Notifiche
Cancella tutti

"il lettore deve essere in grado di sognare un cambiamento"

   RSS

0
Topic starter

...il lettore deve essere in grado di sognare un cambiamento. Deve vivere in una società dove sia possibile, almeno teoricamente, mettere in pratica i sogni...

Cito questa preziosa considerazione per indurvi a leggere l'articolo pubblicato oggi da libreidee:

Un mondo migliore? No, grazie. Così la letteratura è morta

Il romanzo di Vladimir Dudintsev “Non di solo pane” è stato pubblicato nel 1956. E’ stato un grande successo nell’Unione Sovietica con la sua critica dei modi sovietici stagnati ed inefficienti. Insieme ad altri autori russi, come Vasily Grossman e Aleksandr Solzhenitsyn, Dudintsev è stato parte di un’ondata di scrittori che hanno cercato di usare la letteratura per cambiare la società. Quel tipo di approccio sembra essere sfiorito, sia nei paesi dell’ex Unione Sovietica, sia in occidente. Ad un certo punto, fra il secondo e il terzo secolo D.C., la letteratura latina dell’Impero Romano è morta. Non che le persone abbiano smesso di scrivere, al contrario, il tardo Impero Romano d’Occidente ha visto una piccola rinascita della letteratura latina, soltanto che non sembra che avessero più niente di interessante da dire. Se consideriamo i tempi d’oro dell’Impero, intorno al primo secolo A.C., è probabile che molti di noi siano in grado pensare ad almeno qualche nome di letterati di quel tempo: poeti come Virgilio ed Orazio, filosofi come Seneca, storici come Tacito. Ma se ci spostiamo agli ultimi secoli dell’Impero d’Occidente, è probabile di non essere in grado di pensare a nessun nome, a meno che non si legga Gibbon e ci si ricordi che cita il poeta del IV secolo Ausonio per evidenziare il cattivo gusto del tempo.

Sembra che l’Impero Romano avesse perso la sua anima molto prima di scomparire come organizzazione politica. Spesso, ho l’impressione che stiamo seguendo la stessa strada verso il collasso seguita dall’Impero Romano, ma più rapidamente. Fatevi questa domanda: riesco a citare un pezzo letterario recente (intendo, diciamo, di 10 o 20 anni) che penso che i posteri ricorderanno? (E non come esempio di cattivo gusto). Personalmente non ci riesco. E penso che si possa dire che la letteratura nel mondo occidentale abbia declinato a partire degli anni 70, più o meno, e che oggi non sia più una forma d’arte vitale. Naturalmente, le percezioni in questo campo potrebbero essere molto diverse, ma posso citare un sacco di grandi romanzi pubblicati durante la prima metà del XX secolo, racconti che hanno cambiato il modo in cui le persone guardavano il mondo. Pensate alla grande stagione degli scrittori americani a Parigi degli anni 20 e 30, pensate a Hemingway, a Fitzgerald, a Gertrude Stein e a molti altri. E a come la letteratura americana ha continuato a produrre capolavori, da John Steinbeck a Jack Kerouac ed altri. Ora, siete in grado di citare uno scrittore americano equivalente successivo?

Pensate a grandi scrittori come John Gardner, che scriveva negli anni 70 ed oggi è stato in gran parte dimenticato. Qualcosa di simile sembra essere successo dall’altra parte della Cortina di Ferro, dove diversi scrittori sovietici dotati (Dudintsev, Grossman, Solzhenitsyn ed altri) hanno prodotto un corpus letterario negli anni 50 e 60 che ha fortemente cambiato l’ortodossia sovietica ed ha giocato un ruolo nel crollo dell’Unione Sovietica. Ma non sembra che esista più nulla di paragonabile nei paesi dell’Europa dell’est che si possa paragonare a quei romanzi. Non è solo una questione di letteratura scritta, le arti visuali sembrano aver attraversato lo stesso processo di appassimento: pensate a Guernica di Picasso (1937) come ad un esempio. Riuscite a pensare a qualcosa dipinta negli ultimi decenni con un impatto lontanamente comparabile? Riguardo ai film, quale è stato davvero originale o ha cambiato la percezione del mondo? Forse coi film stiamo facendo meglio che con la letteratura scritta, perlomeno alcuni film non passano inosservati, anche se i loro meriti letterari sono discutibili.

Pensate a “La notte dei morti viventi” di George Romero, che risale al 1968 e che ha generato uno tsunami di imitazioni. Pensate a “Guerre Stellari” (1977), che ha plasmato un intero piano strategico dei militari statunitensi. Ma durante l’ultimo decennio, più o meno, l’industria cinematografica non sembra essere stata in grado di fare meglio che lanciare legioni di zombi e mostri assortiti contro gli spettatori. Non che non abbiamo più bestseller, proprio come abbiamo film da blockbuster. Ma siamo in grado di produrre qualcosa di originale e rilevante? Sembra che abbiamo ripercorso i passi dell’Impero Romano: non siamo più in grado di produrre un Virgilio, al massimo un equivalente di Ausonio. E c’è una ragione per questo. La letteratura, quella grande, ha a che fare col cambiare la visione del mondo del lettore. Un grande romanzo, un grande poema, non sono solo una trama interessante o delle belle immagini. La buona letteratura porta avanti un sogno: il sogno di un mondo diverso. E quel sogno cambia il lettore, lo rende diverso. Ma per svolgere questa azione, il lettore deve essere in grado di sognare un cambiamento. Deve vivere in una società dove sia possibile, almeno teoricamente, mettere in pratica i sogni. Ma non è sempre così.

Nell’Impero Romano del IV e V secolo D.C., il sogno era scomparso. I Romani si erano ritirati dietro le loro fortificazioni ed avevano sacrificato tutto – compresa la loro libertà – in nome della sicurezza. La poesia era diventata semplicemente una lode al governante di turno, la filosofia una compilazione dei lavori precedenti e la storia una mera cronaca. Una cosa del genere sta capitando a noi oggi: dove sono finiti i nostri sogni? Ma è anche vero l’uomo non vive di solo pane. Ci servono i sogni come ci serve il cibo. E i sogni sono qualcosa che l’arte ci può portare; sotto forma di letteratura o altro, non importa. E’ il potere dei sogni che non può mai scomparire. Se la letteratura romana era scomparsa come fonte originale di sogni, poteva ancora funzionare come veicolo di sogni provenienti dall’esterno dell’impero. Dal Confine Orientale dell’Impero, i culti di Mitra e di Cristo avrebbero fatto incursioni profonde nelle menti romane.

All’inizio del V secolo, in una città di provincia meridionale assediata dai barbari, Agostino, il vescovo di Ippona, ha completato “La Città di Dio”, un libro che leggiamo ancora oggi e che ha cambiato per sempre il concetto di narrativa; è stato forse il primo romanzo – in senso moderno – mai scritto. Pochi secoli dopo, quando l’Impero non era niente di più che una memoria spettrale, un poeta sconosciuto ha composto il Beowulf e, ancora più tardi, è apparsa la saga dei Nibelunghi. Durante questo periodo, sono cominciate ad apparire le storie sul signore della guerra della Britannia che poi sarebbero confluite nel Ciclo Arturiano, forse il cuore della nostra visione moderna della letteratura epica. Così, il sogno non è morto. Da qualche parte, ai margini dell’impero, o forse al di fuori di esso, qualcuno sta sognando un bel sogno. Forse lo scriverà in una lingua lontana o forse userà il linguaggio dell’Impero. Forse userà un mezzo diverso dalla parola scritta, non possiamo dirlo. Ciò che possiamo dire è che, un giorno, questo nuovo sogno cambierà il mondo.

(Ugo Bardi, “Dove sono finiti tutti i nostri sogni? La morte della letteratura occidentale”, dal blog di Bardi del 21 gennaio 2015).

http://www.libreidee.org/2017/10/la-letteratura-e-morta-ovvio-non-abbiamo-piu-grandi-sogni/

qui l'originale:
http://cassandralegacy.blogspot.co.uk/2015/01/where-have-our-dreams-gone-death-of.html

Leggo e scrivo di fretta ma non so, a me sembra che l’autore faccia un bel po’ di confusione, mettendo a confronto epoche ed opere troppo diverse e soprattutto citando a caso un bel po’ di autori. Che senso ha mettere a confronto oltre 2000 anni di produzione letteraria con la produzione dell’ultimo cinquantennio? Considera che durante lo scorso secolo, ma soprattutto dopo la IIWW, il pubblico è aumentato e così anche la produzione letteraria. In passato scrittori e lettori godevano di maggior erudizione e generalmente appartenevano a gruppi sociali diversi, diciamo più “alti”. In altre parole il target era un po' diverso e il conseguente livellamento verso il basso della qualità media delle opere era a parer mio inevitabile.

E circa gli autori, i generi e le tematiche io non vedo questo stacco netto. Dopo Jules Verne e H. G. Wells abbiamo avuto Asimov, Arthur C. Clarke, Ballard e K. Dick. E ancora Lewis Carroll, L. Frank Baum, Carlo Collodi, H. P. Lovecraft, J. M. Barrie, Tolkien, Stephen King, George Martin, ecc ecc. Fatte le dovute proporzioni dici che la mitologia classica, nordica o medioevale è molto diversa?

Altresì, citare Hemingway, Fitzgerald o Kerouac a proposito di “cambiamento” o “sogno” mi pare fuori luogo. John Fante, Bukowski, Mordecai Richler, Hunter Thompson, Bret Easton Ellis o David Foster Wallace ti sembrano tanto diversi dai sopracitati ? Sia gli uni che gli altri di che parlano? E soprattutto sono da meno?

Leggendo questo pezzo ho realizzato che effettivamente non ci sono più le mezze stagioni… Ma sarà vero che si stava meglio quando si stava peggio? 😉

Ps: Forse un tempo le genti avevano meno tempo per sognare.

"Pensate a “Guerre Stellari” (1977), che ha plasmato un intero piano strategico dei militari statunitensi."

Basterebbe questa... Ma come si fa? 😀

Il riferimento che riguarda Guerre stellari ha meravigliato anche me ma non compromette l'invito a guardare alla possibile individuazione di cicli.

Che sulle valutazioni ci possano essere opinioni diverse é scontato, l'autore invita anche a valutare "l'impatto", e fa questa considerazione di sentire di poter mettere min pratica i sogni scaturiti dalle letture.

Non é un tentativo di confrontare.

Tendo a cogliere la proposta di valutare certi aspetti delle cose, più che a dedicarmi a confutare punto per punto, in genere, a meno che non si tratti di proposta evidentemente insostenibile o paradossale.

Guerre Stellari a parte, nemmeno a me piacciono le classifiche. Scrivo principalmente per tre motivi.

Il primo è che mi sembra che tu sia uno che legge e che negli anni ha avuto modo e tempo di formarsi più di qualche impressione. Così mi piacerebbe che tu tentassi di rispondere alla seconda domanda che poi era questa:

di che parlano Hemingway, Fitzgerald, Kerouac, John Fante, Bukowski, Mordecai Richler, Hunter Thompson, Bret Easton Ellis o David Foster Wallace?

C’è un minimo comun denominatore o se preferisci, un filo conduttore che li lega e che in qualche modo ha condotto una certa letteratura ad una sorta di impasse o come dice l’autore dopo i settanta c’è stato un salto quantico in termini di "qualità" e di temi trattati? Noti esserci un’assenza di profondità di pensiero negli autori che ho citato? Trattano temi così diversi rispetto ai primi della lista?

Il secondo è che spulciando fra gli scritti di Bardi mi pare di rilevare quella certa confusione di idee mista a sicumera tipica dell’intellettuale (eufemismo) moderno. Dico questo perché forse “il problema” del nostro tempo sta proprio qui, ossia nell'approccio o atteggiamento se preferisci, di questa pletora di pseudo intellettuali che non è in grado di leggere né il passato né il presente perché manca un approccio interdisciplinare ed in genere non sanno un ceppa né di storia né di economia. Discipline che a parer mio sono indissolubilmente intrecciate e vanno indagate da vicino. Il fatto che questi ultimi non siano in grado di leggere fra le righe, o perlomeno di provarci, non significa che il mondo sia rimasto a corto di cervelli, ma piuttosto che, vuoi per presunzione, inadeguatezza culturale, superficialità, opportunismo, mancanza di curiosità, interdisciplinarità ed onestà intellettuale, questi pseudo iconoclasti sono sia causa che conseguenza dell’omologazione culturale che ci opprime. Omologazione che credo sia perlopiù frutto dei contributi partoriti da quegli intellettuali di stampo "progressista"che per quanto siano stati, sotto più punti di vista, oggettivamente "superiori" ai loro eredi hanno fornito un substrato ideologico-culturale viziato e tutt’altro che disinteressato ai "movimenti" del dopo guerra. Voglio dire, sono gli stessi che ad esempio ci continuano a propinare la favola dei “secoli bui”. Che dici?

Il terzo è che anche io, purtroppo o per fortuna, sono portato a cercare dei pattern. Ciò però non ci autorizza a piegare la realtà ai nostri desideri. Questo tipo di atteggiamento mentale, il cosiddetto wishful thinking, ha, a parer mio, superato il limite della decenza sia per le strade che nelle accademie. Ad esempio tu parli di "possibile individuazione di cicli". Non so quanto possa essere fattibile ricercare un nesso di tipo sociologico/culturale fra Aristotele, Archimede, Cielo d'Alcamo, Pico della Mirandola, ser Piero da Vinci e Shakespeare mentre magari potrebbe essere più "semplice" e funzionale prima trovare un nesso fra una crisi economica e l’altra. Nel senso che forse il contesto economico-sociale potrebbe fornire più di una spiegazione al fiorire delle arti, dei mestieri e delle scienze. Ma, ad esempio, anche lì c’è chi cita Marx o Kondratiev per spiegare questo e quello e chi prova a superarli adottando all'incirca gli stessi metodi. Sempre e comunque senza avere un’idea del contesto, così tanto per. Cioè, non trovi che in genere si manifesti una sicurezza che non c'é? Secondo te, in passato c'era la consapevolezza di non avere il quadro complessivo, di non conoscere tutti i dati o i retroscena perché appunto si era maggiormente consapevoli della propria fallibilità/inadeguatezza o semplicemente di far parte di quella cerchia che il cambiamento prima lo concepisce e poi lo provoca? Credi che la tua generazione e/o quella dei cosiddetti baby boomer abbia più di qualche responsabilità in questa "degenerazione del pensiero"? Se sì, è più una questione di educazione, di costume, di condizione economica, di maggior controllo/condizionamento del pensiero o di che altro?

Rileggiti, e chiediti come fai a disapprovare la (deleteria) pratica del wishful thinking solo negli altri che la adottano.

Condividi: