questo tipo, non potrebbe mai raggiungere.

In uno scenario in cui le aziende manifatturiere italiane devono fronteggiare la concorrenza di aziende da tutto il mondo, la competitività è un tema chiave. In quali ambiti le imprese italiane devono migliorare per essere più competitive?
È una domanda molto profonda e che coinvolge non solo le aziende ma tutto il cosiddetto “vecchio mondo”. Uso questo termine perché indica bene un mondo che ha ormai raggiunto la maturità e sta rallentando rispetto ad altri paesi emergenti o appena emersi. È ovvio che dobbiamo fronteggiare la concorrenza in quello in cui siamo più bravi, ed ecco il tema dell’innovazione di cui abbiamo già parlato, invece non possiamo competere quando è vincente il costo del lavoro o si opera in mercati poveri dove siamo ormai perdenti in quanto vende solo il prezzo. Innovazione e tecnologia sono quindi gli aspetti importanti che possiamo appunto indicare con eccellenza. Fare lo speciale, cioè quel riuscire a realizzare soluzioni su misura per il cliente che è una caratteristica tipicamente italiana, può dare risultati importanti ma solo a livello regionale, non globale, quindi non è questa la grande battaglia che un’industria europea deve affrontare. Bisogna invece continuare a fare prodotti più avanzati, mantenere un vantaggio competitivo in termini prestazionali ed avere comunque una flessibilità organizzativa che permetta di adattarsi alla grande evoluzione del mercato globale che cambia a una velocità incredibile, come ci hanno insegnato le vicende di crescite e crisi che oggi si alternano in giro per il mondo.

Negli ultimi anni l’economia italiana sta attraversando un periodo difficile e questo contesto ha indebolito la manifattura nel nostro Paese. Quali sono a suo avviso gli elementi più urgenti su cui intervenire per rimettere l’industria nella condizione di crescere?
Siamo uno dei Paesi che ha il costo dell’energia più alto d’Europa e quindi del mondo. Abbiamo una fiscalità tra le più alte in assoluto e situazioni di tipo sindacale talvolta inconcepibili nella crisi che stiamo vivendo. Tutti questi aspetti non hanno aiutato e non aiuteranno l’Italia, c’è da sperare che il Governo incida fortemente su tutti quei parametri che ci permetterebbero di avere un contesto più simile a quello in cui lavorano i nostri concorrenti.
Oggi se le aziende italiane vanno avanti è perché c’è una imprenditoria che nonostante la situazione politica continua ad investire e combattere, pur sapendo di avere sulle spalle un retaggio che gli altri paesi non hanno. C’è da sperare che le cose migliorino, alcune lo stanno facendo, però questo è un discorso di fondo importante che la nostra classe politica dirigente dovrebbe capire e su cui dovrebbe concentrarsi di più.

Si parla spesso della dimensione delle nostre aziende: per alcuni analisti l’impresa italiana è mediamente troppo piccola, per altri, invece, il formato della multinazionale tascabile può essere quello vincente nei prossimi anni. Qual è il suo approccio sul tema?
L’Italia è un paese particolare in Europa per quanto riguarda le dimensioni delle proprie aziende, per circa il 95% so
no medio-piccole o piccole. Ci sono stati anni in cui si diceva “piccolo è bello” e anni in cui si diceva il contrario, come se il nanismo industriale fosse per forza negativo. Non esiste una risposta assoluta, è chiaro che ogni azienda deve sviluppare un percorso adeguato alla sua struttura ed al suo piano industriale. E’ comunque vero che in un mondo sempre più globale e integrato, essere un’azienda grande che può accorpare servizi e far pesare la propria “testa”, che deve essere necessariamente “grossa”, su un numero di dipendenti e fatturato più grandi, incrementa la competitività dell’impresa. Nel mondo industriale in cui è normale andare a vendere a 10 ore di volo dalla propria sede è probabilmente meglio essere grandi, però conta sempre di più la gestione. Un bravo imprenditore riesce anche nel piccolo a fare cose incredibili, lo dimostra il mondo della macchina utensile con micro aziende familiari che riescono a vendere in tutto il mondo con eccellenze tecnologiche. Ogni azienda fa scelte proprie e dovrà organizzarsi in funzione di queste scelte per raggiungere gli obiettivi fissati e che non sempre sono quello della crescita. È chiaro che l’azienda piccola in un mercato globale possa avere più difficoltà se punta solo alla crescita ma anche qui non è detto che non possa sfruttare questa condizione a suo favore.
Il caso di Prima Industrie è quello di un’azienda che nasce piccola e aggredisce tutti i mercati possibili e coglie le opportunità che le si presentano adattandosi gradualmente alle nuove richieste e che così cresce sia per mercato, sia per acquisizioni. Abbiamo un prodotto che si colloca in un mercato globale e per poter essere concorrenziale ha necessità di dimensioni grandi per motivare gli ingenti investimenti sia di ricerca e sviluppo che di presidio del mercato globale, per cui siamo passati da essere una piccola azienda che si definiva una “multinazionale tascabile” al terzo gruppo mondiale nel nostro settore, con stabilimenti e presenze tecnico-commerciali in tutto il mondo. Questo non vuol dire che non ci siano aziende più piccole, ma con fatturati e prodotti diversi, che non facciano comunque risultati importanti. Però un’azienda familiare può anche mantenere dimensioni stabili che le garantiscono fatturato e margini adeguati ai propri obiettivi, invece un’azienda quotata come Prima Industrie ha responsabilità verso gli azionisti e crescere è per noi una precisa missione.

Il gruppo Prima Industrie è attivo in tutto il mondo e, per questo motivo, avete un punto di osservazione privilegiato sull’andamento delle varie economie nazionali. In questo momento quali macro aree valutate più vivaci e quali in maggiori difficoltà?
Considerando come macro aree l’Europa, le Americhe e l’Asia, direi che l’Europa nel 2015 è stata una piacevole sorpresa: abbiamo visto un mercato che si è ripreso e che ha riconfermato pesantemente la sua importanza. Questo è stato particolarmente rilevante perché gli altri mercati sono per noi di dimensioni consistenti ma ancora inferiori a quello europeo che è sempre stato il nostro mercato principale. Gli Stati Uniti sono un mercato su cui facciamo molto affidamento e che si conferma sempre vitale. L’Asia ha un po’ rallentato a causa della Cina, che è ormai un’economia emersa e che quindi comincia a sperimentare i problemi tipici dei paesi non più emergenti. Bisogna comunque considerare che i livelli di crescita attuali o previsti nel prossimo futuro (5-6%) della Cina sono da calcolarsi su un mercato di alcune volte più grande di quando l’economia cinese cresceva a doppia cifra, per cui il valore attuale assoluto del mercato cinese è ancora più grande di quello di una decina di anni fa. Per questo noi continuiamo ad essere ottimisti ed a credere in questo paese. Però a mio avviso il tema di oggi è, dopo la presenza commerciale in tutti i paesi, di riuscire a coprire in ognuno ogni fascia del mercato e non solo quella dell’alta tecnologia, importante ma comunque meno grande. Se vogliamo crescere ancora dobbiamo trovare il modo di attaccare anche le altre fasce.

Lo scorso anno è stato un anno importante per Prima Industrie con l’inaugurazione dello stabilimento di Suzhou. Perché questo stabilimento è così importante per il futuro di Prima Industrie?
Prima Power Suzhou è importante per diversi motivi, prima di tutto perché corona un’operazione complessa che ci ha permesso di riorganizzare e razionalizzare in funzione dei tempi odierni la presenza del nostro gruppo in Cina. Se infatti siamo stati sempre presenti direttamente in questo paese con le macchine laser 3D, dove il nostro marchio ha un grandissimo valore, per le macchine di taglio piano avevamo scelto di affrontare un mercato così complesso come quello cinese in joint venture con partner locali. Inoltre dopo l’acquisizione di Finn Power abbiamo mantenuto il distributore storico per la linea di macchine di lavorazione lamiera. Oggi riteniamo che sia conclusa l’era delle joint-venture e dei distributori, e disimpegnandoci dalle joint-venture abbiamo reinvestito le nostre partecipazioni creando una società controllata e gestita direttamente che produce in Cina tutti i nostri principali prodotti di classe media per il mercato locale e che costituisce anche il nostro centro tecnologico, dimostrativo e di service per tutti i prodotti del gruppo in questo paese. Lo stabilimento di Suzhou è quindi importante perché produrre in Cina quanto ha senso produrre localmente (macchine laser piane, piegatrici e punzonatrici di media gamma), ci consente di affrontare il mercato locale di qualità medio alto. Questo segmento, che fra l’altro è ora particolarmente in crescita, nella fase iniziale è stato coperto da esportazioni dirette o tramite distributori essendo allora il mercato molto piccolo, poi dalle nostre joint-venture con produzione locale che utilizzavano alcuni nostri componenti, ma oggi si può coprire solo producendo direttamente in Cina. Soprattutto nel segmento medio-basso siamo così passati da un business basato sulla vendita di componenti alla presenza diretta con prodotti realizzati da noi in loco e quindi con prestazioni europee.
Del resto se guardiamo lo sviluppo del mercato di qualsiasi macchina utensile, in Cina l’evoluzione è sempre la medesima: all’inizio l’esportazione rappresenta la quasi totalità, poi la produzione locale cresce. Il progetto cinese è di produrre sempre di più in Cina con società totalmente cinesi o di investitori stranieri che producano in loco con società cinesi da loro possedute. La partenza delle nostre produzioni a Suzhou ci permette quindi di essere presenti in una fascia di mercato che gradualmente non viene più lasciato all’importatore straniero.
Infine questo stabilimento, progettato con design italiano e di grandi dimensioni (8500 m2 di area produttiva con tre linee prodotto e show room da 1000 m2), ci ha permesso di accentrare le nostre altre attività di importazione a Suzhou in modo da poter fare sinergie e poter presidiare direttamente con personale, struttura e dimensioni adeguate questo mercato fondamentale.

Parlando di Cina, ho scoperto che lei ha anche scritto un libro dedicato alla scultura in terracotta nella Cina Antica (“"La Terracotta nella Cina antica-Ottanta secoli di scultura"). Mi è sembrata la conferma del fatto che la Cina rappresenti per lei qualcosa in più di un’occupazione professionale. Come il suo rapporto con questo paese e con la sua gente?
Avendo passato tanto tempo in Cina e, soprattutto nei primi anni in cui i tempi di attesa per una trattativa commerciale o per incontrare una persona erano incredibilmente lunghi, ho cominciato, da appassionato di archeologia quale sono, a dedicare tempo all’archeologia cinese. Da ingegnere non ho potuto che farlo in modo sistematico: ho cominciato a documentarmi in un settore particolare, che a me piaceva ed interessava particolarmente, la scultura tombale in terracotta (detta “mingqi”, “oggetti dello spirito”) che
ha accompagnato le sepolture cinesi dal neolitico al Ming (1368 al 1644 d.C. NdR) quando quest’arte muore. È forse una delle forme più belle dell’arte cinese ed è anche quella più comprensibile a noi occidentali trattandosi di raffigurazioni di animali, uomini e loro abitazioni. Questa passione mi ha permesso di avvicinarmi molto alla cultura cinese antica, scoprendo l’importanza e l’influenza che la Cina ha avuto nel corso della sua storia unitaria, ma anche di capire la mentalità dei cinesi di oggi. Studiando la storia è evidente come la Cina stia cercando di riprendere il ruolo centrale che aveva ai tempi dell’impero, ma questa volta a livello mondiale poiché in un mercato globale la Grande muraglia che la isolava dal mondo è di fatto caduta. Per questo la Cina un paese che non si può ignorare. Le tante diversità culturali che ci differenziano da questo popolo e che di conseguenza portano spesso a profonde difficoltà, non devono far rinunciare a lavorare con un paese che ha certamente ancora tanto da dare.

Sono tanti anni ormai che vive il mondo della macchina utensile, al di là delle tecnologie (che hanno vissuto una grandissima evoluzione) cosa è cambiato e cosa invece è rimasto uguale in questo settore?
Sicuramente l’evoluzione delle tecnologie di prodotto ha avuto un impatto molto importante nel mondo della macchine utensile, naturalmente accompagnata da un servizio adeguato nelle aree in cui il prodotto è venduto. La macchina utensile ha dovuto seguire o anticipare tecnologie nuove proprio perché le prestazioni sono ciò che ci è principalmente richiesto. Un produttore di macchine utensili porta a casa un ordine perché la sua macchina realizza meglio e più velocemente il pezzo che vuole il cliente. Quindi la tensione è nel dare il tempo ciclo e la qualità di processo migliori per fare il prodotto del potenziale cliente e questa centralità è rimasta negli anni e rimarrà sempre. Questo perché la macchina utensile è uno strumento per produrre e sono proprio la sua funzionalità ed eccellenza l’aspetto chiave.
Negli anni questo settore si è anche evoluto in termini di organizzazione industriale e di filiera produttiva: un tempo i costruttori di macchine erano fortemente verticalizzati, oggi tanti elementi non sono realizzati direttamente (pensiamo ai controlli numerici o i sistemi di misura). La filiera attuale è più complessa: oltre alla fabbrica di macchina utensili ci sono tante fabbriche complementari che lavorano insieme secondo il cosiddetto modello olonico virtuale.
Oggi Prima Industrie mentre produce internamente tutti i componenti tecnologici importanti quali controlli numerici o generatori laser, non ha quasi più macchine utensili al suo interno ma ha creato una rete dei migliori fornitori dei componenti che progetta e fa realizzare da ditte specializzate ciascuna nel proprio settore. Queste aziende, che chiamiamo “coproduttori” e che sono scelte in modo che ciascuna eccella nelle proprie lavorazioni, sono coinvolte sia nella progettazione sia nella produzione in modo da poter raggiungere l’eccellenza in ogni elemento della macchina nel rispetto del progetto di Prima Industrie. Questo è importante perché nel mondo di oggi, come dimostrano la macchina utensile e la robotica, se non si raggiunge l’eccellenza nel proprio settore non si può andare avanti, crescere e sperare in un futuro migliore.


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Cosa ci trova di scandaloso in quest'articolo, SN? 😕 😉


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spadaccinonero
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Cosa ci trova di scandaloso in quest'articolo, SN? 😕 😉

perdonami ma non voglio pronunciarmi in merito, attendo con pazienza l'opinione di

rosanna
makkia
yago
pistone
sola
sotis
zerba
albertoc

e altri che adesso non ricordo


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La teoria potrebbe allungarsi corposamente, temo però che la sua richiesta rimarrà inevasa, da quel che leggo dei commenti proposti dai signori da lei indicati mi è difficile estrarre sensazioni di conoscenze specifiche della materia. 😯 😉 😉


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spadaccinonero
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La teoria potrebbe allungarsi corposamente, temo però che la sua richiesta rimarrà inevasa, da quel che leggo dei commenti proposti dai signori da lei indicati mi è difficile estrarre sensazioni di conoscenze specifiche della materia. 😯 😉 😉

sarò paziente e attenderò la loro opinione in merito, dopotutto l'articolo necessita almeno dieci minuti per leggerlo dall'inizio alla fine

abbi fede


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Cosa ci trova di scandaloso in quest'articolo, SN? 😕 😉

concordo


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Jor-el
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L'intervista al vice-presidente di Prima Industrie, alias "il nuovo che avanza" è in linea con il discorso di insediamento di Vincenzo Boccia, il nuovo Presidente di Confindustria: l'Italia deve uniformarsi. Cosa distingue l'Italia dalla dalla Germania? La base produttiva. Date un'occhiata:

In Italia le aziende con meno di 10 dipendenti sono il triplo che in Germania.
Perchè? Per dare una risposta bisogna risalire ai primi Anni '60, al famoso "decentramento produttivo". Per distruggere la forza contrattuale e la combattività dei lavoratori italiani (in soldoni: per bloccare le rivendicazioni salariali) la Confindustria compì una scelta dolorosa, cioè lo smantellamento delle grandi concentrazioni industriali a favore dell'atomizzazione della base produttiva in una galassia di micro-piccole-medie imprese. Il padronato rinunciò così a una fetta importante di profitti, ma in cambio ottenne un controllo quasi assoluto sui lavoratori (un altro esempio di quanto la "coscienza di classe" sia forte nei ricchi e debole fra i dominati). Il PCI ottenne la sua bella fetta: le Regioni, istituto nato appositamente per dare un effettivo potere al PCI pur mantenendolo all'opposizione. Nelle "Regioni Rosse" assegnate al PCI il decentramento andò alla grande. La PMI, spesso in veste "cooperativa" sostenne e puntellò il "buon governo delle sinistre". A parte il fatto che l'Articolo 18 non si applicava alle aziende con meno di 15 dipendenti, come potevano i sindacati mettere i bastoni fra le ruote alle amministrazioni locali "del popolo"? Nelle regioni rosse la concertazione passò trionfalmente mentre le amministrazioni edificavano un impianto normativo favorevole alle aziende "amiche", come la Lega delle Cooperative (ma non solo). L'80% e passa dei padroncini era iscritto al Partito e negli scioperi, sempre più rari, quelli "politici" contro gli avversari del PCI, il padrone era il primo a incrociare le braccia. Ma lasciamo stare, perchè in altre zone la Democrazia Cristiana fece la stessissima cosa, mentre il PSI andava con l'una o con l'altro a seconda delle convenienze.
Oggi la musica cambia, il tessuto produttivo italiano va riconfigurato. Ma come "rimettere i dentifricio nel tubetto" (parole di Padoan)? Come distruggere le PMI che sono sopravvissute alla grande rasatura della crisi del 2007? Semplice, attraverso la gestione delle sofferenze bancarie! Il Decreto "Finanza per la crescita" prevede una norma che consente a società non finanziare di acquistare sofferenze bancarie. Una grande azienda può così con pochi soldi acquistare il debito di una o più PMI. In poche parole, una media/grande azienda (tipo la Prima Industrie, per capirci) acquista a 30 una garanzia valutata 100 di una piccola impresa ormai priva di qualsiasi sostegno bancario e certa al fallimento. Con pochi soldi può acquisire questa azienda fortemente svalutata, incorporarla e per questa via uniformare i processi produttivi della nuova frontiera della digitalizzazione.

Concentrazione manifatturiera per via bancaria e salto tecnologico. Con i miliardi delle sofferenze bancarie decine, se non centinaia di migliaia di aziende manifatturiere verrebbero svalutate e acquisite a poco prezzo dalle circa 5 mila mini multinazionali che a quel punto, con l’aggiunta della fine della contrattazione nazionale a favore della contrattazione aziendale, verrebbero concentrate. Questo modello si chiama "Toyotismo": portare la produttività delle PMI ai livelli delle multinazionali con la crescita di poli produttivi metropolitani, conglomerati tra multinazionali e piccole imprese fornitrici finanziariamente controllate dalla casa madre.

Questi sono i sogni del padronato italiano. Quello che è difficile capire è perchè i piccoli e medi imprenditori dovrebbero essere entusiasti della loro prossima eutanasia! La risposta è sempre la stessa: coscienza di classe. I piccoli imprenditori vengono presi all'amo con l'esca della "produttività" e del "salto tecnologico". Cosa significa nel loro linguaggio "aumento della produttività"? Significa poter pagare meno i loro dipendenti facendoli lavorare di più, aumentando proporzionalmente i profitti. Questa prospettiva alla lunga ha sempre ubriacato i piccoli imprenditori italiani, specie quelli alla canna del gas, con Equitalia alle calcagna. "Salto tecnologico", invece, significa nuovi mercati, esportazioni, aumento della competitività, che in termini di soldi in tasca ai lavoratori vuol dire MENO.
E pensare che solo pochi mesi fa si proclamava a destra e a manca che l'innovazione tecnologica sarebbe stata la salvezza della PMI italiane! Che l'Euro era necessario proprio perchè avrebbe favorito le startup dell'alta tecnologia! Contrordine: non è vero, l'innovazione tecnologica non la fa più la PMI, la fanno le multinazionali, perchè nel mercato sempre più globale bla bla bla bla.
In pratica le multinazionali stanno dicendo alle PMI italiane: o voi o loro (i lavoratori). E' chiaro che i padroncini sacrificheranno per primi i lavoratori, ma non appena lo faranno, saranno loro a finire in padella, essendo proprio loro il vero pesce da friggere. Ciliegina sulla torta: non è il caso che Boccia fosse il rappresentante della PMI nella Confindustria. In questi casi è sempre l'avvocato quello che, alla fine, fa la parte del boia...
Domenico Appendino, dal canto suo, rappresenta i beneficiari dell'operazione, ovvero le mini-multinazionali che in Italia dovrebbero gestire la transizione e incamerare i profitti. Ma attenzione, mini-multinazionale non è sinonimo di PMI, non è la naturale crescita delle piccole imprese (Ok, facciamo tante mini-multinazionali, evviva!), una mini-multinazionale altro non è che l'interfaccia regionale delle grandi multinazionali, il pesce grosso dello stagno che si è pappato i pesci piccoli. Loro la spacciano per "naturale evoluzione", mentre in realtà è un massacro.

Grazie, Spada, per il post. Molto utile per comprendere quel che sta succedendo in Italia.


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Non è la prima volta che glielo comunico, Jor-el, leggendola si capisce chiaramente che lei non ha mai impreso.
Per vendere i prodotti del mio orto sul balcone di casa sono obbligata a tenere una contabilità come fossi una multinazionale. Di cosa sta parlando? 😈 😈 😈


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cdcuser
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e bravo Jor-el ... solo una domanda, di che anno sono quei dati che hai postato?


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zerba
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@spadaccinonero
Mi dispiace ma non essendo sostenitore di nessun partito la discussioni che state affrontando non mi coinvolgono dal punto di vista politico,mi incuriosiscono solo dal punto di vista sociale. Per questo,ogni tanto ,leggo questa sezione.


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spadaccinonero
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no no Jor-el

sono io che ringrazio te per il tuo illuminate intervento

😀


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Jor-el
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Questo è il link all'articolo da cui ho preso le due immagini:

http://www.linkiesta.it/it/article/2016/04/20/il-modello-della-piccola-impresa-italiana-e-tramontato/30035/

Ci sono altri dati, anche con riferimenti storici. Penso comunque che i dati riportati più recenti siano del 2013.


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