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Raimo - Fiat. Il padre ingannevole che vende il Bene


Tao
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Piccolo quiz di inizio anno: di chi sono queste parole? «Giovani, combattete sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile, che per alcuni si risolve semplicemente nella libertà di morire di fame. Libertà e giustizia sociale sono un binomio inscindibile. Lottate con fermezza, giovani che mi ascoltate, e lo dico senza presunzione, ma come un compagno di strada, tanto mi sta a cuore la vostra sorte. Io starò sempre al vostro fianco». È il discorso di Capodanno del Presidente della Repubblica. Del 1983, era Pertini. Fa impressione, eh? Ma perché citarlo? Nelle ultime settimane su queste pagine si è molto parlato del declino di un modello paterno che rappresentava la Legge, sostituito da un modello che invece incita al godimento compulsivo. Il rapporto tra padri e figli dovrebbe essere un tema politico forte in qualsiasi democrazia sana, e in un paese con un tasso di disoccupazione giovanile al 28,9% la questione generazionale dovrebbe porsi addirittura come un'urgenza. Invece di fatto questo non accade, non c'è vero conflitto tra giovani e adulti, e anzi la stessa area semantica del "conflitto" si vuole espulsa dal discorso politico. Se Pertini nel 1983 usava, come parole pubbliche da destinare alle famiglie che si apprestavano al cenone di fine anno, lotta, combattere, giustizia sociale, oggi questa stessa terminologia è praticamente tabù - al suo posto troviamo confronto, condivisione, opportunità. Un sintomo di maquillage linguistico che non è semplicemente una retorica di facciata, ma quello che si potrebbe definire un nuovo discorso paterno.

In questo senso la nuova figura di padre che sembra stagliarsi nel contesto pubblico se non è quella di un padre rappresentante della Legge, forse non è neanche però quella del potere pappone (come l'ha provato a definire Wu Ming), ma, proverei a dire, una figura del padre ingannevole.

Il padre ingannevole è quello che potete vedere all'opera in due spot Fiat del 2010. Nel primo, quello della fantomatica Fabbrica Italia, c'è un padre presuntamente amorevole ripreso di spalle che tiene in braccio bambino neonato per farlo addormentare. Ma invece di una ninnananna lo culla sussurrandogli con tono da fiaba: «Va bene, dato che non vuoi dormire, adesso ti racconto di questo piano industriale... In cinque anni raddoppia la produzione di veicoli in Italia, raddoppiano le possibilità, e mi chiedo io cosa posso fare? Per esempio posso comprare un'auto italiana. Il colore lo scegli tu magari...». Nell'altro spot si vede uno dei bambini-icona italiani per eccellenza (Totò Cascio di Nuovo cinema paradiso) assistere alla proiezione di un montaggio di immagini e parole: le immagini sono un pot-pourri di vecchie foto di Mirafiori, Alberto Sordi, Coppi e Bartali, Br, Falcone e Borsellino... Le parole di una calda voce paterna dicono: «La vita è un insieme di luoghi che scrivono il tempo. Il nostro tempo. Noi cresciamo a maturiamo collezionando queste esperienze. Sono queste che poi vanno a definirci. Alcune sono più importanti di altre perché formano il nostro carattere. C'insegnano la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. La differenza tra il bene e il male. (...) E allora appartengono a tutti noi, e a nessuno. La nuova Fiat appartiene a tutti noi».

Ispirandosi esplicitamente a Steve Jobs e ai suoi girocollo nerofumo, l'ambizione esplicita di Marchionne è quella di trasformare le automobili in oggetti con la stessa allure di un i-pod, prodotti il cui semplice possesso ci dia l'illusione di pensare differente. Pensare differente vuol dire che il messaggio di queste due pubblicità è che comprare una macchina Fiat non è solo una scelta di consumo, non solo risponde desideri e bisogni, ma è una scelta etica, significa fare del bene, stare dalla parte giusta. Comprare una 500 o fidarsi del piano di Fabbrica Italia vuol dire implicitamente avere una coscienza civile che ci fa avere a cuore la storia e il destino del nostro paese.

Le nuove forme di retorica del capitale si muovono proprio in questo senso. Costruendosi come leggi simboliche, si autoaffermano come buone pratiche. Anzi fanno qualcosa in più: ci vendono il Bene. Il gadget che ci regalano insieme al Bene è il prodotto, che a quel punto può essere l'ultimo modello Fiat, un panino di McDonald's o un caffè Starbucks. Se degustiamo caffè equo e solidale sulle poltroncine comode di Starbucks stiamo crescendo come persone e stiamo occupandoci del futuro della Terra, se compriamo un'auto Fiat stiamo facendo il bene dei nostri figli.
Ma il padre ingannevole ha un obiettivo ulteriore. Non gli basta vendere il Bene; vuole al contempo evitare che sia lui a imporci questa sua etica. Vuole garantirci anche la Libertà di scelta. Ma per fare questo, deve togliersi la giacca e la cravatta (quella del padre autorità) e indossare un suasivo maglioncino blu (la legge simbolica del Super-io): sarebbe certo più difficile credere che qualcuno vestito in modo troppo formale si rivolga a noi per garantirci proprio la Libertà.

Ma se uno ci pensa, la vera libertà che i padri consentono in genere ai figli è quella di un passaggio di consegne. C'è un gesto che forse più di altri esprime questo passaggio: è quando un padre insegna al figlio a farsi il nodo alla cravatta. Tra i tanti piccoli riti d'iniziazione all'età adulta, il maglioncino del padre ingannevole oblitera proprio questo rito. Senza passaggi di consegna e senza conflitto evidente, il padre ingannevole non rinuncerà mai a parte del suo potere, non riconoscerà mai nel figlio, nell'interlocutore, nella controparte sociale una vera alterità. Bensì, pieno del suo paternalismo ingannevole, vorrà anzi che siamo noi a scegliere per quello che lui pensa sia il Bene. Non gli basta, per dire, che le persone obtorto collo accettino una ristrutturazione industriale che obbliga a straordinari, comprime le pause di lavoro, vanifica decenni di conquiste di diritti, ma pretende che si sia contenti di questa novità.

In realtà invece - a esaminarla bene da vicino - la scelta che viene offerta è una finta scelta. È quello che in psicologia si chiama ottimismo negazionista. Che vuol dire? Mettiamo voi chiediate a qualcuno di uscire per un appuntamento, e quella persona vi dica «no, non mi va». Se siete un ottimista negazionista, voi replicherete: «Va bene, ma a parte no, ti va di uscire? Secondo me ti va». La strategia di Marchionne a Mirafiori è precisamente questa. È Secondo me ti va. In questi giorni è in discussione la sua politica industriale, ma al tempo stesso pare praticamente diventato impossibile metterla in discussione. Così, nei prossimi giorni il referendum degli operai Fiat rischia di essere nient'altro che una scelta a double-bind, ossia un'opzione in cui se vincono i sì vince Marchionne e la sua "modernizzazione"; ma se vincono i no vince ugualmente - da un punto di vista morale e simbolico - Marchionne e la sua "modernizzazione". E il sindacato vincente o perdente in termini percentuali verrebbe tacciato di essere la forza conservatrice che tiene in ginocchio il paese. Di fronte a che tipo di scelta siamo davanti? Un doppio vicolo cieco. Per fare un esempio violento ma chiaro, prendete una madre di due bambini a cui viene chiesto di scegliere di risparmiare la vita a un figlio e di sacrificarne un altro, altrimenti verranno uccisi entrambi: come può rispondere a questo ricatto violento? Soltanto sottraendosi. Qualunque figlio sceglierà, vorrà dire aver introiettato la violenza di chi le pone quella scelta. Come si può uscire da questo double-bind? Mettendo in discussione non tanto il nuovo assetto industriale, ma proprio questa modalità di confronto tra le parti sociali. Ai venditori di Bene e di Libertà di scelta, ai padri ingannevoli in maglioncino che rimuovono il conflitto, bisogna contrapporre l'eleganza di una non-scelta. Avendo a questo punto imparato a farlo da soli, il nodo alla cravatta.

Christian Raimo
Fonte: www.ilmanifesto.it
13.01.2011


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vic
 vic
Illustrious Member
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Visto che Raimo mette l'accento sulla psicologia, non vorrei che passasse il messaggio subliminale "Marchionne come Steve Jobs".

Non c'e' paragone alcuno.
Steve Job il ramo industriale in cui si trova ha contribuito a crearlo, non solo ma ad innovarlo a piu' e piu' riprese, immettendo a getto continuo nei suoi prodotti novita' sconosciute al mercato.
Marchonne e' lontano anni luce da questa mentalita' innovativa.
Per di piu' lui personalmente di auto non ne ha mai costruito nemmeno mezza, nemmeno la ruota di scorta.
Steve Jobs e' stato un imprenditore innovativo sia con la Apple che con la Next che con la Pixar.

Pf. Raimo, non mettere mai piu' Jobs e Marchonne nello stesso paniere. La psicologia potrebbe giocare brutti scherzi "marchionneschi".


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