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Confessioni liturgiche 4: dallo zero alla realtà che ci circonda


GioCo
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Questo è la quarta parte di un POST che prosegue da Confessioni liturgiche 3


(Gli "occhi" di Horus: il sole e la luna) Vediamo che il Suo Occhio destro, il sano, l’Occhio divino, resta suo, mentre l'altro, quello sinistro 'imperfetto, è destinato all'uomo. Occhio che, nella leggenda, Horus perde nello scontro con Seth, il Dio del male, che vive ed opera sulla terra, avendo usurpato il potere al suo legittimo Re [fonte: QUI]
"L'amore è il mezzo
attraverso il quale
l'uomo può elevarsi
al sommo bene
".
Baruch Spinoza
"Luce e Ombra
si dividono nell'Angolo,
mentre Amore
fissato sull'orizzonte
irradia surrogati."
@GioCo

Questo post è il più difficile di tutti. Qui sarò costretto a condensare molti concetti complessi. Oltre quindi a chiedere pazienza proverò a rendere i concetti nel modo più semplice che mi riesce. Tuttavia rimane la sfida finale: condensare l'insieme in qualcosa di senso compiuto che somigli anche vagamente a una struttura complessiva coerente. Vediamo se ci riesco.

Questo lavoro sarà diviso in due parti: nella prima mi occupo di comunicazione dal punto di vista soggettivo, nel secondo della realtà che ci circonda. Mi scuso in anticipo in quanto alcune parti potrebbero rimanere senza adeguato approfondimento. Vedremo più avanti in altre sedi se sarà il caso di approfondire. Per ora iniziamo con alcune considerazioni.

Prima parte: il seme della comunicazione

Per me logica e astrazione sono un tutt'uno con il linguaggio. Il linguaggio matematico è ancora un linguaggio simbolico e quindi fa parte della più grande famiglia dei linguaggi e della logica, in quanto composto da segni, legati a suoni e/o significati astratti, ordinati in un flusso vincolato al tempo che è un tempo ordinato. Per capire il collegamento che vorrei indicare tra astrazione e linguaggio proviamo a considerare la famosa pipa di Magritte (QUI) poi proviamo a rovesciare il concetto: nell'istante in cui processiamo linearmente il pensiero ne facciamo un tempo scandito secondo un metro per noi logico capace di legare cause ad effetti che "non esistono". Meglio, si tratta della logica del paese delle meraviglie, cioè cause ed effetti hanno un legame arbitrario che prende significato solo perché si riproduce nella realtà (come nel mondo delle meraviglie di Alice) con precisione impeccabile. Come si evince ad esempio dal brano tratto dall'incontro con il bruco: "[...] Poi discese dal fungo, e se ne andò strisciando nell’erba, dicendo soltanto queste parole: — Un lato ti farà diventare più alta e l’altro ti farà diventare più bassa. "Un lato di che cosa? L’altro lato di che cosa?" pensò Alice fra sè. — Del fungo, — disse il Bruco, come se Alice lo avesse interrogato ad alta voce; e subito scomparve [...]" [fonte QUI].

Oltre al linguaggio simbolico, per me esiste un "mediatore rappresentazionale" che non corrisponde esattamente al "linguaggio non verbale" ma piuttosto a un "non liguaggio" che conserva una sua struttura. Per distinguere queste due "modalità del pensiero", potrei chiamarle "processo logico" e "processo sistemico". Del primo possiamo avere una idea semplicemente per tramite del linguaggio verbale e della sua necessità di ordine temporale, ma con il secondo? Si tratta di un ordine spaziale, ma non proprio geometrico nel senso figurativo. Per capire quello che vorrei indicare con "processo sistemico" proviamo a osservare le cose che abbiamo attorno prive del verbo o di qualunque altro riferimento simbolico, "sapendole" comunque riconoscibili e ben distinte dal resto dell'ambiente dove si trovano. Quel che rimane è un complesso di stimoli percettivi "vicini" alle informazioni sensoriali, organizzati secondo strutture che occorrono per distinguere ciò che si può ignorare da ciò che (non potendo essere ignorato) attrae (come il potenziale cibo) o respinge (come il potenziale pericolo). Il "processo sistemico", lungi dall'essere più "semplice" del linguaggio, rappresenta ogni "ente" rappresentabile fuori dallo schema simbolico. In sostanza non è "solo" la struttura atomica del simbolismo, ma la sintesi della conoscenza esperienziale. Non si può in alcun modo "ridurre" il "processo sistemico" nel linguaggio, anche se ci può avvicinare usando figure retoriche o realizzando opere d'arte. Questo perchè il linguaggio simbolico (di cui fa parte anche il linguaggio non verbale) è un tipo specifico di "mediatore rappresentazionale" e precisamente un sottogruppo specializzato. Il "processo sistemico" comune è tipicamente "esterno" a quello del linguaggio, per ciò ci appare sempre caotico, slegato dalla catena di causa ed effetto, ma le cose non stanno proprio così, soprattutto quando ragioniamo con un principio. Pensiamo alla frase: "In principio era il Verbo [Lόgos], il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (Giovanni 1:1,2). Dal punto di vista della catena di causa ed effetto, "Verbo" e "Dio" collassano, ma è solo una certa logica a farne le spese. Se scrivo che il principio è il Big Bang nella "big bang theory", la faccenda non cambia. Ma nemmeno se dico che i principi del pensiero non ci appartengono, oppure che l'energia di punto zero è il principio di ogni manifestazione di energia. Insomma, basta "stabilire l'idea" di principio che questo si configura come un "mediatore irrazionale" perchè esce dallo schema lineare della causa e dell'effetto, ma questo non impedisce alla rappresentazione di essere l'origine per uno schema lineare di causa ed effetto e (soprattutto) non ci dice nulla sulla apparente mancanza di logica. Per questo il linguaggio è un sottogruppo specializzato di rappresentazioni astratte adatto a "indicare" non a trasmettere, più o meno come i cartelli indicano le direzioni desiderabili in un viaggio. Se però un cartello indica una destinazione falsa, questo lo possiamo scoprire solo percorrendo la strada indicata, cioè la catena di cause ed effetti che da quel principio derivano.

Ora, il principio come "ente" è ben rappresentato dallo specchio. Cioè, il punto dove la luce rimbalza completamente su una superficie e torna indietro costruendo un angolo di riflessione (idealmente infinito cioè "qualunque") e uno di rifrazione (idealmente zero). L'opposto allo specchio è la trasparenza che è il principio del corpo che non devia luce. C'è poi il corpo trasparente che agisce sull'angolo rifratto (idealmente infinito) ma non su quello riflesso (idealmente zero): la lente. A margine vorrei evidenziare un paio di cose: angolo rifratto e riflesso agiscono su due metà di una superficie, rispettivamente 180° per ogni metà, ma 180° è la stessa distanza che abbiamo osservato esiste nel rapporto tra la somma degli angoli interni di un poligono regolare e quello successivo nel mio POST precedente. La seconda cosa che vorrei far notare riguarda l'angolo di deviazione di un raggio di luce pari a zero. Il questo caso il corpo non produce ombra, ma questo non significa che non può essere presente fisicamente.

Da ciò si deduce che allegoricamente lo specchio è una porta verso mondi dove si riproduce una fisica differente in parte descrivibile da rapporti geometrici che ritroviamo nella nostra esperienza e che possiamo rappresentare anche in modo astratto. D'altro canto le Ombre per i nostri occhi sono essenziali, in quando costruiscono la profondità nel rapporto tra le distanze volumetriche. Consideriamo ad esempio questa foto QUI.

Quindi riassumendo questa prima parte: il linguaggio è alla base dei processi logici che strutturano il tempo lineare associando cause ad effetti, ma è anche una rappresentazione specifica di una struttura più vasta vicina all'esperienza sensoriale. L'astrazione è quindi un prodotto del linguaggio simbolico e rappresenta l'opposto rispetto al "vero" che è sempre una rappresentazione ma dell'esperienza sensoriale organizzata collassata nell'istante propria dell'esperienza mentre la si compie, cioè senza componente astratta. Siccome l'esperienza esiste solo mentre viene compiuta, non è rappresentabile in un linguaggio. Il linguaggio costruisce la percezione di un ordine e di un tempo che è un legame arbitrario tra accadimenti, percepito come tale perché questi si riproducono con regolarità nell'esperienza.

Prendiamo l'infinito e lo zero, due concetti astratti che non hanno rappresentazione nell'esperienza "qui ed ora": come la mettiamo? Come posso rappresentare "lo spazio infinito" se faccio solo esperienza di uno spazio finito? Come posso immaginare di rappresentare qualcosa che "non esiste" come nel caso dello zero? Non ho una risposta a questa domanda, ma posso ipotizzare che queste conoscenze provengono da ciò che sta oltre il confine dello specchio. Zero e infinito sono due principi, due confini, rimangono sulla superficie dello specchio e io ne faccio esperienza esattamente come principi. Tuttavia l'inifito è un concetto lontano, complicato, mentre lo zero (che è l'altra faccia della stessa medaglia) rappresenta la mancanza, che per definizione è "ovunque e in nessun luogo" sempre appena fuori dalla portata dei sensi.

Seconda parte: l'albero della tentazione

Ora non spaventatevi per la complessità della frase che segue: per me l'esperienza della nostra realtà fisica è rappresentata da un frattale costruito in un ologramma dove il tempo è una serie di istanti collassati e quindi fissati come istantanee entro lo stesso frattale. Noi passiamo da un istante all'altro con l'illusione di vedere un movimento (quindi una catena di cause ed effetti) perché passiamo da un punto a un altro dello stesso frattale nello stesso modo geometrico, "cambiando prospettiva". La velocità con cui passiamo da un istante all'altro è quella della luce. In altre parole non è la luce che va a 300mila Km/s (circa) ma siamo noi che ci spostiamo producendo quella velocità da "un istante fisso all'altro" percorrendo il frattale. I fenomeni che osserviamo devono per ciò riprodursi in una scala di velocità più bassa per essere osservabili. Pensiamo ad esempio di filmare un fenomeno che accade entro 1/100 di secondo. Con una cinepresa che riprende 30 fotogrammi al secondo, non lo potremmo catturare. Così tutti i fenomeni che oltrepassano la velocità della luce per noi semplicemente non sono riproducibili entro la fisica di questa esperienza. Inoltre se ci avviciniamo alla velocità della luce la massa aumenta: questo corrisponde a cercare di forzare una cinepresa a funzionare più veloce dei 30 fotogrammi con cui è stata incisa la pellicola: le immagini accelerano con un effetto moviola fino a quando si ammassano insieme e diventano indistinguibili. Ma perchè riusciamo a capire questi principi di fisica con esempi che riguardano il cinema? Perchè la nostra è una esperienza che si ripete schematicamente a diverse scale (come un frattale) e inoltre è costruita entro un ologramma per ciò ogni sua parte contiene tutte le informazioni dell'intero frattale. Questo significa che se guardo una foglia potrei leggere le orbite di Nettuno se so come fare.

Se poi dico che non è il tempo che si muove, ma sono io che mi muovo in istanti fermi, non posso non considerare che l'intelligenza non è in me, ma "ovunque e infinita". Seguite il ragionamento dal principio alla catena di conseguenze: noi pensiamo che se spostiamo un braccio "spostiamo un braccio", non che ci sono una serie di bracci differenti in differenti istantanee simili, in cui ogni volta il nuovo braccio "sembra" lo stesso che si sposta perché è una replica abbastanza simile da ingannare la nostra attenzione in modo da immedesimarci nell'idea che lo stesso braccio "si sposta". Il fenomeno è sempre lo stesso del cinema: quando guardo i frame che animano lo schermo video, non penso "ecco ci sono tante foto fisse simili che sotituite velocemente una con l'altra mi danno l'impressione che in quel riquadro di luce stia accadendo qualcosa", semplicemente guardo quanto accade è perché desidero immedesimarmi nella storia finisco per integrare completamente la mia attenzione entro il quadro di accadimenti del film incollandoli allo sviluppo della storia. In questo modo non sono solo spettatore passivo trascinato dagli eventi ma parte emotivamente compartecipe della racconto narrato (cioè del tempo linguistico). In altre parole, non ho governo degli accadimenti se non vanno come desidero perchè rispettano geometrie del libro di cui sono pure autore che mi costringono a ricostruire schemi che percorrono nello stesso modo lo stesso frattale, ma posso avere pieno governo delle emozioni rispetto gli accadimenti narrativi a patto che mi riapproprio della gestione della mia attenzione. In altre parole il cinema della vita appiccica l'attenzione alla narrazione e impedisce il distacco verso la rappresentazione esterna a quella narrazione, così impedisce di comprendere in che modo rimaniamo governati emotivamente dalla narrazione. Se mi racconto "mia madre è una stronza", questo scatena un emozione che non risolta mi lascia vincolato allo schema narrativo che mi costringerà "obtorto collo" a ripetere l'esperienza che riconferma che "mia madre è una stronza". Se inizio a guardare le narrazioni che costringono mia madre a comportarsi in quello specifico modo, mi accorgo che è la narrazione che domina il comportamento di mia madre e di riflesso che sono dominato da una narrazione speculare. Se la relazione con mia madre termina prima di riuscire a risolvere il conflitto, avrò molte relazioni "stronze" che replicheranno lo stesso schema narrativo. Ma questo significa che c'è un intelligenza che governa ogni accadimento, niente accade a caso e ciò che accade ha lo scopo primo di costringere la persona a ripercorrere il passo del libro della vita che sto riproducendo. In questo modo conquisto l'autonomia emotiva, non quella narrativa. Faccio cioè esperienza delle mie emozioni e ne prendo coscienza.

Emozioni che poi sono una sola: l'Amore. Peccato che in questa esistenza, vincolata alla narrazione, l'Amore non si esprime mai come emozione piena, ma sempre e solo come un infinita varietà frazionata di sfumature di "colori" tutti duali, cioè con un lato positivo e uno negativo, dato che tutte le emozioni sono sature e la mancanza di saturazione costruisce l'ombra (mescola tra chiaro e scuro) che è "dentro" nel colore. A sua volta l'ombra non è che un gioco di angoli nella deviazione della luce (rifrazione e riflessione) quando colpisce gli oggetti, allo stesso modo l'emozione è una deviazione di angoli della nostra attenzione quando colpisce il significato nell'istante narrativo.

Spero di essere stato abbastanza eloquente. Come per gli altri POST, attendo con piacere i commenti e devo aggiungere che, nonostante i miei timori, non posso che essere soddisfatto e ringraziare quanti hanno commentato fin'ora ... i vostri contributi sono stati tutti splendidi e stimolanti.


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ignorans
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Mi sembra tutto molto esagerato. Ma te, non ti senti un po' esagerato?
Io ti sento troppo attivo, troppo proteso verso la conquista (?).
È tutto più semplice, rilassiamoci.
Esiste solo l'infinito. Nient'altro.
In ogni caso, in quanto umani, non abbiamo bisogno di questa sapienza. Noi dobbiamo operare e valutare. "ho fatto bene", "ho fatto male", se ho fatto male, cambio. Non c'è altro. Il problema è solo non riconoscere l'errore e non cambiare. Che è il comportamento più comune.
Inutile assorbire troppa "conoscenza", tanto eventuali rivelazioni non ci possono essere "date".


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GioCo
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Mi sembra tutto molto esagerato. Ma te, non ti senti un po' esagerato?
...

Beh, si. Mi sento proprio così, ma cosa posso farci? Come per Socrate e il suo "demone" è come sentirsi padroni del destino solo fino a quanto il destino permette.

Possiamo provare ad abdicare alle perentorie "richieste" di ciò che sta oltre i nostri limitati sensi. Ci ho provato @ottavino, non sai quante volte a non esagerare. Purtroppo non sono stato e non riesco ad essere tutt'ora uno studente disciplinato in nessuna materia, tanto meno quelle "esoteriche". In realtà per quasi tutta la vita sono stato etichettato -a ragione- come un testone e uno sveglione (da leggersi "ritardato") con la testa tra le nuvole. Ora mi accorgo che questo aveva un significato profondo, ma anche che "leggerlo" non equivale a riuscire a comunicarlo.

Abbi pazienza. Sono fatto così ...


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vic
 vic
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Non mi ricordo più quale artista pittore rispose alla domanda di cosa volesse esprimere col suo quadro: ognuno lo vede dal proprio punto di vista interiore, percio' il quadro ha vita propria e io non lo posso spiegare, disse.

Cio' vale in genere per qualunque opera d'arte.

Ho letto a gran velocita', come si usa dire "in diagonale", i contributi di GioCo.
Percio' mi limito a qualche assonanza o dissonanza che ho avvertito.

Interpretare il linguaggio come forma logica lineare, una forma di consecuzioni logiche, mi sembra applicabile alla lingua, alla musica, forse sovente al pensiero, ma non mi sembra una caratteristica generale del linguaggio.
Infatti il linguaggio visivo dispone anche di consecuzioni spaziali, oltre che temporali. Molti predilicono il ragionamento visivo a quello linguistico, forse perche' sono piu' predisposti a quel tipo di ragionamento, intrinsecamente assai parallelo, quindi con componenti che esulano da causa ed effetto. Anche l'intuizione, in fondo, è una forma di ragionamento saltando a pie' pari tanti ragionamenti logici. Si puo' dire che potrebbe basarsi sull'esperienza, sia propria sia forse collettiva o, magari, collezionata e deposta la' fuori da chissa' chi.

L'esempio della vita come libro mi ricorda certe teorie matematiche, in particolare la geometria algebrica, per cui lo spaziotempo ha suppergiu' la forma di un libro dalle molte brane (le chiamano cosi' anziche' pagine, ma il concetto e' quello). Di modo che si potrebbe dire che tutte le vite possibili stanno in questo universo fatto a pagine e poi la vita di ognuno, ma anche di ogni singola particella, dipende dal come si percorre cotal libro.

Invece l'esempio del film che tenta di riprendere le ruote a raggi che girano troppo veloci lo interpreto diversamente. Infatti in realta' si produce un fenomeno che tecnicamente viene chiamato "alias". Succede che se la ruota gira piu' veloce del numero di riprese al secondo che la cinepresa e' in grado di catturare, allo spettatore appariranno delle ruote che girano indietro. Fenomeno tipico di tanti film western con scene di carri in corsa.
Per analogia si puo' dire: se cerco di interpretare delle cose che vanno troppo veloci per il mio pensiero, va a finire che comincio a pensare all'indietro.
Oppure: se cerco di andare piu' veloce di quel che mi e' permesso finisco per correre indietro anziche' in avanti.

Il fenomeno dell'alias, che trovo molto interessante come spunto di riflessione, lo si riscontra anche nell'acustica, campionando un suono. Se quel suono contiene frequenze troppo alte rispetto alla campionatura, ecco che verranno udite come dei bassi anziche' come acutissimi.

Eh, questi benedetti Egizi continuano a stimolarci, pur dopo cosi' tanti secoli, millenni addirittura. E' intrigante la descrizione dell'occhio di Horus come serie di frazioni, utte potenze di 1/2. Pare che il termina matematica derivi dal nome della dea egizia Maat. Qualcosa sappiamo su come calcolavano gli antichi egizi. Si sa che usavano solo frazioni unitarie. Ma in genere e' piuttosto poco noto da dove venisse quella loro sapienza di manipolare i numeri. Loro sostenevano che fosse stata opera d'insegnamento del dio Toth. Ma il mistero mi pare assai piu' fitto.

Se hai occasione, GioCo, procurati il libro scritto da un architetto che ha studiato con assiduita' le dimensioni della piramide di Giza. Egli e' giunto a conclusioni sbalorditive: quell'antico monumento contiene in se' una serie incredibile di proporzioni numeriche da lasciare allibiti, in quanto esse sottintendono, oltre ad una conoscenza dei famosi numeri irrazionali "pi greco", sezione aurea "phi" e numero di Eulero "e", pure una conoscenza molto avanzata della Terra, delle sue dimensioni e del fatto che fosse sferica. Tutto cio' espresso da quel silente, immane monumento di pietra. Come puntino sulla i, pardon sulla piramide, il nostro architetto studioso della piramide, s'e' convinto (e convince) che in cima non fosse posto il piramidion, bensi' una sfera, a simboleggiare il sole. Ed ecco che allora si capisce perche' le facce della pirmide di Giza non siano propriamente piane, ma composte da due sottofacce che formano un leggero incavo concavo: tutti quegli spigoli, concavi e convessi, che si dipartono dalla cima, simboleggiano verosimilmente i raggi del sole. Tout se tient!

L'intrigante, recente libro (in spagnolo) sulla struttura architettonica della piramide di Giza e' questo:

Miquel Pérez-Sánchez Pla
La gran pirámide
Clave secreta de la Atlántida
ed. Larousse

Lascia piuttosto allibiti anche l'altissima precisione dei rapporti numerici espressi dalla piramide di Giza, così come li presenta Pérez-Sánchez Pla.


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GioCo
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...
Interpretare il linguaggio come forma logica lineare, una forma di consecuzioni logiche, mi sembra applicabile alla lingua, alla musica, forse sovente al pensiero, ma non mi sembra una caratteristica generale del linguaggio.
Infatti il linguaggio visivo dispone anche di consecuzioni spaziali, oltre che temporali.
...

Perdonami @vic se ti rispondo solo su questo pezzetto. Il resto mi richiederebbe troppo tempo e forse non vale nemmeno la pena, nel senso che fornisci spunti di riflessione che vanno ponderati con più calma.

Per il liguaggio mi dai l'occasione di affrontare una questione che temevo, cioè l'idea non voluta che scrivi. Il problema forse è che non sono partito dai ragionamenti temporali. Cerca di seguirmi, perché la questione non è complessa da capire, ma rimane complessa da comunicare. Prima di tutto, tieni a mente che l'esempio lineare è un esempio di ordine temporale. Il linguaggio non ha un ordine temporale definito (per esempio in latino) ma ce l'ha la fiaba ed è da questa che parto, dato che è cugina stretta del mito che a sua volta è una forma scritta di racconti orali. Quindi il problema è che se voglio legare grammaticalmente una frase perchè abbia senso compiuto ho bisogno di collocare in un ordine temporale le parole vocalizzate e nel racconto orale ho bisogno di dare un ordine spaziale alle parole scritte. Tuttavia puoi essere d'accordo con me che l'ordine temporale viene prima di quello spaziale nella narrazione. Allo stesso tempo se guardo un quadro di Giorgione (uno dei tanti che nasconde la geometria sacra in quadri allegorici) scopro un infinità di "racconti" senza un ordine temporale preciso, affastellati "a casaccio", ma che non perdono per questo significato. Anche Giorgione usa simboli, come chi scrive, ma mentre i suoi quadri sono rappresentazioni che partono da un ordine geometrico per organizzare i simboli, nel caso di un ordine temporale si costruise una narrazione. La narrazione semplifica la rappresentazione, fornisce una chiave di lettura possibile e (cosa più importante) può conservare le allegorie (proprie della rappresentazione) che sottendono altri significati. Tuttavia nella narrazione in primo piano emerge un ordine temporale, consequenziale, degli accadimenti. Noi tendiamo a vivere di narrazioni, siamo abituati a relazionarci con noi stessi per tramite delle narrazioni. Questo è coerente con l'abuso di orologi e cronografi di questi tempi. Ma la mente non pensa per narrazioni, di suo pensa per rappresentazioni. Basta osservare cosa succede quando sognamo dove il linguaggio molto raramente è protagonista. Quindi, penso che la prevalenza di un pensiero narrativo sia frutto di una specifica educazione.
Questa specifica educazione è l'apprendimento di una lingua, cioè un linguaggio, senza il quale conservo la capacità di rappresentare ma perdo quella di narrare.

La narrazione è quindi una capacità intriseca del linguaggio e il linguaggio è un potente mediatore (=strumento cognitivo) per organizzare gli eventi temporalmente. Così riesce a essere più chiaro?


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vic
 vic
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chiarissimo!


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