Radici Cognitive e ...
 
Notifiche
Cancella tutti

Radici Cognitive e Anelli del Potere


GioCo
Noble Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 2218
Topic starter  

L'altra notte ho avuto una visita in Sogno. L'incontro è stato discretamente devastante per me, ma è servito a chiarire alcuni punti che mi erano oscuri circa la nostra relazione con l'Ignoto.
Lo spunto per parlarne è il romanzo (reso celebre dalla pellicola) di Tolkien. Sauron è un potente oscuro Signore delle Tenebre, ma per Governare usa un anello. Perché affidare i propri poteri divini a un oggetto che per di più ha come primo punto forte il fascino (leggi "induzione al desiderio") d'essere posseduto?

L'oggetto in sé non è una manifestazione di potere, ma una delega che implicitamente indebolisce la sorgente. Infatti Sauron accetta di dividere il suo spirito infondendo parte del suo potere nell'anello e con ciò ridurre il suo potere. Vista così l'operazione appare quindi divinamente sciocca. Ma Tolkien non era stupido e sapeva trattare bene il simbolismo. Quindi creare l'anello ha un significato simbolico-narrativo, simbolismo che fornisce alla fiaba una dimensione esotica e misteriosa: il vero protagonista della storia è un oggetto senziente anche se malvagio.

Le conseguenze del Sogno mi hanno fatto comprendere come l'anello stesso non sia altro che un cortocircuito cognitivo. Il principio sottostante che lo regge è il rifiuto. Rifiuto di che? No, non un rifiuto mirato, ma un atteggiamento generico volto a rigettare per creare contesti di solo rifiuto. In altre parole il rifiuto ha come fine ultimo la generazione di pattume da cui si generano contesti che sono pedissequamente da rifiutare in quanto non possono che alimentare altro pattume.
Nel mondo materiale il consumismo è una perfetta realizzazione pratica del concetto astratto e mentale di rifiuto. Produciamo rifiuti per produrre rifiuti che hanno il solo fine ultimo di indurci a rifiutare l'intera nostra esistenza, la vita del pianeta e l'ambiente dove viviamo.

Ma il rifiuto non è materiale perché abbraccia una vastità di significati: noi rifiutiamo il corpo, le idee, la spiritualità, le emozioni, i comportamenti sociali, etc. etc.
La nostra diffusa e pervasiva necessità di rifiutare ci porta all'ossessione per la pulizia. Solo infatti vivendo tra i rifiuti diventa obbligatorio coltivare una solida ossessione per l'igene. Anche se il posto più pericoloso, ricco cioè di veleni e malattie incurabili, diventa proprio quello asettico, come l'ospedale e anche se i due luoghi più inquinati da germi e batteri del pianeta sono la bocca e la vagina, cioè dove la vita inizia e dove (generalmente) finisce. Insomma anche se l'evidenza suggerisce che l'igene non è per forza un bene universale, l'ossessione è tale che solo accennarlo accende dibattiti infiniti sull'opportunita o meno di lavare le mani, in un acribazia circense di concetti che ci fa solo perdere tempo.

Accettare (cioè operare in modo opposto al rifiuto) d'altronde ha l'odore sospetto del concedere, o peggio del cedere. Se ci si trova dentro un universo fatto di pattume (nel senso che i significati sono dati dal rifiuto) è evidente che qualunque cedimento è un inquinamento distruttivo che ci penetra la mente e ci disadatta o disabilita, come è evidente che rovistare tra i rifiuti per recilcare "il buono" è un accorta opera di ingegneria che ci obbliga alla scelta. Dall'acqua al cibo, dal partner allo studio, dallo svago al riposo, tutto diventa un attenta ricerca lunga una vita che occorre per evitare di cedere, cioè per perpetuare il rifiuto. Tale ricerca ha due effetti: cumula veleni e costruisce il nostro fallimento. In altre parole, quando non avremo più modo di rifiutare, moriremo. Cioè dovremo accettare il fallimento del rifiuto che a questo punto diventa la morte in sé: l'unico atto inevitabile che non si può sconfiggere. Per ora.
Se mai dovessimo sconfiggerla, significherebbe aver conquistato l'opportunità di produrre rifiuto all'infinito? Ovvio, senza cambiare l'idea che abbiamo del mondo, questo corrisponderebbe a vivere per rifiutare, cioè per considerare la morte ripugnante.

Quindi il rifiuto costruisce un percorso che da una situazione ideale di partenza adattata e abile "migliore" (nascita) vincola l'individuo alla perdita continua obbligatoria, al degrado, alla disgregazione, proprio come se fossimo anche noi nel nostro complesso stati "gettati via" tra i rifiuti.
Se però iniziamo a capire i perchè del simbolo dell'anello, forse potremmo scorgere una via d'uscita anche se devo dire che qui il mio uso del simbolismo rispetto Tolkien inizia a divergere in modo deciso. Frodo e Gandalf nel mio modo di vedere le cose non sono meglio di Sauron o Saruman, sono vittime identicamente e inestricabilmente intrecciate nei destini dell'Unico Anello. Un po' meglio Tom Bombadil anche se furbamente l'autore non ci dice molto più di quello che possono un paio di pesie e avvolge il personaggio tanto nel mistero da obbligarci a pensare che sia una comparsa inutile.

Sembra infatti che Tom sia l'unico ad avere un potere sufficiente a fermare Sauron, tuttavia nonostante non sia per nulla un sostenitore della Tenebra ma l'opposto, non contrasta mai l'azione della Tenebra nemmeno quando ne viene direttamente interessato (ad esempio quando gli schiavi dell'anello attraversano i suoi territori). D'altro canto Sauron pare proprio ignorarlo ed è molto strano dato che (giustamente) questo Signore della Tenebra sembra ossessionato da qualunque potere capace di constrastarlo, come quello degli elfi: parrebbe che ci sia quasi un tacito accordo tra lui e Tom, più ferreo di quello che Sauron stesso è capace di stabilire con il suo anello. Cioè pare più affidabile per lui Tom che il suo stesso potere.

Nel mio Sogno ho capito che noi seguiamo due percorsi cognitivi di crescita. Possiamo distinguerli per comodità verbalmente come "l'ingiuzione del perché" e "l'ingiunzione del come". Il perchè è per noi un tipico periodo infantile che poi evolve verso il come. All'inizio chiediamo a coloro che si prendono cura della nostra età infantile, di rispondere ai nostri perchè: "perchè esistono le nuvole?", "perché bisogna lavorare?" e via così. Piano piano questi perchè diventano come: "come arrivo a casa dal mio amico?", "come conquisto una ragazza?" e via così. Chiaramene i nostri "come" sono percepiti "più adulti" e chiaramente ci sono dei "come" convertibili in "perchè", altri invece che non sono convertibili. Rimane tuttavia che l'esigenza di chiedere "perchè" diminuisce fino quasi a scomparire in favore dei "come" mano a mano che invecchiamo.

Epperò nel sogno era chiarissimo che questo corrisponde esattamente al processo di destrutturazione cognitiva proprio del rifiuto. Cerchiamo di capire "perchè" (appunto). Noi siamo sempre (anche se non approfondirò qui "perchè") perfettamente coscienti dei nostri "come", come se fossero già disponibili in noi prima (in termini di istanti, cioè frazioni di secondo) di formulare qualsivoglia quesito. Questa "precognizione" (misurata anche in laboratorio) è una specie di "anticipo" esterno rispetto alla dimensione cognitiva umana, manifesta come se, l'uomo fosse intrisecamente incompetente circa i suoi "come", oppure come se, l'ingiuzione del come fosse comunque risolta e noi operassimo un rifiuto della nostra precognizione del "come", sostituendola a un altra che è un "aggiunta", reciclata dal pattume con grande sforzo e in tempi successivi. L'abilità di sostituire i nostri "come" nativi corrisponde esattamente alla destrutturazione cognitiva che ci vincola al rifiuto. Se però noi siamo intrisecamente incompetenti circa i nostri "come", siamo nativamente competenti circa i nostri "perché", ma a un certo punto perdiamo la fiducia in questa nostra competenza. Abbandoniamo la ricerca della sapienza, sapendoci ignoranti, per abbracciare la sapienza del rifiuto, cioè la sapienza ignorante.


Citazione
Condividi: