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Quegli economisti stupidi e arroganti


Tao
 Tao
Illustrious Member
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La momentanea - ribadiamolo, momentanea - soluzione della crisi greca è un incredibile sbaglio ed anche una sinistra avvisaglia di quello che tutti, e non solo i cittadini greci, rischiano nel prossimo futuro. Gli aiuti sono arrivati ma la medicina imposta da FMI e Unione Europea è la classica cura che ammazza il paziente.

Salari e pensioni tagliate, libertà di licenziamento: eravamo stati facili profeti quando avevamo detto che i soldi sarebbero arrivati solo in cambio di tagli drastici alla spesa sociale. Spesa sociale che non è il problema dell'economia greca. L'evasione fiscale, l'economia in nero, i privilegi dei soliti noti sono la piaga che affligge Atene. Ed invece, a pagare sono sempre le fascie più deboli. Una scelta assurda che dimostra soltanto la stupidità e l'arroganza degli economisti-burocrati e delle cancellerie estere, moderni negrieri, che vogliono lacrime e sangue in cambio dell'oro.

Stupidità perché già sappiamo che tali misure sono non solo ingiuste e socialmente inaccettabili ma anche controproducenti. Vogliamo ricordarci cosa successe in Asia nel 1997? Parametri macroeconomici disastrosi attirarono le attenzioni dei grandi speculatori internazionali, pronti a muovere guerra agli stati per guadagnare dal loro fallimento. La crisi nata in Thailandia si propagò velocemente al resto del sud-est Asiatico e alla Corea, il famigerato contagio.
Una situazione drammaticamente simile a quella greca che rischia di travolgere il resto dell'Europa meditteranea. In risposta alla crisi valutaria che colpì le Tigri Asiatiche, gli economisti del Fondo Monetario si precipitarono ad imporre tagli drastici ai budget dei governi coinvolti. Il risultato?

La crisi valutaria degenerò travolgendo l'economia reale, uno sbaglio ammesso dallo stesso Fondo qualche anno dopo. Il monetarismo ideologico era stato smentito dalla durezza dei fatti, le crisi non si risolvono semplicemente con il taglio dei bilanci.
E questo ci porta dalla stupidità all'arroganza. I governi di Washington e Londra, baluardi del neo-liberismo, ne avevano accettato il fallimento non più tardi di due anni fa. La risposta alla crisi della finanza internazionale era stata all'insegna della riscoperta di Keynes. Nazionalizzazioni, intervento pubblico, immissione di liquidità, riduzione delle tasse per favorire il consumo. Interventi discutibili nelle modalità - soldi dei contribuenti per salvare i capitalisti - ma cristallini nella logica: il libero mercato è una chimera che crea disastri cui solo gli stati possono porre rimedio. Questo evidentemente vale solo per il centro dell'impero.
Infatti, quello che si sta imponendo alla Grecia in questi giorni è l'esatto opposto. Occorre capirsi. Nessuno dubita che i conti greci vadano messi a posto e che il governo di Atene debba pagare per i propri sbagli. Il problema è che per ripagare il debito e ridurre la spirale deficit/pil l'economia deve crescere. Gli interventi richiesti da Washington, Berlino e Bruxells vanno in direzione opposta.Tagliare i salari, comprimere il consumo, ridurre le garanzie sociali sono ricette che invariabilmente porteranno alla depressione economica. Questo per quanto riguarda la sostanza del problema.

Il metodo, in questo caso, non è meno importante. Il ragionamento di Unione Europea e Fondo Monetario è molto semplice: vi diamo i soldi, ma vogliamo garanzie che questi prestiti non vengano usati una-tantum senza cambiare nulla. In linea di principio, il ragionamento non fa una piega. Una domanda però sorge spontanea. Come mai che quando si tratta di salvare gli stati indebitati vengono imposte condizioni capestro mentre quando i soldi vengono dati alle banche non si richiede nulla in cambio? Gli istituti finanziari sono stati tirati fuori dall'abisso in cui si erano cacciati da soli ma nessun cambiamento strutturale è stato richiesto.

Non solo i manager continuano a pagarsi superbonus con i soldi dei cittadini, pecca che rivela più che altro la straffottenza di certi personaggi, ma soprattutto la struttura istituzionale delle banche non è cambiata. Le rating agencies, complici delle truffe finanziarie, sono rimaste intatte. Regole per ridurre il potere degli hedge funds non sono state mai scritte. E proprio queste istituzioni sono le protagoniste della crisi greca.

Quale è la logica del due pesi e due misure, dunque? E' la stessa logica degli ultimi trent'anni di neoliberismo in cui le nostre democrazie si sono via via ristrette mentre il mercato è diventato un'istituzione intoccabile. La visione della democrazia è diventata quella sì della libertà di voto ma al contempo dell'incapacità di influire sulle scelte concrete del vivere sociale. La politica monetaria è decisa nelle stanze delle banche centrali dove vengono ascoltate le voci dei grandi finanzieri ma non quelle dei partiti. Quanto alle politiche fiscali sono almeno due decadi che ci sentiamo ripetere il solito mantra: rigore, rigore, rigore. Il punto sarebbe chiarire rigore per chi?

Non risulta che le politiche di austerità iniziate negli anni Novanta abbiano portato ad un riassestamento dei conti pubblici, mentre la forbice tra ricchi e poveri, in Grecia come in Italia, si è spaventosamente ampliata. Ora per la prima volta i classici "programmi di aggiustamento strutturale" di marca FMI sono applicati in Europa, dopo aver fatto danni incalcolabili nei paesi in via di sviluppo. I governi vengono commissariati dalle organizzazioni internazionali. Sull'onda dell'escalation greca e del rischio di contagio, le stesse misure saranno proposte, quando non imposte, agli altri paesi in difficoltà.

Di fronte a questo colpo di coda dei mercati la politica e' di nuovo in ritirata, troppo debole per contrastare le banche e gli speculatori. Fare politica, a sinistra, vuol dire reintrodurre il lavoro come soggetto prioritario; vuol dire lottare per una maggiore democrazia contro il potere delle oligarchie finanziarie e delle burocrazie svincolate da ogni tipo di controllo popolare. Vuol dire rifondare l'Europa non sui parametri di Maastricht ma sulla volontà dei suoi cittadini.

Costruire una politica economica democratica in cui i truffatori - come gli ex governanti greci e come i banchieri prezzolati - vengano puniti ed in cui a pagare per gli errori e le malversazioni non siano lavoratori e pensionati ma quelli che di queste malversazioni hanno approfittato indecorsamente. Rilanciare la democrazia, a livello europeo ancor più che a livello nazionale, è l'unico strumento per fermare il delirio dei mercati che falliscono, succhiano il sangue dei cittadini per sopravvivere e poi bastonano chi li ha salvati proprio perché li ha salvati.

Nicola Melloni
Fonte: www.liberazione.it
3/05/2010


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