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The Walking Dead è solo una serie sugli zombie?


Tao
 Tao
Illustrious Member
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La metafora della difficoltà e dei tormenti dei cristiani celata in una insospettabile confezione pop

Una delle serie tv più pop – inteso esattamente come abbreviativo di popolare – è senza ombra di dubbio The Walking Dead. Che lungi dall’essere considerata una serie tv “capolavoro”, è nata e si è sviluppata invece proprio come un lungo divertissment – inteso esattamente come qualcosa che vuole piacere al pubblico – a metà strada tra il survivor e lo zombie-horror. Nessuna velleità culturale né tantomeno educativa, insomma, a vederla con occhi poco attenti. Eppure, è già capitato di notarlo per altre serie tv, è spesso nell’insospettabile confezione pop che si nascondono messaggi inattesi. E in poche scene e con un paio di dialoghi si spiegano con efficacia problemi internazionali, crisi globali, difficili contesti come nemmeno a leggersi un approfondimento del New York Times.

Prendete una puntata della sesta serie, appena andata in onda su Fox. Sembra nulla, invece butta lì un’idea parecchio attuale sul ruolo della religione nella società. Nella cittadina di Alexandria, appena liberata dagli zombie, lo spazio è poco. Ma succede che alcuni cittadini vorrebbero usare un edificio per farci una chiesa. Non sarebbe meglio farci altro? Ecco centrato, senza parere, un tema di stretta attualità, in un mondo in cui tanta gente le chiese preferisce abbatterle: c’è spazio per la fede? E solo per una? O per quante?

Ma andiamo con ordine. Ideata dal regista Frank Darabont e prodotta dalla Amc, la serie ha cambiato tre showrunner fino a oggi. La trama però è sempre la stessa, basata sull’omonima serie a fumetti di Robert Kirkman: la vita in uno scenario post apocalittico in cui i morti mangiano i vivi. Ed è perfino troppo facile scomodare "Il signore delle mosche" di William Golding, perché a parte alcuni inciampi e cadute di stile dovuti alla lunghissima produzione (dura da sei stagioni), The Walking Dead investiga con efficacia la trasformazione della struttura sociale umana, capace di regredire a forme totalmente primitive in caso di necessità. (E forse anche per questo, dentro la cornice pop, la serie piace).

Nel corso delle stagioni, i protagonisti-sopravvissuti dimostrano spesso la loro volontà di mantenere uno stato per così dire umanizzato, per esempio seppellendo i morti-non-ancora-zombie. Un aspetto più spirituale, poi, giunge con l’ingresso nel gruppo di un altro sopravvissuto, un prete in crisi con la fede per aver mandato al macello i suoi fedeli, che poi però espia le sue colpe e ritrova Dio. Ma nella seconda puntata della sesta stagione di cui vi stiamo raccontando, gli sceneggiatori fanno un passo in avanti. Alexandria è la cittadina fortificata e libera dagli zombie dove vive la comunità di sopravvissuti. Il ritorno alla quotidianità, lontana dalla vita di pura sopravvivenza, fa scattare tra gli abitanti un istinto innato: ricreare le condizioni di socialità di prima della crisi. Il dialogo tra lo scienziato e una ragazza del gruppo è illuminante: “Il mercato immobiliare dentro la zona fortificata è insufficiente, e la maggioranza delle persone vorrebbe trasformare l’edificio più grande che abbiamo in una chiesa? Perché non utilizzarlo per un laboratorio?”. La ragazza sorride: “Forse si potrebbe usare a turno, fare le cose in giorni differenti”, lasciando intendere che, comunque, se la maggioranza vuole la chiesa, la chiesa si farà. E’ indicativo che Scott M. Gimple, showrunner della serie tv, abbia scelto come luogo di culto una chiesa cristiana. Di questi tempi, sembra quasi un messaggio politicamente scorretto. Ed è anzi strano che nessuno si sia ancora alzato per indire un boicottaggio nei confronti della serie zombie, colpevole di non aver rispettato i diritti di tutti altri, dei sopravvissuti islamici, scintoisti, neobuddisti, pastafariani.

Del resto, non è la prima volta che qualcuno coglie tra le righe “divertenti” della serie The Walking Dead addirittura un riferimento (una metafora?) alla condizione dei cristiani variamente perseguitati. Da idee un po’ totalitarie o da zombie in carne e ossa. Christian Today ha ripreso qualche giorno fa un articolo di Mikaela Kate, scrittrice e life-coach americana, pubblicato su Charisma news. Nel commento, la Kate dice che il gruppo dei sopravvissuti deve scegliere ogni giorno se combattere l’uno contro l’altro, o combattere insieme contro il nemico comune. Nel loro caso sono gli zombie, ma fuori dalla fiction, per la chiesa, il nemico è il demonio in persona.

Giulia Pompili
Fonte: www.ilfoglio.it
30.10.2015


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Maxim
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a parte ogni altra considerazione io farei fuori il prete della serie , personaggio repellente


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Rasna
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Non so che dire di walking dead ma in generale televisione e cinema sono infarciti di "insegnamenti" più o meno subliminali.
Per esempio, in ncis, famosissimo serial, si parla di terrorismo in un modo che spinge la gente ad identificare terrorista chiunque vada contro le idee dei dominatori. E non è un caso isolato.


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spadaccinonero
Illustrious Member Guest
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@Ras

io la tv la vedo molto, molto poco, ti ringrazio per aver segnalato questo "modo di fare" in tale serie tv

darò un'occhiata per rendermene conto

comunque è risaputo che la tv e il suo ciarpame abbiano scopi "educativi"

io che seguo parecchi anime giapponesi posso dire che un determinato tipo di propaganda è onnipresente, anzi da loro mi sembra persino più accentuato e martellante (forse sono un po più "de coccio" i nipponici, chissà XD )


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Earth
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Post: 383
 

Nessuno si e' lamentato in quanto era inteso come luogo di culto in generale.
Questa storia mi ha colpito poco, probabilmente perche' ho gia' constatato che Dio ce lo portiamo dentro di noi a prescindere, forse proprio il donare una struttura e un luogo preciso porta a dimenticarlo e ci allontana.

Personalmente mi ha piu' colpito nel terzo episodio (fermatevi a leggere se non l' avete ancora visto) la morte di Glenn, avvertito precedentemente da Rick che non tutti hanno le qualita' per farcela, quindi abbandonarli se non riescono a tenere il passo.
Glenn purtroppo da buonista si fa affidamento ad una persona incapace che ha sbagliato piu' volte dalla sua apparizione, tra le altre cose aveva pure cercato di ammazzarlo e Glenn lo ha risparmiato, l' opposto di quello che avrebbe fatto Rick.
Infatti ha pagato l' errore con la vita.


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venezia63jr
Noble Member
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E' lo scenario che prima o poi si presentera' su questo globo.
Miliardi persone che rimangono senza cibo, senza alcuna difesa in balia di se stessi, una fortuna che non verra' sfruttata perche' l'uomo sara' libero quando tutti saranno uguali ed eguali.
Questo scenario portera la gente a richiedere un nuovo superstato perche' l'uomo ha bisogno di ubbidire e servire.


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polm
 polm
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The Walking Dead è solo una serie sugli zombie?

Si.


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Jor-el
Prominent Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 990
 

The Walking Dead è solo una serie sugli zombie?

Si.

Esatto.
Anche per parlare di una serie televisiva bisognerebbe contestualizzare, capire, sapere almeno un paio di cose. The Walking Dead, sviluppo in serial TV di un fumetto di Robert Kirkman, è una storia ambientata in un universo narrativo le cui coordinate furono fissate dal regista americano George A. Romero in due film, Night of The Living Dead (1968) e Dawn of the Dead (1978). Diversamente da altri film e serial sullo stesso tema, il concept di TWD è estremamente rispettoso della continuity che Romero tracciò in quei due primi film, in cui fu creata l'ultima e più moderna iterazione dell'archetipo horror della "Cosa Senza Nome che non vuole morire" (cf Stephen King, "Danse Macabre"). Successivamente Romero realizzò altri 4 film sul tema dei Morti Viventi, esplorando in questi non più solo le reazioni dei sopravvissuti umani ma anche l'evoluzione della "nuova specie". In essi, infatti, gli zombi cominciano a manifestare comportamenti diversi dal semplice aggredire e divorare i viventi, elemento che, invece, TWD e il suo spinoff, Fear The Walking Dead, per ora non hanno mai ancora considerato. Come tutti gli archetipi dell'horror (il Vampiro, il Lupo Mannaro, il Diavolo, la Strega ecc) anche la "Cosa Senza Nome che non vuole morire" è metafora di molte cose contemporaneamente: in Lovecraft, per esempio, della società multietnica americana, in Romero della classe media che tutto divora (rivelatrice è la famosa scena dell'invasione del centro commerciale in Dawn of The Dead), ma anche della guerra, della condizione umana in generale, dell'orrore del futuro che avanza e tutto cancella. Come negli altri archetipi dell'horror, l'elemento religioso-cristiano è presente ed è centrale: "Quando i morti camminano, signori, significa che bisogna smettere di uccidere" , dice il prete in Dawn of The Dead e aggiunge più avanti, citando il versetto di un'Apocalisse apocrifa:"Quando non ci sarà più posto all'Inferno, i morti cammineranno sulla Terra!". Come non potrebbe? Non è forse il messaggio cristiano incentrato sulla vita dopo la morte? E il miracolo più famoso e potente del Cristo non è forse la resurrezione di Lazzaro, il primo zombi (il Vangelo ce lo mostra mentre esce dalla sua tomba barcollando, ancor avvolto nel sudario)? Eccola realizzata, la vita dopo la morte: un'eterna fame che tutto consuma, persino l'Inferno.
In TWD abbiamo, se proprio vogliamo, due classi medie che si affrontano. La classe media in disfacimento (gli zombi) e la classe media che tenta di resistere riaffermando i suoi valori che, però, vengono messi alla prova. Qualche volta questi valori resistono, altre volte no, ma alla fine è sempre no. Ma si tratta solo di una lettura fra le molte possibili. La vera forza della metafora della "Cosa Senza Nome che non vuole morire" sta nella sua dimensione cosmica. La verità fondamentale di TWD viene espressa in una semplice constatazione, quando i protagonisti scoprono che la Morte che Cammina non è soltanto un virus che si trasmette con il morso di un infetto: We all die, and when we die, we walk (Tutti noi moriamo e, quando moriamo, camminiamo). In quel momento tutto è perduto a prescindere, la Morte che Cammina ha già vinto. Ogni tentativo di Rick e del suo gruppo di sopravvissuti di ricostruire un ordine sociale è destinato a fallire (la fattoria, il carcere), come lo è anche ogni tentativo di costruire qualcosa di alternativo (il Governatore, i cannibali). Anche il rifiuto di costruire qualsiasi cosa, il puro nomadismo, non è un'opzione (il destino dell'antisociale Merle e della banda di bikers). Perché gli Walkers non sono gli "altri", non sono i terroristi (come nel pessimo Word War Z di Brad Pitt, che riduce il tutto a una semplice malattia infettiva), siamo noi. L'orrendo mostro che putrido avanza barcollando e digrignando le zanne somiglia senza dubbio al pakistano del negozio sotto casa, forse anche al drogato che ci chiede gli spiccioli lungo il marciapiede, e anche un po' al giovane in coda all'ingresso di una discoteca. Ma prima di tutto somiglia all'enigmatico, spaventoso essere che ci è accanto dal primo giorno in cui abbiamo aperto gli occhi alla luce del mondo, alla misteriosa presenza che vediamo ogni mattina e ogni sera riflessa nello specchio, al cadavere verminoso che, sappiamo tutti, sappiamo bene, abbiamo sempre saputo, ci aspetta ghignando scheletrico alla fine del viaggio.
Sì, è solo una serie sugli zombi. Ed è più che abbastanza.


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