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Secchiate d'acqua sugli ottimisti della crisi ...


radisol
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Sono perfettamente d’accordo con gli analisti che sostenevano, prima che si avviasse la fase delle comunicazioni al mercato dei risultati conseguiti dalle società quotate statunitensi nel periodo che va da marzo a giugno, che i risultati certificati conseguiti dalle corporations di ogni ordine e grado nel secondo trimestre avrebbero costituito il vero banco di prova per le varie teorie ottimistiche che hanno contagiato buona parte di quell’establishment a stelle e strisce che vuole a tutti i costi credere che la ripresa possa avvenire ben prima di quanto previsto dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale o dall’OCSE.

Non avendo alcuna intenzione di tediare i miei lettori con dettagli statistici, mi limiterò a dire che non solo le società che presentano risultati inferiori a quelli dello stesso periodo dell’anno di disgrazia 2008 continuano a essere in larghissima prevalenza, ma anche che non si registrano variazioni nel preponderante peso percentuale di quelle che si ostinano a segnalare una flessione dei profitti se non delle vere e proprie perdite rispetto a quanto segnalato nel trimestre precedente.

L’assenza di una ripresa dei profitti è, peraltro, particolarmente grave ove si consideri che gli stessi, almeno in ultima analisi, non rappresentano che una differenza tra ricavi e costi, il che, alla luce dei feroci tagli quasi universalmente operati sia agli organici che ai costi di altra natura, si sarebbe dovuto tradurre in un balzo in avanti degli utili, balzo mancato per la semplice ragione che la domanda ha continuato a languire come se non di più di quanto già facesse in precedenza, un fenomeno ben evidenziato dai risultati resi noti ieri dalla Caterpillar, un calo degli utili del 66 per cento a fronte del taglio di poco meno di un quarto dell’organico rispetto alla consistenza al 31 dicembre dello scorso anno.

Ma l’evento clou della giornata di ieri era certamente rappresentato dall’intervento del presidente del sistema della riserva federale, un intervento che si inseriva nell’aspro dibattito in corso nei due rami del Congresso sulla proposta di Obama di conferire maggiori poteri alla Fed, pur attribuendo a una costituenda entità la responsabilità di tutelare la clientela rispetto ai comportamenti delle diverse entità operanti nel sistema finanziario statunitense.

Per la seconda volta in meno di un mese, Bernspan ha riassunto le sembianze di Ben Bernanke e ha gettato secchiate di acqua gelata sugli ardori degli ottimisti a oltranza, chiarendo che il tasso ufficiale di disoccupazione potrebbe superare la soglia psicologica del 10 per cento entro l’anno in corso per mantenersi a livelli molto elevati anche nel corso del 2010, una previsione che mal si concilia con la conferma della previsione che vede qualche esile segnale di ripresa nel secondo trimestre dell’anno in corso, una contraddizione amplificata dalla ribadita volontà di mantenere prossimi allo zero i tassi sui Fed Funds ancora a lungo.

Ma la parte dell’intervento del presidente della Fed che ha determinato una brusca inversione di rotta dei listini statunitensi è stata quella riservata allo stato di salute delle banche e delle altre entità finanziarie, in quanto Bernspan non se l’è proprio sentita di escludere che qualche banca importante possa essere ancora a rischio, una dichiarazione che non ha certo rasserenato l’animo degli investitori già scossi dal comunicato ufficiale di ieri di CIT Company che rendeva noto che la possibilità che la holding bancaria faccia ricorso alla protezione offerta dalla legge fallimentare non può affatto essere esclusa, nonostante il raggiungimento di un’importante intesa con i suoi maggiori creditori, un’intesa che prevedeva nuovi finanziamenti per 3 miliardi di dollari !

Marco Sarli 22.7.09

http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/07/bernspan-si-trasforma-ancora-in.html


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radisol
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venerdì 24 luglio 2009

Mentre la tempesta perfetta si appresta a compiere, tra poco più di due settimane, il suo secondo anno di vita (anche se non hanno torto quanti lo considerano già compiuto, facendola risalire alla chiusura dei due hedge funds facenti capo a Bear Stearns), gli analisti, gli economisti e gli investitori continuano a interrogarsi sul vero stato di salute delle principali entità protagoniste del mercato finanziario globale, non fosse altro che le davvero astronomiche cifre sugli impegni assunti dalle autorità monetarie statunitensi comunicate di recente al Congresso dall’autorità istituita per sorvegliare l’utilizzo del TARP risultano oramai multiple del PIL a stelle e strisce, una dimensione realmente impressionante anche se nessuno ipotizza che tali impegni siano destinati a tradursi in esborsi effettivi, anche perché gli stessi graverebbero per 80 mila dollari su ogni cittadino americano, infanti e ottuagenari compresi.

D’altra parte, il fatto che quell’immenso volume di impegni presi dal Tesoro USA e dal sistema della riserva federale è pressoché integralmente collateralizzato fa capire che la montagna dei titoli della finanza più o meno strutturata posti al di sopra e al di sotto della linea di bilancio delle maggiori banche statunitensi è parcheggiata nelle enormi discariche a cielo aperto gestite dalla Fed di New York e da altre importanti sue consorelle basate altrove, un parcheggio temporaneo che non ha eliminato il rischio per le banche altrettanto temporaneamente salvate dall’attività incessante delle donne e degli uomini alle dipendenze di Bernspan.

Come ho avuto modo di scrivere in questi giorni, chi si aspettava un segnale chiarificatore dai bilanci delle maggiori banche statunitensi, per la maggior parte di quelle europee occorrerà pazientare ancora un po’, è rimasto certamente deluso, non solo e non tanto per i risultati netti, quanto perché non si è affatto arrestata la pioggia di svalutazioni, accantonamenti e messe e perdita relativi alla parte più strettamente creditizia dell’attività bancaria, ma anche perché a nessuno è sfuggita la ripresa alla grande delle attività più rischiose, attività che hanno portato certamente buoni utili, ma che hanno determinato un’impennata dei prezzi delle materie prime energetiche e non che rischia di congelare quei germogli di ripresa di cui tanto si parla negli ambienti governativi mentre sono ancora pressoché invisibili agli occhi dei comuni mortali.

Se questa è la situazione al di là dell’Oceano Atlantico, non si può certo dire che le cose siano più rosee sulla sponda europea, Isole britanniche ovviamente comprese, non fosse altro che perché gli impegni dei singoli paesi membri dell’Unione europea sono ancora molto più modesti di quelli messi in campo negli Stati Uniti d’America, mentre non sembra affatto che i rischi siano di minore entità, né che il leveraged ratio delle principali banche europee sia oggi a livelli più contenuti di quanto fosse prima della tempesta perfetta.

Per chi fosse interessato a un’analisi approfondita della situazione europea, sarebbe utile leggere un rapporto pubblicato dal sito Minianville il 20 di questo mese con il titolo European Banks on the Brink, un testo redatto da John Mauldin e corredato da un certo numero di tabelle estremamente interessanti che non è certamente adatto ai cuori deboli, cosa della quale è molto consapevole lo stesso autore che consiglia ai suoi lettori di bere una ‘bevanda per adulti’ prima di sottoporsi alla lettura del testo e delle tabelle, in particolare di quelle che riportano gli attuali valori del rapporto tra esposizione delle banche e patrimonio delle stesse o quelle relative al rapporto tra esposizione bancaria più titoli di Stato e prodotto interno lordo dei vari paesi !

Marco Sarli

http://diariodellacrisi.blogspot.com/2009/07/che-punto-e-la-tempesta-perfetta.html


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