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Moro ed il PCI

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Da Wikipedia:
Moro e la DC

Aldo Moro «era un cattolico osservante e praticante e la sua fede in Dio si rispecchiava nella sua vita politica»[5]. Era considerato un mediatore tenace e particolarmente abile nella gestione e nel coordinamento politico delle numerose "correnti" che agivano e si suddividevano il potere all'interno della Democrazia Cristiana. All'inizio degli anni sessanta Moro fu un convinto assertore della necessità di un'alleanza tra il suo partito e il Partito Socialista Italiano, per creare un governo di centro-sinistra.

Nel congresso democristiano di Napoli del 1962 riuscì a portare su questa posizione l'intero gruppo dirigente del partito. La stessa cosa avvenne all'inizio del 1978 (poco prima del rapimento), quando riuscì a convincere la DC della necessità di un "governo di solidarietà nazionale", con la presenza del PCI nella maggioranza parlamentare. La sua intenzione dominante era di allargare la base del sistema di governo, ossia il vertice del potere esecutivo avrebbe dovuto rappresentare un numero più ampio di partiti e di elettori. Questo sarebbe stato possibile solo con un gioco di alleanze aventi come fulcro la DC, seguendo così una linea politica secondo il principio di democrazia consociativa[6].

Secondo Sandro Fontana, Moro nella sua attività politica si trovava nella difficoltà di conciliare la missione cristiana e popolare della Democrazia Cristiana con i valori di tendenza laica e liberale della società italiana. Il “miracolo economico”, che aveva portato l'Italia rurale a diventare in pochi decenni una delle grandi potenze industriali mondiali, comportò anche un cambiamento sociale, con il risveglio delle masse richiedenti una presenza attiva nella vita del paese. Moro, quando affermava che “di crescita si può anche morire”[7], esprimeva un suo giudizio sui rischi di una società in rapida crescita. Il risveglio delle masse aveva favorito nuove e più forti fasce sociali (tra cui i giovani, le donne e i lavoratori) che avevano bisogno di integrazione (anche economica con precise riforme[8]) all'interno del processo politico.

«No al processo in piazza»

Il 7 marzo 1977 cominciò in Parlamento il dibattito sullo scandalo Lockheed. Marco Pannella, tra i primi a parlare, sostenne la tesi che il responsabile delle tangenti non fosse il governo ma il Presidente della Repubblica in persona, Giovanni Leone. Ugo La Malfa si schierò dalla sua parte chiedendo le dimissioni del Presidente.
Il 9 marzo prese la parola Moro. Il presidente DC difese il suo partito dall'accusa di aver posto in essere un «regime» e difese i ministri Luigi Gui (democristiano) e Mario Tanassi (PSDI), che erano al centro dell'inchiesta. Poi replicò all'intervento di Domenico Pinto, deputato di Democrazia Proletaria, che aveva detto che la corruzione della DC era provata dallo scandalo Lockheed; per questo i democristiani sarebbero stati processati nelle piazze: «Nel Paese vi sono molte opposizioni (…); e quell'opposizione, colleghi della Democrazia Cristiana, sarà molto più intransigente, sarà molto più radicale quando i processi non si faranno più in un'aula come questa, ma si faranno nelle piazze, e nelle piazze vi saranno le condanne»[9]
Moro replicò: «Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare»[10].
In seguito la frase si prestò a diverse interpretazioni politiche. La vicenda giudiziaria si concluderà nel 1979 con l'assoluzione di Gui e la condanna di Tanassi.

Le masse popolari, secondo alcuni[11], tendevano a esprimere in forma “emotiva e mitologica” il loro bisogno di una partecipazione diretta alla gestione del potere. Secondo altri, più semplicemente, le masse popolari italiane erano e sono – per ragioni storiche, politico-culturali e di fragilità del ceto intellettuale – propense a inclinare verso una destra autoritaria. In questo quadro variegato e in evoluzione, la missione che Moro avrebbe ascritto alla Democrazia Cristiana fu di recuperare le classi popolari dal fascismo e traghettarle nel sistema democratico[12].

Per questo motivo, Moro si sarebbe ritrovato nella situazione di dover “armonizzare” realtà apparentemente inconciliabili tra loro[13]. Questo fattore era un fondamentale presupposto per la nascita di gruppi terroristici che, visti sotto quest'ottica, sarebbero il frutto dell'estremizzazione della partecipazione attiva ed extraparlamentare alla politica del paese da parte di una piccola frazione della popolazione in cui componenti emozionali e mitologiche si mescolerebbero provocando quasi sempre “situazioni drammatiche”[14].

Dall'altro lato c'era il desiderio di far sopravvivere il sistema politico, che a questo scopo aveva bisogno sia di regole precise, sia di scendere continuamente a compromessi alla ricerca di una forma di tolleranza civile. Sandro Fontana così riepiloga i dilemmi di Moro: «Come conciliare l'estrema mobilità delle trasformazioni sociali con la continuità delle strutture rappresentative? Come integrare nello Stato masse sempre più estese di cittadini senza cedere a seduzioni autoritarie? Come crescere senza morire?»[15]

Nell'opinione di Moro la soluzione a tali quesiti non poteva non essere raggiunta che con un compromesso politico, ampliando l'esperienza dell“'apertura a sinistra” della DC nei confronti del PSI di Pietro Nenni, avvenuta all'inizio degli anni sessanta[16]. Ma la situazione era diversa: fin dal 1956 (rivoluzione ungherese) il PSI si era dichiaratamente staccato dal PCI intraprendendo una strada autonoma. Negli anni settanta e soprattutto dopo le elezioni del 1976, Moro concepì l'esigenza di dar vita a governi di "solidarietà nazionale", con una base parlamentare più ampia comprendente anche il PCI. Ciò rese Moro oggetto di aspre contestazioni: i critici lo accusarono di volersi rendere artefice di un secondo “compromesso storico”, più clamoroso di quello con Nenni, in quanto prevedeva una collaborazione di governo con il Partito Comunista di Enrico Berlinguer, che ancora faceva parte della sfera d'influenza sovietica, cosa confutata da recenti studi di filosofia politica, in particolare quelli di Danilo Campanella, esperto di filosofia politica morotea, secondo cui la strategia di Moro era quella di un "logoramento" del partito comunista per arrivare all'unità nazionale[17].

Berlinguer anticipò le eventuali preclusioni ai suoi danni prendendo pubblicamente le distanze da Mosca e rivendicando la capacità del PCI di muoversi autonomamente sullo scacchiere politico italiano[18]. Aldo Moro fu uno dei leader politici che maggiormente prestarono attenzione alle affermazioni di Berlinguer, che con lo «strappo da Mosca» si sarebbe reso accettabile a una parte degli elettori della Democrazia Cristiana. Il segretario nazionale del Partito Comunista Italiano aveva proposto un accordo di solidarietà politica fra i comunisti e cattolici, in un momento di profonda crisi sociale e politica in Italia: la conseguenza fu un intenso confronto parlamentare tra i due schieramenti, che fece parlare di "centralità del Parlamento".[19]

All'inizio del 1978 Moro, allora presidente della Democrazia Cristiana, fu l'esponente politico più importante che ritenne possibile un governo di "solidarietà nazionale", che includesse anche il PCI nella maggioranza, sia pure senza una presenza di ministri comunisti nel governo, in una prima fase. Tale soluzione presentava rischi sul piano della politica internazionale, in quanto non trovava il consenso delle grandi superpotenze mondiali[20]:
Disaccordo degli Usa: l'ingresso al governo di persone che avevano stretti contatti con il partito comunista sovietico avrebbe consentito loro di venire a conoscenza, in piena guerra fredda, di piani militari e di postazioni strategiche supersegrete dell
a Nato. Inoltre, una partecipazione comunista in un paese d'influenza americana sarebbe stata una sconfitta culturale degli Usa nei confronti del resto del mondo, e soprattutto dell'Urss[21];
Disaccordo dell'Urss: la partecipazione al governo del PCI sarebbe stata interpretabile come una forma di emancipazione del partito dal controllo sovietico e di avvicinamento autonomo agli USA.

Le divergenze sul piano internazionale Moro le aveva già constatate sulla propria pelle nel periodo direttamente antecedente il sequestro: la sua difesa di Rumor nella discussione parlamentare sullo Scandalo Lockheed fu da taluno spiegata con un suo personale coinvolgimento nel sistema di tangenti versate dall'impresa aerospaziale americana Lockheed in cambio dell'acquisto di aerei da trasporto militari C-130. Secondo alcuni giornali dell'epoca Moro era il fantomatico Antelope Cobbler, destinatario delle bustarelle. L'accusa, che avrebbe avuto lo scopo di fare fuori politicamente Moro e far naufragare i suoi progetti politici, venne ridimensionata con l'assoluzione di Moro del 3 marzo 1978, tredici giorni prima dell'agguato in via Fani.

Da Wikipedia: le Brigate Rosse

Proprio per ribadire la ostentata "estraneità" alla natura semplicemente terroristica, dichiarata dall'organizzazione guerrigliera[7], il professor Giovanni Senzani nei comunicati ufficiali delle BR, nonché sugli stendardi che servivano da sottofondo per le fotografie ai cosiddetti "prigionieri politici" (le persone sequestrate dai brigatisti e tenute prigioniere nelle cosiddette "prigioni del popolo") faceva iscrivere la frase: "La rivoluzione non si processa!"[8]. L'ideologia brigatista si riconduceva, a dire di chi la propugnava, ad una "incompiuta lotta di liberazione partigiana dell'Italia"; come i partigiani avevano liberato il popolo dalla dittatura nazifascista, le BR avrebbero liberato una volta per tutte il popolo dalla servitù alle "multinazionali".

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A piazza del Gesù c'era la sede della DC, oltre che la sede della Grande Loggia d'Italia degli ALAM (Antichi Liberi Accettati Muratori).

da Wikipedia:

L'appoggio della comunione massonica di Piazza del Gesù alla presa del potere da parte di Mussolini non fu una mera dichiarazione di cortesia. Lo storico statunitense Peter Tompkins nel volume “Dalle carte segrete del Duce”, (2001), ha infatti evidenziato che tutti e quattro i “quadrumviri” della Marcia su Roma (Italo Balbo, Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi e Emilio De Bono) appartenevano alla Gran Loggia d'Italia[2]; alla stessa comunione appartenevano anche altri importanti gerarchi quali Roberto Farinacci, Cesare Rossi, Giacomo Acerbo e Giovanni Marinelli[3]. Tompkins ha appurato anche che 72 ore prima della Marcia su Roma, alla Stazione Termini, Mussolini si incontrò con Raoul Palermi, il quale si sarebbe messo a piena disposizione del futuro capo del Governo[4], impegnandosi ad influire sullo stesso Vittorio Emanuele III, che Tompkins definisce “massone segreto della loggia di Piazza del Gesù”[5]. Inoltre, Tompkins aderisce alla tesi secondo cui Giacomo Matteotti sarebbe stato assassinato, oltre che per l'incisiva denuncia delle irregolarità e delle violenze compiute dai fascisti nelle elezioni politiche del 1924, anche perché in possesso di documenti attestanti le tangenti versate dalla compagnia petrolifera Sinclair Oil Company ai ministri Gabriello Carnazza e Orso Maria Corbino, entrambi massoni di Piazza del Gesù e allo stesso Benito Mussolini[6].

Il fascismo ed il re.

da Wikipedia:

Per quanto riguarda gli eventi del 25 luglio 1943, relativi alla messa in minoranza di Mussolini nel Gran Consiglio del fascismo e il suo successivo arresto, sarebbe stato determinante – secondo Tompkins – il vincolo massonico derivante dall'iniziazione alla Gran Loggia d'Italia, che legava ancora dodici dei diciannove consiglieri contrari a Mussolini[7]: non a caso la vicenda si concluse con il conferimento dell'incarico di Capo del governo al massone non dichiarato Pietro Badoglio[8], da parte del massone segreto di Piazza del Gesù Vittorio Emanuele III.Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, massone della Gran loggia di Piazza del Gesù

A piazza del Gesù c'era la sede della DC, oltre che la sede della Grande Loggia d'Italia degli ALAM (Antichi Liberi Accettati Muratori).

Il palazzo utilizzato dalla DC era quello abbastanza grande a destra della Chiesa del Gesù..mentre la sede della Loggia era al numero 47 della piazza stessa .......

Attualmente c'è la sede di Roma Città Futura, quella radio che il 16 marzo 1978 anticipo' la notizia del rapimento Moro...

La cosa più simpatica è l' allusione ai processi dei democristiani nelle piazze...era il 1977...sono ancora lì!

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