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Perchè non santifico "Ciampi"


Tao
 Tao
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Mentre la piaggeria bipartisan dilaga.

Più parole si dicono, meno verità si formulano. Paradossalmente la parola - il “verbum” dei teologi -la cui funzione fisiologica è quella stupenda e insostituibile di comunicare, di consentire al soggetto di entrare nella vita del suo simile e di esserne, a sua volta, penetrato, se usata in un certo modo, sortisce l’effetto contrario, cioè non comunica e non fa interagire gli uomini positivamente, mancando di un oggetto concreto e credibile.
Attorno a Ciampi - presidente e uomo - sta gridando un coro di plausi e di lusinghe ipocrite, cioè del tutto “fuori fase” ovvero non pertinenti all’oggetto in questione - che sarebbe quello di valutare le motivazioni di un eventuale rinnovo del suo mandato - quindi “non comunicanti”. In altre parole, lo si sta “santificando” elevandolo al rango di “padre della patria”. Io, cittadino italiano, non ci sto.

Ciampi è un personaggio-oggetto politicamente utile perché cònsono all’aria che corre - neoliberista e filoamericana - che è bene respirata dai due poli alternanti (come gli estremi di un’altalena), non certo “alternativi”. L’apprezzamento più benevolo che posso esprimere di costui è che è stato uno dei Presidenti più mediocri che abbia avuto la Repubblica. Per inciso la parola “res publica” mi ricorda che il paese siamo tutti mentre in “regime democratico” solo potenti del capitale e mestieranti del potere se lo contendono - e se lo godono. Per questo le promesse si susseguono e le difficoltà esistenziali rimangono.

La Costituzione italiana non dà molti poteri al Presidente della Repubblica, ma anche una parola, ben detta e con autorevolezza, ha il potere di richiamare, correggere, far pendere la bilancia dalla parte del giusto e - è il caso di dirlo - del paese. Ma limitiamo ci alla verità di alcuni fatti salienti.

Del resto, sono proprio gli attuali adulatori che li conoscono meglio di tutti. Ciampi, già Governatore della Banca d’Italia, sarà stato certamente uno zelante “ragioniere del conio e della monetocrazia”, nel che non è ravvisabile alcuna saggezza politica e umana. Fruitore da sempre di lauti compensi (basti il solo del seggio appena ricordato), titolare di due pensioni per un ammontare di diversi milioni delle vecchie lire pro die e poi titolare dell’appannaggio del “Primo Cittadino”, “ha lavorato” con tranquillità senza porsi seri problemi di coscienza come garante della carta costituzionale, non vedendo, lasciando correre, assecondando, partecipando ai cori di gaudio o di dolore ipocrita che si levano nelle più varie occasioni, seguendo rispettosamente il protocollo della liturgia demagogica. Ormai sono lontani i tempi in un cui un “onorevole” (non strapagato come oggi) si levava in piedi in parlamento per pronunciare proteste in nom e di un ideale, sfidando magari a duello l’avversario. Oggi un Prodi va a stringere la mano a un Berlusconi da cui poco prima è stato tacciato “televisivamente” di non essere intelligente! Più ipocriti di così!
Ma torniamo al nostro Ciampi, così abile nel non avere grattacapi e credo, non per ragione di anni.

Orbene, amico personale del papa pro tempore, che è il capo del potere clericale, non ha speso una sola parola contro la strisciante ingerenza dello stesso nell’attività parlamentare e nella vita civile e privata del popolo italiano.

Garante teorico della Costituzione ha lasciato transitare per il suo tavolo una legge dopo l’altra tesa ad alterarla, ma ha soprattutto ignorato l’art. 11 (che ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali) rivolgendo un appello perché non si lasciassero soli gli “amici” americani, come dire la lobby plutocrate-militare dell’America del Nord, non opponendosi - e ne aveva il potere -che ! militari italiani fossero inviati in Iraq (restringiamo il campo dei fatti a questo) come truppe coloniali, per giunta a spese nostre, a fare da “inservienti” di un’operazione fuori legge, se è vero che un certo Bush ha invaso quello Stato autonomo con pretesti, risultati tutti menzogneri, contravvenendo a tutti i trattati del diritto internazionale e, all’epoca, anche al no dell’Onu. Ciampi ha così dato una mano d’aiuto ai poveri amici americani, ovvero alla più grande criminocrazia di tutti i tempi, scuola storica di quel terrorismo che la Casa Bianca dice di combattere mentre, fra i molti crimini in atto, tiene una prigione illegittima, che risponde al nome di Guantanamo i cui prigionieri non godono di alcun diritto e di alcun rispetto!

Garante della Costituzione ha lasciato passare la vergognosa “legge Biagi” sul “mercato del lavoro” che, beffando la Costituzione stessa, trasforma il lavoro - cioè il diritto alla vita - in merce (perché no deperibile)!
Non ha saputo far valere le proprie prerogative nemmeno nel caso del suo “potere di grazia” lasciandosi menare per il naso da un ministro della Giustizia incompetente e interessato.

Infine, e non ultimo, legittima sceneggiate a base di lacrime di coccodrillo quando un inserviente coloniale in divisa militare ci lascia malauguratamente la pelle in un evento che può essere definito prevedibile “infortunio sul lavoro”. Con le lacrime di coccodrillo si offendono da morti degli eroi di famiglia (e non di patria) che hanno tentato di avere qualche soldo in più per risolvere problemi che altrimenti non avrebbero potuto risolvere. Sono certo da rimpiangere ma come lavoratori coraggiosi non certo come eroi di quella patria che li indotti ad una sfida con la morte.

Ciampi, il “santificato” del giorno, ha recitato alla perfezione nella tragicommedia di un lutto nazionale in un paese dove ogni giorno c’è gente che muore sul lavoro; o ne viene mutilata senza l’onore di nessun coro di prèfiche e piagnoni di mestiere.

Al Ciampi ho scritto non poche lettere (alcune delle quali sono state rese di pubblica ragione attraverso delle testate giornalistiche o attraverso i Quaderni del mio Centro Studi Biologia Sociale) non certo per futili motivi ma per questioni di estrema importanza. E se lui è stato - ed è ancora- il primo cittadino, io senza ombra di dubbio, non sono l’ultimo, ma la sola qualità di cittadino - per di più sociologo alle porte degli anni ottanta - sarebbe dovuta bastare per avere una risposta. Ma cosa avrebbe potuto rispondermi l’amico degli americani - ma non del tristemente famigerato art. 11? E allora, ha preferito tacere.
Se questo sia stato - sia - il Garante delle norme costituzionali, ho tutti i miei dubbi e le gazzarre di hurrà urlate al suo indirizzo non mi possono che fare ridere - o piangere sulla “povertà di contenuto” dei miei connazionali ma soprattutto di quei personaggi del potere pubblico e di quei pennivendoli e verbivendoli dei mass media che fanno da contorno a cotanto strazio dell’intelligenza e del buon senso.

Carmelo R. Viola
Centro Studi Biologia Sociale
8.05.06


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Tao
 Tao
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Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ha espresso «sgomento e immenso dolore»; il Capo dello Stato ha chiesto di essere costantemente informato sugli sviluppi della vicenda.

Sarà allora D'Alema a recare «l'ultimo saluto» ai cosiddetti nostri ragazzi, gli alpini caduti in Afghanistan?
Forse, nelle more del mercato per il Quirinale, sarà ancora Ciampi.
In carica per l'amministrazione corrente, che comprende il «cordoglio ufficiale».
Come ipocrita Ciampi riesce meglio: toccherà con le mani le bare coperte dal tricolore, sembrerà (agli idioti, che sono i più) un vecchio padre affranto per i figli suoi perduti.
Com'è buono!
Ripeteranno i c...
Ma ha avuto il lavoro facile, coi primi morti in divisa.
Quando diverranno venti o quaranta o duecento, lo spettacolo falso del buon padre distrutto diventa impossibile.
La ripetizione frenetica delle pompose mestizie rischia effetti alla Petrolini.
E poi manca il tempo e la voglia di «presenziare», mettere corone, passare in rivista i picchetti. D'Alema, se sarà lui, darà un taglio.
Perché la guerra in Afghanistan produrrà altri morti.
E non in battaglie, ma per gli ordigni improvvisati a lato strada: basso costo, effetto demoralizzante sicuro.

E sempre meno improvvisati, poi: abbiamo visto a cosa riducono le corazzature presunte dei mezzi Fiat con cui abbiamo mandato là «i nostri ragazzi» tanto amati da Ciampi.
Abbiamo già provato come la Fiat armava i ragazzi nostri, con quali scatole di sardine, nella seconda guerra mondiale.
I nostri politicanti di sinistra, come quelli di destra, condividono la cieca convinzione che gli USA sono invincibili, quindi conviene servirli.
In Afghanistan, gli USA hanno già perso.
Le nostre truppe e gli altri europei dell'ISAF mantengono una finzione d'ordine nella sola Kabul, proteggono il governo fantoccio e spettrale di Karzai, il dirigente Unocal, la petrolifera californiana: a venti chilometri attorno, comincia la terra di nessuno.
Lì, operano gli americani.
Con puntate offensive dagli elicotteri e occasionali lanci di missili, ammazzando a casaccio assembramenti sospetti che spesso sono matrimoni, con donne e bambini.
Quando gli elicotteri degli omicidi ripartono, tutto resta come prima: poteri feudali, signori della guerra, mercanti d'oppio.
E talebani in ripresa.
Il presunto occupante non ha alcun controllo del territorio.

Non può, grazie alla strategia, demente prima che criminale, dettata da Donald Rumsfeld, convinto (il guerriero da tavolo) che i commandos possano fare tutto, sostituire un esercito, e per di più «on the cheap», al risparmio.
Del tutto incosciente che l'Afghanistan, semplicemente col suo terreno e la sua orografia proibitivi per non parlare delle sue kabile guerriere, ha ingoiato i britannici, ha consumato i sovietici e tutte le loro massicce attrezzature, cingolati, elicotteri corazzati, decine di migliaia di reclute. Nemmeno nessun capo afghano ha mai controllato l'Afghanistan.
Lo controllano a pezzi, tenendo sotto tiro i passi obbligati di montagna, pullulanti di bande e di kabile di predoni, di capi etnici e religiosi.
Non basterebbero mezzo milione di uomini.
E Rumsfeld ve ne dedica 18 mila.
I talebani sono di nuovo all'offensiva.
Ben forniti di denaro dell'oppio, comprano armi, partono dall'area tribale contigua, in Pakistan, che il Pakistan non controlla nonostante gli 80 mila soldati che vi impegna.
Del resto, anche nel regime pachistano i talebani contano degli amici, i loro vecchi istruttori dei servizi segreti, ben contenti di vedere gli americani inchiodati al suolo.

Gli attacchi dei talebani, sempre più frequenti, possono non uccidere a migliaia.
Ma usurano il corpo di spedizione USA, e l'usura già basta a vincere.
Il tempo è dalla loro parte.
L'incosciente e criminale Rumsfeld sta preparando all'America il regalo più avvelenato: un esercito umiliato, usurato e consapevole di essere sconfitto, che già cova in sé i semi della sedizione.
Questo produrrà la «guerra al risparmio», un prezzo altissimo sociale e politico.
La sconfitta USA è evidente a chiunque - non certo i nostri politici - legga le informazioni reali.
La prova?
E' svanito, né si parla più, dello scopo strategico-affaristico che giustificò l'invasione: la costruzione e la messa in sicurezza dell'oleodotto che doveva portare il greggio del Caspio in Turchia, e che Cheney e Rumsfeld vollero – i dementi - che passasse per l'Afghanistan, al solo scopo di non farlo passare (per «punizione») in Russia o in Iran.
Per questo hanno messo a Kabul un funzionario della Unocal, la società che aveva la guida del consorzio per l'oleodotto.
Di questo oleodotto non si parla più.
E' tramontato.

Impossibile assicurare che non venga sabotato a qualunque chilometro del suo percorso. Perché gli americani restano lì, allora?
Solo per non doversi dichiarare sconfitti.
Pura ostinazione dell'idiota guerriero da tavolino, che non vuole darla vinta ai suoi critici interni ed esterni, perché altrimenti «Al Qaeda canterebbe vittoria».
Resteranno.
Fino all'usura completa.
Fino al giorno in cui se ne fuggiranno prendendo d'assalto gli elicotteri fermi sul tetto dell'ambasciata, cacciando via i collaborazionisti con le famiglie… perché viene questo momento. Il momento in cui le guerre che non si possono vincere, si perdono.
Il momento in cui non restano più «opzioni», le azioni possibili sono dettate dal nemico, e imposte dalla necessità.
Perciò via, via subito i «nostri ragazzi» dall'Afghanistan.
Presto sarà una trappola, in cui forse dovranno essere lasciati senza soccorso: a migliaia di chilometri dalla patria e dalle basi, nel centro dell'innavigabile mare di terra asiatico, nel centro di una guerra asiatica dove gli sconfitti sono impalati e sgozzati.
Al di là di ogni possibile aiuto e rinforzo.

Siamo lì in gran parte grazie agli elicotteri americani: che alle brutte fileranno senza lasciarvi salire «i nostri ragazzi».
I nostri politici ciechi pensino almeno all'imbarazzo che costerebbe loro porre le mani su ulteriori bare al tricolore, magari troppo numerose.
Ciampi l'ha fatto per i primi tre o cinque, con la sapienza dell'ipocrita consumato.
Farlo per duecento o trecento, alla fine, stufa.
Nelle guerre vere, la prima mondiale, i morti furono 600 mila; nella seconda, 250 mila.
Non c'erano spazi per l'ipocrisia del «cordoglio ufficiale».
Meglio tagliarla lì subito, come sicuramente farà D'Alema.
Anche perché qualcuno potrebbe notare che quelle mani che si posano sul tricolore, sul legno che contiene i corpi di poveri giovani meridionali diventati militari per «lavoro», e perché le missioni rendono benino, certo più degli 800 euro mensili che aspettano la gioventù italiana restante, quelle mani, sono di miliardari.
Miliardari di Stato.

Ciampi, con quelle mani, ha percepito per sette anni qualcosa di molto vicino ai 9 miliardi di lire l'anno.
La presidenza della repubblica è piena di miliardari di Stato: Gaetano Gifuni il segretario, con i suoi 2 miliardi annui, guida la fila, ma gli stipendi medi dei funzionari corrono tutti sul mezzo milione di euro.
L'insieme del Quirinale, con 5 mila dipendenti, costa a noi contribuenti sui 300 miliardi di lire annui, quanto la gestione di una media città, come Padova.
D'Alema, se toccherà a lui, alla fine del mandato potrà permettersi un panfilo da regata migliore di quello che ha oggi, che costa un modesto milioncino di euro.
Al mantenimento dovrebbero bastare gli emolumenti della carica di senatore a vita che lo attende. Altri mezzi miliardi.
E D'Alema è giovane, ha davanti una vita da velista di lusso.
Miliardari di Stato: gl
i unici che ormai esistano in un'Italia che impoverisce e degrada.

Almeno in quelle condizioni di sicurezza, perché Tronchetti Provera è pieno di debiti e può fallire, i furbetti del quartierino finiscono in galera dopo un breve volo nell'arroganza, il volo del tacchino. e i migliori manager privati, per guadagnare 2 miliardi l'anno come Gifuni (me ce n'è qualcuno?) devono almeno portare risultati concreti, esibire profitti, lavorare giorno e notte sotto il rischio del licenziamento immediato, assumersi responsabilità e rischi.
Gifuni e tutti gli altri, no.
Nessun rischio.
Nessuna fatica.
Nessuna responsabilità.
Nessun obbligo di rispondere delle proprie azioni: né alla magistratura né ai cittadini (non sono eletti).
Sapere le cifre dei loro guadagni è impossibile, perché sono «riservate»: fatto inaudito, l'ammontare di paghe pubbliche miliardarie non è pubblico, e le informazioni vengono rifiutate ai pochi giornalisti che le chiedono.
Quelle mani danarosissime, è bene che non si mostrino troppo ad accarezzare le bare tricolori di ragazzi che sono andati militari perché altrimenti sarebbero disoccupati, e considerano un buono stipendio i 2-3 mila euro che ricevono quando sono in missione, e credono «una fortuna» la paga per farsi ammazzare.

Magari, se fossero patriottiche, quelle mani potrebbero decurtarsi da sole gli stipendi, per dare un segnale all'Italia impoverita che non ci sono privilegiati, che le super-tasse che imporranno con quelle mani ricadono su tutti.
Dimezzarsi gli stipendi, per loro, non significa la fame.
Gifuni, con un miliardo l'anno, riuscirà a campare.
Un capo dello Stato con 4 miliardi l'anno dovrebbe farcela, visto che è spesato di tutto.
Ma l'amore della nazione, nei miliardari di Stato, non arriva a questo punto.
Ciampi ama la patria e fa bene, visto che dalla patria ha ricevuto tanto.
Tutti costoro, se ricevessero meno, già sentirebbero di amarla meno.

Maurizio Blondet
Fonte: www.effedieffe.com
Link: http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1133&parametro=politica
7.05.09


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Truman
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Due ottimi pezzi che dicono qualche verità alle persone stufe delle veline mediatiche, dei programmi scritti dai potenti e dai loro servi.

Però viene messa molta carne al fuoco e alcuni dettagli non mi tornano. Dice Viola:
"La Costituzione italiana non dà molti poteri al Presidente della Repubblica".
Non mi risulta. Il presidente in Italia ha poteri notevoli e di tali poteri non deve rendere conto a nessuno. Lo dimostrò Cossiga qualche anno fa, dopo tanti presidenti notai, sempre pronti a firmare quello che gli passavano i vari parlamenti.

"Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione."


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