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Tuor: peso dei debiti greci


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Da: www.cdt.ch/commenti-cdt/commento/44093/il-peso-dei-debiti-greci-sull-euro.html

Commento
Il peso dei debiti greci sull'euro

di Alfonso Tuor - 13 maggio 2011

Il nuovo pacchetto di salvataggio della Grecia, cui cominceranno a metter mano lunedì i ministri delle finanze e dell’economia di Eurolandia, è un altro dispendioso cerotto che servirà unicamente a guadagnare un po’ di tempo. Infatti, come abbiamo ripetutamente scritto, Atene non può onorare il proprio debito.

Questa realtà era chiara già un anno fa quando l’UE e il Fondo monetario internazionale stanziarono 110 miliardi di euro per salvare la Grecia. Quel piano di austerità spalmato su tre anni si basava su due ipotesi del tutto irrealistiche. La prima era che Atene potesse ritornare a finanziarsi sul mercato a costi non proibitivi (ossia pagando tassi di interesse nettamente inferiori agli attuali), la seconda è che i tagli delle pensioni, dei salari degli impiegati statali e, più in generale, della spesa pubblica potessero essere assorbiti senza far precipitare l’economia in recessione. Ora tassi di interesse superiori al 15% per le obbligazioni statali greche e il peggioramento dei conti pubblici a causa della contrazione dell’economia hanno riproposto la questione dell’insostenibilità del debito pubblico della Grecia.

Ma oggi come allora il timore degli effetti di una sua ristrutturazione sono destinati a spingere i ministri delle finanze e dell’economia europei a metter mano di nuovo al portamonete stanziando (secondo le stime che circolano a Bruxelles) altri 60 miliardi di euro. È quindi legittimo interrogarsi sui motivi che spingono a questa onerosa scelta, nonostante vi sia la consapevolezza che essa non risolverà i problemi della Grecia.

Il principale motivo è che la ristrutturazione del debito greco (ossia un’unilaterale decisione di decurtare il valore facciale delle obbligazioni statali in circolazione e/o un allungamento delle loro scadenze) avvierebbe, come ha esplicitamente dichiarato un membro del Direttorio della Banca centrale europea, una nuova crisi finanziaria di dimensioni molto probabilmente peggiori di quella provocata dal fallimento della banca di investimento americana Lehman Brothers nell’autunno del 2008.

In primo luogo, la dichiarazione di insolvenza della Grecia farebbe immediatamente impennare il costo da pagare per finanziarsi sul mercato non solo dei Paesi europei «deboli» (ossia di Irlanda, Portogallo e Spagna), costringendoli rapidamente a seguire le orme di Atene, ma anche degli altri Paesi europei (dall’Italia al Belgio fino alla Francia) e molto probabilmente anche di quello di Stati indebitati fino al collo, come Stati Uniti e Gran Bretagna.

Dato che ogni debitore presuppone la presenza di un creditore e dato che la maggior parte dei titoli statali europei sono detenuti dal sistema bancario, le banche risprofonderebbero in una crisi, dalla quale in realtà non sono mai uscite. Alcune, certamente quelle greche (ma molto probabilmente anche altre banche europee) dovrebbero essere nuovamente salvate per evitarne il fallimento e il conseguente effetto domino sull’intero sistema. I mercati finanziari internazionali tornerebbero a fibrillare e ci sarebbe bisogno di nuovi interventi pubblici effettuati da Stati, la cui credibilità è nel frattempo drasticamente diminuita. Per queste ragioni l’Eurogruppo supererà le resistenze di Germania e Finlandia, contrarie a nuovi aiuti alla Grecia, e varerà un piano che – lo ripetiamo – permetterà solo di guadagnare un po’ di tempo.

L’Europa si trova in un vicolo cieco. Si capisce che questi miliardi sono buttati al vento, poiché la Grecia non sarà mai in grado di restituirli. Si sa anche che, contrariamente a quanto è stato ventilato negli ultimi giorni, la Grecia non può uscire dall’euro, poiché questa scelta corrisponderebbe ad un vero e proprio suicidio. Infatti, il valore del debito pubblico, di quello delle imprese e delle famiglie, che è denominato in euro, schizzerebbe con la resurrezione di una dracma destinata a deprezzarsi fortemente nei confronti della moneta unica europea. Inoltre, come ha dichiarato Lorenzo Bini-Smaghi, che siede nel Board della BCE, il sistema bancario greco salterebbe e il Governo non avrebbe (né sarebbe in grado di raccogliere) fondi per pagare pensioni, salari e spesa corrente.
Quindi l’uscita dall’euro di Grecia (e anche di Irlanda e Portogallo) non è una via praticabile.

L’opzione praticabile è l’uscita dei Paesi forti dall’euro. Questa opzione dipende da due fattori. In primo luogo, dalla reazione dell’opinione pubblica tra la quale sta crescendo l’opposizione a questi nuovi stanziamenti a fondo perduto, come hanno dimostrato le ultime elezioni finlandesi vinte da un partito che si oppone decisamente a questa politica. In secondo luogo, dallo stato di avanzamento dell’operazione di trasferire gran parte delle obbligazioni statali dei Paesi deboli europei, detenute attualmente dalle banche europee, alla Banca centrale. Quindi permettendo ai Paesi forti di uscire dall’euro senza mandare in crisi i propri sistemi bancari.

Tutto ciò non può oscurare la realtà che è assurdo che coloro che hanno sottoscritto questi titoli statali non paghino alcun prezzo e che anzi vengano protetti attraverso soldi della collettività. Ma questo fa parte delle politiche che continuano ad essere seguite da quando è iniziata questa crisi finanziaria. Si buttano centinaia di miliardi dalla finestra senza voler prendere atto che è insostenibile l’enorme quantità di debiti su cui è seduto il sistema finanziario internazionale.

Proprio per la mancanza di volontà di affrontare i nodi messi in evidenza da questa crisi, essa è destinata a continuare; la Grecia è solo un episodio.


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