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Un caso esemplare di sovversione colorata “new global”


Eshin
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Un caso esemplare di sovversione colorata “new global”: la destabilizzazione della Jugoslavia

di Paolo Borgognone

In una intervista rilasciata nel marzo 2016 al sito Russia.it, ho ricordato come nel 1989 la Jugoslavia fosse un Paese unito e dignitoso, con un sistema politico, detto socialismo di mercato, piuttosto funzionante che, nonostante il partito unico, la censura e la compressione titoista dei diritti nazionali della componente interna serba, consentiva ai propri consociati un benessere moderatamente diffuso e uno stato sociale tra i migliori d’Europa. Scrive infatti, sul tema, Giacomo Gabellini, nel suo libro Eurocrack. Il disastro politico, economico e strategico dell’Europa: «La Jugoslavia multietnica guidata dal Maresciallo Tito era riuscita a ottenere importanti successi economici e sociali, tra i quali spiccano la crescita del Pil a una media superiore al 6 per cento annuo nell’arco temporale che va dal 1960 al 1980, l’assistenza medica gratuita e un tasso di alfabetizzazione attorno al 90 per cento. Il peculiare assetto politico socialista rendeva la Jugoslavia impermeabile alle cure “globalizzanti” della Banca Mondiale e del Fmi, riducendo la capacità di controllo che gli Stati Uniti intendevano esercitare sull’economia nazionale»[1]. La Jugoslavia era inoltre un Paese non allineato dal punto di vista geopolitico, dunque sostanzialmente indipendente. Ancora nel 1999, secondo un report del think tank neoliberista International Crisis Group, «l’economia serba continua[va] a essere caratterizzata da una struttura socialista e centralizzata. Il potere politico controlla totalmente le imprese pubbliche, gran parte di quelle private e il cosiddetto settore sociale»[2]. La Serbia doveva, in virtù di tale approccio tendenzialmente socialista, o statalista, alle relazioni economiche interne, essere convertita, con la guerra “umanitaria”, l’embargo “terapeutico” e la “rivoluzione colorata” al capitalismo liberale americano. Dieci anni dopo, le conquiste di cui si è detto più sopra, ottenute a caro prezzo a

Distruzione, da parte della Nato, della fabbrica di automobili Zastava
Distruzione, da parte della Nato, della fabbrica di automobili Zastava

seguito della guerra di liberazione antinazista del 1941-1945, erano state spazzate via da un conflitto civile fomentato dall’Occidente, da un embargo criminale posto in essere dagli Usa e dai loro alleati europei (con il vergognoso avallo, in sede Onu, della Russia di Eltsin) e da una guerra d’aggressione (marzo-giugno 1999) Nato tesa a distruggere militarmente e a squartare territorialmente ciò che rimaneva della Federazione balcanica. D’altronde, già nel 1989-’90, sotto pressione del Fmi, il governo federale presieduto da Ante Markovic aveva liquidato il 50 per cento dell’economia jugoslava, arrivando a licenziare 650.000 lavoratori su di un totale di 1.200.000! Scrive infatti Gabellini nel citato Eurocrack: «Nell’arco del primo semestre del 1990 si intravidero i primi risultati della shock therapy raccomandata dal Fmi, con un aumento esorbitante dell’inflazione e un crollo dei salari pari al 41 per cento. Nei nove mesi che vanno dal gennaio al settembre 1990, ben 889 aziende vennero sottoposte a procedure fallimentari e oltre 500.000 lavoratori subirono il licenziamento. Con la Banca centrale jugoslava controllata dal Fmi, lo Stato venne inoltre privato della facoltà di finanziare i programmi economici e d’intervento sociale»[3]. Le “riforme” previste dal Fmi e attuate dal governo Markovic-Vukotic avevano de facto posto le basi (sociali) per l’innesco del conflitto civile jugoslavo, deflagrato nel 1991 a seguito dell’unilaterale decisione delle repubbliche slovena e croata di separarsi dallo Stato federale. La secessione delle repubbliche federate fu incentivata dagli Stati Uniti, il cui Congresso, come nota Gabellini, «il 5 novembre 1990 approvò una legge proposta dal senatore Bob Dole, che prevede[va] il finanziamento dei movimenti secessionisti che miravano alla frammentazione del Paese su basi etniche e la sospensione degli aiuti alla Jugoslavia, vincolandone la riattivazione alla promozione di elezioni multipartitiche da tenersi separatamente in ogni repubblica membro della federazione»[4]. Tra questi partiti secessionisti si segnalava in particolare, sempre secondo Gabellini, il movimento islamista musulmano bosgnacco: «Lo Stranka Demokratske Akcije (Sda) di Izetbegovic era infatti stato etichettato come movimento terroristico dalle autorità titine per via del suo carattere eversivo – finalizzato alla creazione di una Bosnia SDAmusulmana edificata sui principi politico-religiosi ispirati all’integralismo pan-islamista – e per i suoi collegamenti internazionali» che spaziavano addirittura sino a includere «forze legate ad Al-Qaeda, beneficiando del lavoro sporco svolto da Organizzazioni Non Governative (Ong) e istituti bancari di copertura»[5]. Il risultato, oggi, è che la Jugoslavia non esiste più ma al suo posto ci sono una serie di economicamente poverissimi etno-protettorati della Nato, dominati da nazionalismi fanaticamente anti-serbi, da mafie di vario tipo e dove trovano fertile terreno politico milizie fasciste in camicia nera (Zagabria) e cellule jihadiste potenzialmente terroristiche (Bosnia musulmana, Kosovo). La stessa Serbia, un tempo bastione della resistenza anticoloniale, si appresta, guidata da un esecutivo che definire subalterno agli Usa è un eufemismo, a entrare nella Nato e nell’Unione europea. A livello di soggettività politiche, per un lungo periodo della mia vita ebbi una spiccata simpatia per il Partito Socialista Serbo (Sps), un partito di sinistra che aveva saputo armonizzare le categorie di patria, antifascismo e democrazia sociale, ma dopo la morte di Slobodan Milosevic questo partito ha completamente abbandonato i precedenti riferimenti culturali e mutato in direzione neoliberale la propria agenda politico-programmatica. Dal 2008 il Partito Socialista Serbo si illude di trovare la patria nell’Unione europea e non nella Serbia e per questa ragione non ho più alcuna fiducia in questo partito, divenuto ormai come gli altri movimenti e partiti socialdemocratici “europeisti”. Lo stesso Partito Socialista Serbo (SPS) infatti, fondato nel 1990 quale prosecutore della Lega de comunisti serbi (e presieduto, fino al 2006, da Slobodan Milosevic), un tempo il partito della resistenza, un partito nient’affatto socialdemocratico ma socialista di sinistra, al cui interno trovavano posto personalità (tra cui spiccò, per un certo qual periodo di tempo, quella del filosofo Mihailo Marković) molto innovative, capaci di elaborare un programma volto a coniugare interessi nazionali, socialismo ed economia di mercato, è oggi il principale sostenitore del processo di integrazione del Paese nella Ue e il suo leader, Ivica Dacic, afferma impunemente che la Serbia deve dotarsi di una legislazione ispirata al capitalismo se vuole raggiungere SPSquesto agognato, da Dacic e compari, obiettivo. Interessante notare come il Partito Socialista Serbo, ancora in occasione delle elezioni del 2000 si fosse, coerentemente con la propria storia politica, presentato, in coalizione con la JUL (Sinistra jugoslava unita), con «un progetto di sviluppo caratterizzato da un’economia mista con un settore pubblico preponderante e una forte capacità di intervento dello Stato rispetto al mercato, sia pure in un contesto di crescita delle privatizzazioni, e, dall’altra, una collocazione internazionale autonoma rispetto al patto euro-atlantico»[6]. Il premier serbo, Aleksandar Vucic, dal canto suo, nel 2016 sostiene che la Serbia non sarebbe in procinto di entrare a far parte dell’Alleanza atlantica, dimenticando forse che la Nato, in Serbia, entrò, senza chiedere autorizzazioni politiche ad alcuno, nel marzo 1999, scatenando una brutale guerra d’aggressione i cui effetti devastanti, a livello di condizioni sociali complessive, sono tangibili ancora oggi. Va ricordato che l’attuale premier
filo-Ue e sostanzialmente filo-Nato Aleksandar Vucic, nel 1999 era, per il Partito Radicale Serbo (Srs), ministro dell’Informazione nel governo della resistenza. Dal 2008 però, Vucic, insieme ad altri dirigenti di primo piano, tra cui il presidente Tomislav Nikolic, inscenò una secessione “moderata” dal Srs, con l’obiettivo di dar vita ad un partito “progressista” il cui compito sarebbe stato quello di egemonizzare alla propria causa l’elettorato di centro, al fine di facilitare e di guidare l’ingresso della Serbia nelle strutture politico-economico-finanziarie della Ue. Il 24 aprile 2016 vi sarebbero state le elezioni parlamentari in Serbia e il mio auspicio era che coloro i quali fino ad oggi hanno tributato il proprio sostegno a personaggi come Dacic e Vucic, avessero votato per i partiti della “destra” cosiddetta “filorussa”, dal Blocco patriottico DSS-Dveri (maggiormente influente tra i settori colti della borghesia tradizionale urbana e provinciale) al Partito Radicale Serbo (maggiormente popolare tra l’elettorato rurale e tra gli operai), ossia le uniche forze politiche risolutamente contrarie alla shockterapia del Fmi, alla Ue e alla Nato. Io stesso, che nel 1999 fui un sostenitore del Partito Socialista Serbo e della sinistra, dalla morte di Milosevic in avanti avrei senza SRSdubbio votato per il Partito Radicale Serbo e per Vojislav Seselj e spero vivamente che le forze patriottiche possano, in un futuro prossimo, tornare a essere il “primo partito” in Parlamento e nel Paese. Questo perché l’onore della Serbia, della Jugoslavia, dev’essere riscattato dal baratro in cui il Paese è stato gettato (dall’Occidente e i suoi alleati) a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. Il 5 ottobre 2000 il governo serbo, esito di una maggioranza parlamentare democraticamente eletta tre anni prima, fu rovesciato da un colpo di Stato eterodiretto dalla Cia. La Jugoslavia doveva infatti, a ogni costo e con ogni mezzo, essere staccata dall’alleanza geopolitica e culturale che la legava alla Federazione russa e convertita all’atlantismo attraverso l’insediamento di un governo fantoccio di Usa e Ue (Germania). Infatti, come nota la rivista l’Ernesto, il governo serbo era formato, nel 1998-2000, da una coalizione di unità nazionale, «conseguenz
a delle pressioni militari occidentali e della brusca e preordinata accelerazione della crisi kosovara a partire dalla primavera 1998»[7], costituita dall’alleanza tra la sinistra (Sps-Jul) e il Partito Radicale Serbo (Srs). Sin dal 1998-’99 i partiti dell’opposizione “democratica” serba, artificiosamente costituiti e riuniti nel cartello DOS, ricevettero ingenti finanziamenti in dollari dalle Fondazioni americane per la “promozione della democrazia all’estero”. Il Partito democratico (DS), espressione della middle class privata belgradese, era stato tra i principali beneficiari del sostegno occidentale. In Italia, politici quali l’influente Emma Bonino e i vertici dei Democratici di sinistra si erano apertamente schierati a sostegno della causa golpista (camuffata da “rivoluzione di velluto”) in Serbia. Lo stesso fece il quotidiano “comunista” il manifesto, che il giorno dopo il colpo di Stato a Belgrado, titolò, a tutta pagina: Una rivoluzione. E’ caduto il muro di Belgrado. La lernestorivista l’Ernesto ricostruì la rete di finanziamenti elargiti dagli Usa e dai loro vassalli europei all’opposizione “democratica” serba tra il 1998 e il 2000. Gli Usa e la Ue, tra mazzette e promesse di business ai politici “democratici” montenegrini una volta revocato l’embargo (criminale) che da anni ormai strozzava l’economia jugoslava, di fatto comprarono i risultati delle elezioni federali dell’ottobre 2000:

[…] dal punto di vista economico, l’Ue ha fatto sapere di essere disposta a revocare, in caso di vittoria della Dos, le sanzioni economiche che dal 1992 strangolano l’economia jugoslava, mentre gli Usa hanno massicciamente finanziato le parti più aggressive dell’opposizione (in particolare Djindjic e Otpor) nel tentativo di destabilizzare ulteriormente l’intero quadro balcanico. Per un paese che, dopo anni di accerchiamento, ha subito la distruzione pressoché totale del proprio apparato produttivo e infrastrutturale causa la più violenta aggressione imperialista dalla fine della seconda guerra mondiale, l’arma del ricatto economico (via le sanzioni se vince Kostunica, più sanzioni se vince Milosevic) costituisce un formidabile strumento di pressione nei confronti delle masse popolari impoverite. Dal punto di vista dei finanziamenti Usa, poi, le cifre sono davvero da capogiro e vanno ad aggiungersi a quelle già pagate in questi anni al Montenegro di Djukanovic. Secondo l’autorevole Washington Post, gli Usa avrebbero versato 77.2 miliardi di $ (circa 170 miliardi di lire) nelle casse della Dos per la sola campagna elettorale, mentre altri 105 e 500 milioni di $ dovranno essere stanziati rispettivamente dalla Camera e dal Senato Usa in base alla “Legge sulla democratizzazione della Serbia”. A tutto questo vanno ad aggiungersi 30 milioni di marchi (circa 33 miliardi di lire) versati dalla Germania. Se Milosevic poteva disporre dell’apparato statale per la campagna elettorale, l’opposizione era tranquillamente in grado di comprare l’intero processo elettorale. Se volessimo costruire un parallelo con l’Italia, limitandoci ai soli 170 miliardi effettivamente versati nelle casse dell’opposizione, dovremmo moltiplicare questa cifra una prima volta per 5 (la popolazione jugoslava è circa 1/5 rispetto a quella italiana), e poi di nuovo per 5 (il potere di acquisto del dollaro è almeno 5 volte superiore in Jugoslavia rispetto all’Italia). La cifra che risulta, siamo nell’ordine dei 4 mila miliardi, limitata alla sola campagna elettorale, farebbe tranquillamente impallidire persino Silvio Berlusconi[8].

Clinton e Milosevic: attento Slobodan, non ti fidare...
Clinton e Milosevic: attento Slobodan, non ti fidare…

Nel settembre 2000, la volontà americana di destituire, per via golpista, il governo jugoslavo era non solo evidente ma apertamente dichiarata e ostentata dagli stessi fautori, politici e giornalistici, del regime change a Belgrado. Su la Repubblica del 19 settembre 2000 Lucio Caracciolo scriveva infatti: «Prima di ritirarsi, Bill Clinton vorrebbe tanto liberare se stesso e il mondo da Slobodan Milosevic […]. Per quei pochi americani che seguono i Balcani, tutto si riduce a liquidare il leader serbo»[9]. Il giornalista Gregory Elich, su What’s Left dell’8 novembre 2002, scrisse nel dettaglio come gli Usa distorsero e manipolarono, attraverso ingenti finanziamenti in dollari ai partiti di opposizione liberale, il processo politico ed elettorale in Serbia e Jugoslavia:

Gli USA pomparono 35 milioni di dollari nelle tasche dell’opposizione di destra nell’anno precedente le elezioni del 24 Settembre 2000. Tale impegno includeva trasmissioni per le radio dell’opposizione, e computers, telefoni e fax per molte organizzazioni. I media di destra ricevettero altri 6 milioni dollari dall’Unione Europea durante questo periodo. Due organizzazioni sotto l’ombrello del National Endowment for Democracy, il National Democratic Institute e l’International Republican Institute, diedero 4 milioni di dollari per una campagna porta a porta e programmi elettorali. Funzionari USA assicuravano ai media dell’opposizione che “non avevano nulla da preoccuparsi riguardo alle spese di oggi” poiché molto di più era in arrivo. Subito dopo le elezioni, Il parlamento degli USA decretò una legge che autorizzava il versamento di altri 105 milioni di dollari per i partiti di destra e i loro media in Jugoslavia. Organizzazioni come l’International Republican Institute e l’Agency for International Development misero molti milioni di dollari nelle tasche di Otpor, rendendo il piccolo gruppo di studenti dell’opposizione una grande forza. Nel momento in cui la data delle elezioni veniva annunciata in Jugoslavia, Otpor aveva stampato già 60 tonnellate di materiale elettorale[10].

otporL’organizzazione studentesca Otpor, in particolare, si caratterizzò quale massa di manovra privilegiata per l’attuazione del golpe. Infatti, riguardo alle elezioni presidenziali jugoslave del 24 settembre 2000, la Commissione centrale federale rilasciò un dispaccio che attribuiva il 48,2 per cento dei voti al candidato della Dos, Vojislav Kostunica, contro il 40,2 del candidato della Coalizione di sinistra (Sps-Jul), il presidente uscente Slobodan Milosevic. Di fronte all’ipotesi di un ballottaggio che avrebbe posto l’opposizione eterodiretta dalle potenze del blocco euro-atlantico dinnanzi al rischio di una sconfitta politica, determinati settori della Dos, tra cui si distinse, per attivismo eversivo, Otpor, presero d’assalto la sede del Parlamento federale e della televisione di Stato RTS, del Partito Socialista Serbo e della Jul. Alla Zastava di Kragujevac furono registrati addirittura «linciaggi»[11] di operai e sindacalisti sostenitori del governo uscente. Durante l’assalto al Parlamento federale, dove aveva sede anche la Commissione elettorale centrale, furono date alle fiamme, dai manifestanti definiti “pacifici” e “democratici” dalla stampa occidentale mainstream, «migliaia di schede elettorali»[12], vanificando così ogni sforzo della diplomazia russa di giungere a un compromesso tra le parti in causa, ossia tra il Comitato di crisi della Dos e le forze della Coalizione di sinistra. Otpor era un’organizzazione giovanilistica, sostanzialmente made in Cia, con forti legami politici con la galassia new global italiota. Il giornalista Fulvio Grimaldi, in un libro dal titolo Mondocane. Serbi, Bassotti, Saddam e Bertinotti afferma infatti che i sedicenti Disobbedienti dei centri sociali del Nordest, a partire dal 2000 si impegnarono in un’azione politica volta a «stringere legami con […] l’opposizione serba»[13], da loro identificata come un vero e proprio «polo di riferimento»[14]. Quella di Otpor fu dunque una controrivoluzione di carattere marcatamente neoliberale, sostenuta apertamente dai servizi segreti atlantici, Cia in testa, attuata con l’esplicito sostegno dei gruppi e gruppetti “disobbedienti” e new global italioti e travisata dalla sinistra postsessantotti
na ed eurocentrica come una catarsi “rivoluzionaria” e “democratica” del “popolo serbo”, dei “giovani rivoluzionari” serbi (per utilizzare il tipico lessico manifestino e rifondarolo) contro un “dittatore nazionalista” e, perché no, “fascista”. Scrive infatti Grimaldi:

A Belgrado i nordestini, benedetti da un Don Vitaliano, strinsero forte e duratura amicizia con Otpor: una versatile formazione che strombazzava dalla radio del circuito Cia “B 92”, aggrediva operai in corteo, schierò bande di squadristi per scorribande nelle città e l’incendio del Parlamento, in quel 5 ottobre della cosiddetta (da “sinistra”) “rivoluzione democratica” di Belgrado; ma, fino alla caduta di Milosevic, esibiva nel suo logo un pugno nero alla parigina[15].

mtv_otporLungi dal rappresentare “il popolo serbo”, Otpor era una masnada di «ragazzi-bene»[16] precedentemente rincoglioniti dalla massiva esposizione alla musica di Mtv e successivamente, per loro stessa dichiarazione, «addestrati da un generale della Cia a Budapest e Sofia»[17]. Eppure, nonostante i documentati e inoppugnabili legami che li vincolavano alla Nato (collusioni talmente evidenti da irritare persino il leader formale della Dos, il «nazionalista moderato» Vojislav Kostunica), i membri di Otpor «che si erano attivati non solo per il rovesciamento del governo jugoslavo, ma per un programma politico che prevedeva la cessione agli “investitori” stranieri del patrimonio nazionale, della forza lavoro serba (definita di “modico costo”) e del welfare»[18], furono definiti «“compagni di strada del movimento no global”»[19] dai media sinistrati italioti (Liberazione, il manifesto). Ancora una volta, per la sinistra “radicale” e new global, l’antiautoritarismo si collocava in un’ottica di precedenza rispetto all’anticapitalismo e la priorità politica risiedeva nell’abbattere, mediante “rivoluzione non-violenta”, ossia golpe postmoderno, il “regime di Milosevic”, anche se la conseguenza fosse stata, come in effetti si verificò, il successivo insediamento, a Belgrado, di un esecutivo di vassalli e Quisling della Nato e degli istituti finanziari sovranazionali (Fmi). La sinistra “radicale” imputava infatti a Milosevic e al suo governo un eccesso di «nazionalismo» e di «militarismo», esattamente come i sessantottini del maggio francese accusavano de Gaulle di essere, sostanzialmente, un «fascista» perché vestiva la divisa e, diversamente dagli iperborghesi americanizzati e in sempiterno adolescenti di oggi, non relegava la spiritualità religiosa a mero amuleto di speranza taumaturgica da strofinare nelle mani in occasione del primo tumore metastatizzato o del primo incidente stradale con conseguenze potenzialmente invalidanti. In effetti, citando Costanzo Preve, si può e si deve assolutamente ricordare all’accozzaglia “dirittumanista” manifestina e bertinottiana di ogni stagione che la colpa di Milosevic «non è mai stata l’eccesso avventuristico di decisionismo […], ma al contrario l’eccesso burocratico di attendismo e di incertezza, che ha colpevolmente permesso per due anni il uck-usacrescere dell’attività criminale del terrorismo dell’UCK, ponendo così le basi della tragica espulsione etnica del popolo serbo dal Kosovo»[20]. Allo stesso modo, ai destinatari sinistrati di cui sopra andrebbe rammentato che Otpor «fu creata attraverso larghe sovvenzioni di fondi occidentali tra i giovani disoccupati jugoslavi, attratti dalle immagini false e seducenti dell’America costantemente trasmesse dai media “indipendenti” finanziati dagli USA»[21]. Otpor vantava, ad esempio, stretti legami con il carrozzone mediatico di Mtv. Il 12 novembre 1998, in occasione degli annuali Mtv Europe Music Awards, tenutisi al Forum di Assago, nei pressi di Milano, la stazione radio di opposizione liberal-libertaria belgradese “B 92” ricevette il premio Free Your Mind, «per il giornalismo e per la lotta a favore dei diritti umani» in Serbia. Il premio fu consegnato dal noto gruppo musicale dei R.E.M. (impersonato dal trio Michael Stipe, Peter Buck e Mike Mills) al direttore di “B 92”, Veran Matic. Costui si presentò sul palco a ritirare il premio indossando una maglietta con il logo di Otpor. Due anni dopo, il 16 novembre 2000, il ruolo di Otpor nel colpo di Stato che condusse al regime change a Belgrado fu celebrato con l’assegnazione del premio Free Your Mind, in occasione degli Mtv Europe Music Awards tenutisi a Stoccolma, direttamente all’organizzazione eversiva e anarco-liberale “serba” (in realtà made in Cia). Il suddetto premio fu consegnato dall’attore francese Jean Reno a due militanti di Otpor, intervenuti all’evento in nome e per conto dell’organizzazione tutta, Milja Jovanovic e Branko Ilic. Mtv affermò esplicitamente di aver premiato Otpor con l’onorificenza Free Your Mind al fine di ricompensare l’organizzazione «per il suo ruolo nel rovesciamento del regime di Slobodan Milosevic nell’ottobre 2000». Prima della premiazione, Jean Reno, dal palco degli Mtv Europe Music Awards di Stoccolma, introdusse un video[22] dedicato a Otpor in cui detta organizzazione veniva acriticamente, e senza contraddittorio alcuno, incensata come espressione della «resistenza democratica» e della «Serbia migliore», la «Serbia aperta» che voleva «democrazia e libertà». Rientrati in Serbia, Milja Jovanovic e Branko Ilic furono mtv_obamaricevuti ufficialmente dal nuovo ministro degli Esteri jugoslavo, Goran Svilanovic (esponente della fazione più filoccidentale e radical-liberale della Dos) che si congratulò con Otpor per il premio Free Your Mind ricevuto dal “movimento” agli Mtv Europe Music Awards di Stoccolma. Ora, è assolutamente chiaro che nessun movimento, partito, organizzazione o associazione veramente resistente e antagonista rispetto agli equilibri geopolitici ed economici del capitalismo americano potrebbe mai ricevere finanziamenti dalle Fondazioni Usa per la “promozione della democrazia all’estero”, un premio da Mtv ed essere vezzeggiato/a da politicanti graditi al Dipartimento di Stato americano e alla tecnocrazia neoliberale di Bruxelles ma questo, né i “disobbedienti” new global alla Luca Casarini né i vertici ideologici (bertinottiani) di Rifondazione comunista né i vertici redazionali di Liberazione e de il manifesto potevano (o meglio, volevano) capirlo in quanto, abbacinati dalla propria fideistica adesione alle teorie comunistico/consumistico/anarchicheggianti (anarchismo dei costumi e dei desideri capitalistici) di Toni Negri e Alain Badiou, interpretavano veramente il golpe postmoderno attuato in Serbia dagli aspiranti “fighi” e “vincenti” dei processi di globalizzazione di Otpor come una “rivoluzione democratica” e “no global” tesa ad “abbattere l’ultimo muro d’Europa” (ossia, quello che Bertinotti e compari credevano che Milosevic avesse eretto tra Belgrado e il cosiddetto “mondo libero”). Così, per Mtv, Pannella, Bertinotti, Cossutta, Liberazione, il manifesto e compagnia di giro, una controrivoluzione neoliberale e “ultra global” contro uno Stato e un governo postsocialista che, con l’appoggio determinante della maggioranza della propria popolazione, resisteva, pagando un prezzo altissimo sotto ogni punto di vista, al colonialismo americanocentrico contemporaneo, divenne una «rivoluzione democratica» e potenzialmente “no global”, otpor-srdjan-popovic-canvas-occupy-movementanzi, “new global”, tappa “necessaria” sulla via della costruzione di un immaginifico «socialismo dal volto umano» del XXI secolo. Nemmeno un anno dopo la controrivoluzione neoliberale di Otpor e sodali, la Jugoslavia era un Paese economicamente, socialmente, ecologicamente e politicamente in ginocchio[23], preda privilegiata per speculatori d’ogni sorta camuffati da «investitori stranieri» (alla faccia del «socialismo dal volto umano» del XX secolo…) ma l’anziano leader del Pdci, Armando Cossutta, si preoccupava del presunto «nazionalismo di ritorno» del nuovo presidente jug
oslavo Kostunica, temendo per le sorti «dell’autonomia politica del Montenegro e del Kosovo» e continuando, imperterrito, a celebrare la bontà della cosiddetta «rivoluzione democratica» del 5 ottobre 2000. Mai, nella storia della civiltà politica, si era assistito a un così elevato grado di rincoglionimento politico da parte di una sinistra letteralmente schiantata da almeno un trenta-quarantennio di ostentato e perseguito conformismo eurocentrico, cosmopolitico ed eclettico nell’accezione più deteriore del termine. Come a dire… Ben scavato, vecchia talpa!

Note:

[1] G. Gabellini, Eurocrack. Il disastro politico, economico e strategico dell’Europa, Anteo Edizioni, Cavriago (RE), 52.

[2] Cit. in Non firmato, Jugoslavia: fine di un’epoca?, in «l’Ernesto», http://www.marx21.it/rivista/4671-jugoslavia-fine-di-unepoca.html#, ottobre 2000.

[3] G. Gabellini, Eurocrack. Il disastro politico, economico e strategico dell’Europa, op. cit., p. 53.

[4] Ivi, p. 54.

[5] Ivi, p. 55.

[6] Non firmato, Jugoslavia: fine di un’epoca?, cit.

[7] Ivi.

[8] Ivi.

[9] L. Caracciolo, La partita finale contro Milosevic, in «la Repubblica», 19 settembre 2000.

[10] G. Elich, Guerra segreta: l’intervento USA e UE in Jugoslavia, in «What’s Left», 8 novembre 2002.

[11] Non firmato, Jugoslavia: fine di un’epoca?, cit.

[12] Ivi.

[13] F. Grimaldi, Mondocane. Serbi, Bassotti, Saddam e Bertinotti, Kaos Edizioni, Milano, 2004, p. 209.

[14] Ivi.

[15] Ivi, p. 210.

[16] Ivi.

[17] Ivi.

[18] Ivi.

[19] Ivi.

[20] C. Preve, Il Bombardamento Etico. Saggio sull’Interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000, p. 66.

[21] Fonte: emperors-clothes.com

[22] Visionabile qui: https://www.youtube.com/watch?v=kv9R6kn2Pcc

[23] Cfr. F. Grimaldi, Mondocane. Serbi, Bassotti, Saddam e Bertinotti, op . cit., p. 264-277; E. Vigna, F. Grimaldi, Jugoslavia 2001. Dati, fatti e misfatti. 16, 17, 18 Giugno 2001. Corrispondenza da Belgrado, La Città del Sole, Napoli, 2001.
http://www.ildiscrimine.com/un-caso-esemplare-di-sovversione-colorata-new-global-la-destabilizzazione-della-jugoslavia/


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