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Farla Finita?


GioCo
Noble Member
Registrato: 3 anni fa
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Stavo per postare un intervento che giudicavo molto importante e che riguarda alcuni aspetti della nostra realtà nuovi.

Ma ho deciso dopo aver letto questo articolo su CDC di dedicarmi invece a un tema che non ho mai affrontato prima: il suicidio.

Sgombero subito il campo da fraintendimenti: non intendo suicidarmi. Banalmente va contro tutti i miei principi da quando ho memoria di esistere in questo corpo e se mai dovessi morire non di morte naturale (un suggerimento per il mio eventuale omicida? :# ) e con la classica lettera di addio al mondo accanto, avete in anticipo con questo POST la prova provata (se non l'assoluta certezza) che si tratta di un FALSO. Perché una cosa del genere non è nelle mie corde e dubito fortemente che lo sarà in futuro.

Tuttavia non si può ignorare quanti invece la pensano diversamente e trovano nel suicidio una soluzione per affrontare il loro presente. Stranamente, pur mettendo al primo posto il valore della Vita, nella misura in cui c'è un "pensiero pensato" dietro, non sono contrario a nessuna forma di eutanasia o di suicidio e proprio per il motivo che è riportato nell'articolo sopra citato ma in senso sociale: conservare la libertà di decidere della nostra morte. Tuttavia dietro le parole "che evocano" ci sono troppe trappole cognitive e di queste vorrei occuparmi in questo mio contributo per rendere giustizia non al suicida o a chi pratica eutanasia, ma alla riconquista intellettuale nel pieno di un periodo e luogo dove è persa ogni bussola e la Tempesta di stronzate ci obnubila la mente e ci fa brancolare nella Tenebra.

Per capire il trucco che sta dietro il desiderio maturato di suicidio (o di eutanasia) basta spostare l'attenzione sulla resistenza emotiva. Se questo Michele di trent'anni fosse sopravvissuto alla guerra, ad esempio quella in Siria, sono fermamente convinto che l'ultima cosa che gli verrebbe in mente è il suicidio. Questo perché la mente è bastarda (lo ricordo continuamente a me stesso) e le sue trappole sono per ciò incredibilmente efficaci. Una di queste trappole viene a galla quanto nel momento in cui decidi di suicidarti e stai per commettere l'atto e per qualche motivo prendi uno grosso spavento, prima ancora di iniziare a pensare a quello che stavi facendo ecco che scappi come una lepre. A quel punto possiamo chiederci: dov'è finita la voglia di morire? Gli psicologi chiamano questo paradossale comportamento "istinto di autoconservazione" e a lungo si è discusso sul perché a volte sembra incepparsi e altre invece sembra funzionare meglio del previsto. In particolare nel caso del suicidio e dell'eutanasia umane. Anche nel modello animale si osservano casi di suicidio, per ciò è evidente che il meccanismo di autoconservazione che abbiamo ereditato non segue già in origine degli schemi rigidi. Ma cosa succede se lo stesso meccanismo viene messo sotto stress dall'ambiente, per esempio in caso di guerra? Che il cervello affina a tal punto la sua necessità di proteggersi che il pensiero stesso di procurarsi la morte scompare e quando anche dovesse essere messo in atto inizia a costruire un pensiero pensato molto più articolato, come ad esempio mettere a repentaglio la propria vita in una manifestazione per rivendicare giustizia sociale (vedi Palestina o Francia). Per ciò, per assurdo, nella minaccia costante alla propria vita c'è il segreto per la volontà di Vivere.

Ma c'è dell'altro e non potrebbe essere altrimenti perché l'argomento è troppo vasto anche solo per pretendere di aggredirlo in queste poche righe. Mi riprometto come sempre unicamente di riflettere su aspetti di solito trascurati o lasciati impliciti nonostante la loro criticità. Il nostro Michele ci fornisce l'opportunità ad esempio di portare l'attenzione su questo suo "essere stufo". Anche io sono stufo di tutto quello che lui scrive, ma non mi viene in mente che la soluzione possa essere il suicidio nonostante non ho mai vissuto situazioni prolungate di minaccia alla mia vita, come non mi viene in mente che la soluzione per la fame nel mondo sia andare a lavorare per la Caritas o la soluzione per la guerra fredda sia mettermi un maglione in più.

C'è infatti sotto un evidente dissonanza cognitiva che lavora come un tarlo e scava profonde fosse sotto i piedi, facili trappole per la mente. Una di queste riguarda la pressione sociale, cioè quello che la società chiede alle nuove generazioni. Per esempio chiede successo e competizione, ma ti applaude solo se mantieni un profilo "politicamente corretto", anche se chi ha deciso le regole del @GioCo non solo bara quanto più gli aggrada (dice niente "la censura sui social"?) ma al suo barare gli viene garantita la tua correttezza in cambio. Quindi devi trovare lavoro e non fare il furbo quando nel mercato del lavoro le regole sono stabilite esclusivamente e unilateralmente da criminali e furbi che ovviamente sono lì apposta per abusare della loro posizione dominante. Allo stesso modo devi avere successo e adeguarti a contesti che di volta in volta si presentano con volto amichevole ma dietro le quinte decidono regole unilateralmente comunque inique. Dai social all'agenzia interinale, dal call center alla scuola, tutto sembra avvolgersi come le spire di un serpente attorno all'ansia da prestazione disciplinata e corrosiva, di un sistema che ti pressa sempre più nella richiesta di agire impedendoti contemporaneamente qualsiasi movimento etico perché non è etico, pur imponendoti con la forza correttezza etica: alla fine ti trovi a muoverti al suono caotico fastidioso di un palcoscenico grottesco come uno Zombie mentre una giuria sta lì per giudicarti (bene che vada) il peggio possibile per godere della tua sofferenza. A quel punto è per lo meno coerente chiedersi: perché non dovrei suicidarmi?

Perché corrisponde alla richiesta iniziale. Cioè è esattamente il risultato che quel sistema vessatorio, totalitario e austero è orientato a ottenere da te (se sopravvivi non gli freca un ca%%o del tuo successo, qualsiasi successo, e passerà per ciò al piano "B", cioè farti la pelle direttamente perché sei sopravvissuto e per ciò "hai capito", possibilmente con lenta e crudele precisione 5g per il piacere di odiarti in quanto esisti) e non credo proprio che tutto questo sia involontario. Sarebbe come dire che il campo di concentramento nazista era involontario. Come non credo che vedremo altro se non sorrisi e rassicurazioni mentre ci conducono collettivamente (con tanto di gaudente plauso generale) al macello.

Se i vari Michele riuscissero a rendersene conto, sono abbastanza certo che porterebbero la loro frustrazione a un altro livello, appena un pochino più costruttivo socialmente. Come i gilet gialli. Ma ovviamente io rimango nessuno e per ciò il mio parere, non conta niente.


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