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Differenziamento Vs Identità


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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Nell'intorno, qualsiasi superfice percepita, non importa quanto appaia uguale, è differente per confronto rispetto un altra, anche se prese "piccole a piacere". Perché non controlliamo le molecole, il loro movimento o le loro interazioni.

Attorno abbiamo un tripudio del differenziamento manifesto ininterrotto che si moltiplica in infiniti istanti unici, mai uguali a se stessi.

Ma le cose non "appaiono" in quel modo. In effetti tante appaiono invece identiche a se stesse.

Newton definisce il tempo come un accadimento identico a se stesso. Come un pendolo che oscillando costruisce un ritmo e su questo concetto ci "dona" equazioni che descrivono i fenomeni tanto bene che le usiamo ancora oggi per la vita di tutti i giorni. Ma la scienza ormai "sa" che quello non è il tempo e che Newton poteva chiamarlo "pippaminchia" ed era uguale. Ma allora cos'è il tempo ?

Ovviamente non sono qui a fare altro se non proporre temi di riflessione spingendo lo sguardo un poco oltre la visione limitata e propria dei recinti che ci opprimono, dato che mi presento come l'assoluto miserabile che sono, del tutto non qualificato per fare quello che sto per fare.

Tempo e spazio non sono (idealmente) due dimensioni separate e questo lo dobbiamo alla relatività di Einstein. Se lo spazio non è mai uguale a se stesso, nemmeno il tempo è uguale, ma dipende dal punto in cui viene misurato. Furbamente Einstein quindi "dice" (senza dirlo) che il punto infinitesimo dello spazio ha un valore finito di pulsazioni misurabile e tuttavia esso si esprime in modo "elastico" e quindi tende a essere "simile" ai luoghi a lui più prossimali ma a divergere tanto più aumenta la distanza.

In altre parole lo "spaziotempo" di Einstein è nell'infinitesimo newtoniano oltre che "puntiforme". Poi però alle scale superiori le cose si complicano e quello che possiamo vedere e misurare non è che "la media" di un comportamento caotico più generale sottostante. Dato che quindi la nostra rimane una visione approssimativa degli eventi che ci circondano, possiamo studiarli per lo più in via statistica e sommaria, perché i valori misurati saranno sempre approssimazioni. Secondo l'idea che oggi la scienza ha della realtà ovviamente.

Lo "spaziotempo" così definito si abbina perfettamente al concetto di simulazione digitale. Come fosse stata ideata apposta, si "sposa" perfettamente con la riproduzione del "mondo virtuale". Tutto ciò che accade entro lo spazio simulato diventa quindi solo un problema di "dettagli" riducibili a manifestazioni puntiformi. La questione quindi non è come copiare la realtà, ma cosa includere e cosa lasciare perdere.

Dal momento che il digitale è un Mondo intrisecamente (e rigidamente) esclusivo e divisivo, considerare la dimensione virtuale pone il problema dell'inclusione. Che nella realtà è invece implicita. Per esempio nelle simulazioni che diventeranno un tema sempre più centrale e dirimente in tutti gli ambiti, militare, di ricerca e sociale. Per esempio con l'intelligenza artificiale e le sue "prodezze" stupefacienti.

Ma sotto c'è molto, troppo di più. Per ciò questo è uno di quegli argomenti che mi "fa litigare" col mio demone. Al solito fare con lui a braccio di ferro è una partita persa in partenza. Per cui come sempre dopo aver tirato a lungo protestando la mia inadeguatezza, chino il capo ed eseguo.

Per parlare di questi argomenti è necessario tornare "indietro", non soltanto nel tempo ma anche nella "dimensione" e sprofondare in quella che chiamo eufemisticamente "realtà esotica".

Partiamo da un punto fermo, del tutto arbitrario: siamo qui per vivere il distacco. Da chi e da cosa ? Facciamola semplice: Cuore e Mente in noi sono divisi. Raramente i nostri desideri profondi emotivamente guidati possono essere espressi in accordo con la realtà vissuta. Ma se ci guardiamo attorno questa non è "la norma". Negli animali per esempio non funziona così... E noi glielo invidiamo. Quindi già dovrebbe essere intuitivo che l'argomento che andiamo a toccare è "vasto a livello devastante".

Lungi da me quindi dal targiversare troppo, cercherò di focalizzarmi sulla questione verso cui intendo dirigere l'attenzione. Tenendo conto di quanto constatato fin qui, cos'è "identità" e cos'è il suo diametrale opposto "differenza" ?

Dalle monoculture in agraria al pensiero unico, giù giù fino l'eugenetica, questa è una faccenda che non ci può lasciare indifferenti, perché ha letteralmente invaso la nostra quotidianità, ne più e ne meno che gli alieni di "Mars Attacks!", un po' sfottendo le nostre ridicole reazioni scomposte e fuori luogo, un po' cinicamente sfruttandole.

Tutto questo deve finire.

"Identità" è qualcosa che ci caratterizza e ci rende possibile interagire, al punto che la psicologia lo ritiene un elemento cardine del nostro equilibrio psicofisico. Ma è così ? Insomma. Non esattamente. Tanto per cominciare al solito "non esiste" una identità. Fisicamente intendo. Noi combiamo istante dopo istante e quello che ora sono, dopo un istante non lo sarò più... Mai più! Così per ogni istante e quindi come nel caso di Newton quella che noi chiamiamo opportunisticamente "identità" è una realtà "identica a se stessa" di noi stessi quantomeno sommaria e approssimativa, prossimale temporalmente e lasciata al vuoto di memoria. Basta guardare una foto del nostro passato per "sbloccare un ricordo" e rendercene conto. Questo ci può far soffrire e (la sofferenza) non è un aspetto secondario dell'equazione che andiamo costruendo. Perché sottende il concetto della "perdita" che a sua volta "non esiste" dal momento che si può "perdere" solo ciò che è uguale a se stesso, se non esiste "oggettivamente" e non è riscontrabile una tale uguaglianza fisicamente, non si può "perdere" nulla. Si guadagna e basta. Tuttavia il concetto di sofferenza riporta verso un altra dimensione che non si può semplificare troppo ma non intendo approfondire ulteriormente l'argomento in questo breve contributo, dato che ci porterebbe troppo lontano.

Dato che "fisicamente" l'identità tende ad associarsi ad esperienze dolorose, allora "strategicamente" tendiamo a relegare tale concetto alla metafisica. In sostanza adottiamo maschere sociali che essendo "creative" e astratte non sono soggette a deperimento e si adattano meglio alle nostre esigenze. Come vestiti. Così faticosamente passiamo la vita a cucirci addosso identità socialmente riconosciute dal gruppo etnico di riferimento dove viviamo e siccome la nostra è mercantile, disponiamo di un "supermercato" preconfezionato delle identità dietro cui nasconderci. Come quella di medico, insegnante, studente, operaio o quello che volete. Purtroppo il demonio fa le pentole ma non i coperchi e quindi tali "identità astratte" che apparentemente costruiscono linguaggi "identici a se stessi" affini alla geometria e alla matematica, sono per principio senza limiti e quindi tendiamo ad accumularne (come i vestiti negli armadi) e spesso senza volere ne "raccogliamo" di indebite o indegne che gli altri ci affibiano "obtorto collo". Per esempio ladro, maleducato, violento o di nuovo quello che volete voi. Tra l'altro questo ha tantissimi effetti a ricaduta "sgradevoli". Ad esempio chi domina l'attribuzione "ufficiale" di queste etichette può decidere chi è propo e chi è repropo, chi è degno e chi invece è indegno di fare parte della società e l'identità diventa automanticamente un arma a doppio taglio. Tanto può servire ad un altro per offenderci, altrettanto occorre a noi per difenderci. Non possiamo farne a meno ma assumerla diventa rischioso. Con l'evoluzione verso un denaro digitale il cui valore è garantito dalla virtù che un ente terzo (tipo intelligenza artificiale) garantisce a suo insindacabile giudizio è chiaro dove andremo a parare. Anche perché la prova generale pandemica se mai ci fosse venuto il dubbio, ce l'ha tolto.

L'identità quindi è quello che in questo mondo ci caratterizza e ci "rende individui" riconoscibili, ma al contempo è anche il nostro punto di debolezza sfruttabile da chi furbescamente intende ridurci a meri esecutori del suo capriccio. Più quindi daremo collettivamente valore emotivo all'identità "guadagnata" (cioè concessa dall'alto) e più saremo schiavi di furbastri vari che se ne profitteranno perché ne faranno merce di baratto, in cambio della sua eligibilità. Vedi ultimamente ad esempio medici radiati dal loro ordine per avere fatto il loro dovere e la scelta sofferta (anche legale) che questo ha comportato.

Il differenziamento poi ha un altra accezione che dopo questa breve disamina inizia a confondersi con quello di identità. Se identità o identificazione è qualcosa di uguale a se stesso, fisicamente impossibile ma idealmente replicabile in via univoca come una astrazione, ad esempio un trinangolo equilatero o un simbolo come l'infinito, poi cumulabile a piacere perché risponda a un principio di rarefazione ed esclusione, come una casata nobiliare, la differenziazione è la normale espressione che viviamo istante per istante a partire dal nostro corpo, ma non è in alcun modo "rappresentabile" astrattamente se non per approssimazione.

Se la realtà è quindi implicitamente inclusiva ed eternamente cumulativa, l'astrazione è implicitamente esclusiva e ripetitiva. Dato che la realtà è connessa con il Cuore e la Mente è separata dal Cuore, allora avremo tendenze divergenti. La realtà tende a favorire la collaborazione e l'efficienza tramite il Cuore, la Mente tende a favorire la concorrenza e l'efficacia astratta dentro "Mondi alternativi" che devono per forza prescindere sempre più dalla realtà ma che sono per loro natura ossessivi, ripetitivi, stucchevoli, folli. Il Cuore favorisce l'equilibrio, la Mente lo squilibrio. Il Cuore cerca l'adattamento, la Mente la condizione disadattata. Il Cuore c'erca di mettere insieme le parti divise, la Mente di tenerle divise.

Entrambi sono essenziali ma il Cuore ha sempre ragione anche se non si impone. Se la Mente non è al servizio del Cuore allora la sua azione sarà sempre risolta con "assurdità grottesche", pena e patimenti.


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