Il mito di un mondo...
 
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Il mito di un mondo sempre nuovo che invecchia


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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L'essenza dell'esistenza è Immortale. Ma non le cose che ci circondano, prese come sono dai loro cicli infiniti, mai perfettamente uguali a se stessi.

Per il tratto che ci è dato di Vivere nel Corpo, noi sperimentiamo la possibilità di "vedere" e "conoscere" non per tramite degli occhi o degli altri sensi immersi nella materia, ma dell'Origine da cui fin da principio non facciamo che provare distacco. La morte è un evento che ci porta a conoscere il passaggio tra un ordinario e ciò che lo trascende in quanto ci riconduce alla matrice per essere "riformattati" e ricicciati nella spirale delle nascite.

Siamo come sospesi fra due spazi impossibili il materico e la sua negazione, nell'eterna necessità interiore di contemplare surrealtà a cui proviamo a dare un senso come bambini che provano a descrivere ciò che non comprendono.

Disponiamo di mezzi apparentemente inadeguati, come la parola, per comunicare cose che non possono trovare spazio semantico se non nella sede che gli è propria e che non è il linguaggio.

Attaccati come siamo (in particolare in questo tempo) al corpo, pensiamo che la frontiera sia l'immortalità. Se fosse invece esattamente l'opposto ? Se l'essenza di questa Vita non fosse altro che accettarne i limiti dati con tutte le conseguenze che ciò comporta ? Per esempio "sapere" di quali limiti stiamo parlando. Perché se c'è qualcosa su cui nessuno può obbiettare è proprio che del corpo non sappiamo poi molto. Per esempio (banalmente) non abbiamo idea di cosa rappresenta o di dove può arrivare. Per esempio, quanta forza può sviluppare ? Quanta intelligenza ? Quanta "capacità" di rispondere alle malattie e ai danni fisici ?

Una delle domande che i biologi si sono posti è ad esempio perché i nostri arti non ricrescono se amputati come accade in altri viventi. Non ha senso "evolutivo" apparente perdere un vantaggio del genere che pure era dei nostri antenati genetici, tant'è che altre parti del nostro corpo invece ricrescono... Quindi perché ? Un altro esempio riguarda la forza: sappiamo che una "frequenza" elettrostimolatrice nervosa particolare di alcuni soggetti, sviluppa muscoli d'acciaio e una forza apparentemente sovrumana. Perché rimangono caratteristiche così rare tra gli umani ? Anche questo evolutivamente rimane un mistero sensa senso, come pure il fatto che tali geni "migliori" non si siano ne diffusi, ne estinti del tutto. Da quali antenanti arrivano ?

Tutte queste domande ne imbrigliano un altra che poi è il senso di questo POST: chi è l'Uomo ?! Meglio: riusciamo almeno a definire qualcosa di coerente del suo "corpo" ?

Non sappiamo cos'è, da dove viene, ne perché "viviamo" nel corpo ed esattamente questo corpo... Però interiormente lo vogliamo "diverso"... Viviamo una spinta isopprimibile al cambiamento...

Segno che forse non siamo il corpo. Oh no ?!

Epperò non ci è nemmeno dato sapere cosa siamo. Quindi non siamo ciò che l'apparenza suggerisce, ma non abbiamo idea di quale sia la nostra Origine. Sappiamo invece benissimo dove siamo diretti e come finiremo. Perché la morte è l'unica certezza (insieme alle tasse commenterebbe qualcuno).

Ma al posto che iniziare a sciogliere questo nodo gordiano, decidiamo di rendere incerta ques'unica certezza: trovare l'elisir di Vita Eterna.

Sappiamo solo di stare immersi in un Oceano sconfinato di ignoranza epperò siamo certi di volere togliere l'unica certezza. Perché fa brutto... Morire.

Allora iniziamo a riflettere sul perché l'unica certezza appare a noi brutta. La Vita che fate è pienamente soddisfacente ? C'è qualcuno che conoscete che sia mai stato senza appello, pienamente appagato e felice dandovi modo di "sapere" che quell'appagamento sia anche solo possibile ? Magari possiamo immaginare che qualcuno spiritualmente evoluto raggiunga un certo livello di pieno appagamento. Tuttavia non mi pare proprio che attorno a noi vi sia anche solo la volontà di ottenere questo risultato, tutt'altro... Siamo costantemente scoraggiati anche solo dal provare a pensarlo. Al contempo però come un miraggio irraggiungibile, tale appagamento è ovunque, nei cornflakes ad esempio come in millanta mila altre "beni" di piacere e di lusso, come nella ginnastica, la filosofia, l'esoterismo iniziatico o altre pratiche ascetiche o supposte tali, semi~terapeutiche come lo Yoga e la meditazione.

Insomma siamo pieni di "soluzioni" per ottenere qualcosa che non è mai comunque raggiunto e ci viene detto esplicitamente che non è raggiungibile, però non riusciamo a fare a meno di provarci e in qualsiasi modo la fantasia suggerisca, basta che sia almeno il paliativo del momento che ci fa stare un poco meglio. Un poco più a nostro agio con noi stessi.

Allora volevo sottoporre alla vostra attenzione due documenti, credo impagabili. Soprattutto perché qui dentro, nel digimondo del digiragno, rimangono attrezzi rari, tanto quanto gli oggetti divini nella realtà.

Il primo è un video di Pubble uscito da poco: QUI. Mezzoretta salutare da passare per farci un tuffo nel mito greco, insuperabile nel tradurre certi aspetti del rapporto con il corpo e il Cuore. Non tanto per importanza ma perché è descritta proprio e solo da chi ha narrato meglio di chiunque altro e in modo schietto e sincero non l'elogio all'eroicità e all'onore dei guerrieri, ma all'impossiblità di avere nulla del genere e proprio dalla fonte ultima di tutto l'eroismo e l'onore immaginabile. Come se la guerra fosse l'esatta negazione di ciò che "promette" e non solo per gli uomini, ma anche per il divino.

Insomma la guerra è una disfatta e basta per chiunque e l'unico suo pregio alla fine è che consumando ogni cosa lascia nudi i contendenti a contemplare la loro (oramai) comune sorte miserabile e quindi nella miseria almeno si può tornare in accordo.

L'unico valore è nel distinguere la ragione stolta da quella Saggia e finché non si arriva a quel punto e si torna a riflettere sulla dimensione miserabile che ci avvince, rimarremo "rapiti" dalla fascinazione, qualsiasi fascinazione. Dal Suv alla vittoria in battaglia per la demoniocrazia. L'Ira di Achille si confronta quindi finalmente con l'infinita maliconia di Priamo venuto nella sua tenda di notte per riavere il corpo (sfregiato) di suo figlio. Uomini che hanno perso tutto in cambio di niente e in specie proprio l'onore che per un guerriero è insostituibile. Lo incontrerà poi Odisseo nel suo lungo rientro a Itaca e nella terra dei morti, ove da Signore, Achille gli confesserà che avrebbe preferito nascere povero e contadino che avere incarnato il simbolo degli eroi e trovarsi da morto a governare disperazione.

Bene, ma a noi tutto questo interessa per il 50%. Perché c'è poi l'altro 50% di cui il mito non ci parla. Almeno per quanto mi riguarda e per la miseria delle mie "canoscienze" non ho notizia di miti che ne parlino. Lo chiamo "ciclo evolutivo emotivo". Ne parla indirettamente Dante. Egli chiarisce come la discesa sia un percorso obbligato per arrivare al punto più basso degli Inferi (e dell'animo umano). Non dice che quel percorso è unico per ognuno e che lo è pure il livello di bassezza raggiunto, ma ci fa capire che c'è un panorama più generale che è comune a tutti e quello dobbiamo attraversare (spiritualmente). Non dice che quel percorso è fissato e non è mutabile. Percorriamo esattamente quanto previsto, fin nei minimi dettagli. Questo e solo questo garantisce che alla fine del percorso, nel punto più basso da noi raggiunto (il cocito) ove la freddezza della ferocia non può andare oltre (per noi) tutto il senso di tutto quello che abbiamo vissuto, si rovescia. Non ci chiarisce neppure bene la risalita che è faticosa e lunga almeno quanto la discesa. Ne del ping~pong che spesso siamo chiamati a sperimentare, nei vari falliti tentativi di risalita precedenti. Perché ce ne sono, ooh se ce ne sono !!! Tanto che quando giunge finalmente il momento di "voltare" in via definitiva direzione, la speranza è morta. Del tutto. Per sempre.

Non si può tornare indietro, non c'è modo di tornare indietro ed è quella la speranza che noi coltiviamo, quello il tentativo perpetuo che ci vede nel fallimento imperituro. E' impossibile non coltivarla (la speranza) finché si discende perché al peggio non c'è mai fine e noi è esattamente quello che sperimentiamo "meglio": il peggio. Sempre il peggio che peggiora mentre si procete. Come il corpo e l'età. Il meglio banalmente "scivola" via e lo fa tanto rapidamente e fatalmente da acuire il senso di perdita che invece non fa che pigliarci doverosamente a schiaffoni senza soluzione di continuità. Come se contribuisse a rendere maledetto il nostro destino già non particolarmente desiderabile di suo nelle premesse: "lasciate ogni speranza o voi che entrate". Perché è esattamente quella che verrà consumata tra i nostri "personalissimi" gironi infernali...

Dicevo quindi quel 50%: l'Iliade inizia 51 giorni prima dalla disfatta di Troia e non arriva a narrare del cavallo. Finisce con la fine di Ettore (praticamente) e l'epilogo tra Priamo a Achille. Per ciò non ci chiarisce un fondamentale: come ci sono arrivati a quel punto "emotivamente" ?

Emotivamente ogni costrutto giustificativo... Diremmo noi oggi ogni "propaganda" con le parole di Bernays, quindi anche la pubblicità che è il contributore netto della mitologia nostrana, quella "società dei valori e della demoniocrazia" sbandierata, fondata sul profitto, che non ci lascia spazio per fondarne una sul buon senso ad esempio... Dicevo ogni costrutto giustificativo deve "montare" come la panna... Non arriviamo subito a desiderare la fine di qualcosa o di qualcuno, deve essere un percorso storico ed evolutivo proggressivo ed è quella la discesa che percorriamo pedissequamente. Tanto nel traffico quando incontriamo il classico "imbecille" che si para tra noi e la libertà di un percorso "migliore" ma impossibile, quanto quello che si para tra noi e qualsiasi altra brama coltivabile. Cioè "la qualunque" immaginabile. Quanto è stato "macinato" (di malessere) prima di trovarci alla guida di quell'auto nel traffico a "mangiarci il fegato" per quello specifico pirla lì ?

Prima ci dobbiamo identificare in qualcosa e la prima cosa in cui ci identifichiamo è il corpo, poi nella proizione del buono e del giusto che desideriamo incarnare. Quando bene siamo il corpo e quella proiezione, lo spirito che fine fa ? Non può essere eliminato, quindi recede (ci accontenta, non si impone) e passa in sordina. Sussurra le minchiate che siamo. Ma noi non ascoltiamo i sussurri, tantomeno le minchiate, preferiamo il rumore che ci "conforta". Meglio se quello "che pompa". Come i tamburi di guerra o di una discoteca (che è lo stesso) per ripetere come i mantra o le preghiere la nostra fedeltà in ciò che è buono e giusto. Allucinogeni, ritualità e stati di allucinazione concorrono a indebolire il senno e il buon senso oltre a "dare la carica" per continuare a vogare nel nulla Cosmico di perpetue facezie, verosimiglianze non bene riflettute ed emotivamente cariche. Cioè giustificazioni che non hanno nulla a che fare con la Saggezza (che è misura, equilibrio e proporzione in specie emotiva) ma tutto con l'Inganno e in specie l'autoinganno. Sappiamo perfettamente di "menare il can per l'aia" ma ci sentiamo "costretti" e guai a chi ce lo fa notare o tenta di farci rinsavire. Il dolore ci costringe a procedere nella discesa e a trascinare con noi chiunque tenti di fare qualcosa.

Ecco che allora il secondo documento che vi propongo pare calzante: QUI. Kerem va in Israele e partecipa alla marcia delle bandiere. Ci racconta di come la massa di individui in Israele scende in piazza e manifesta apertamente per la soluzione finale del popolo palestinese, ormai da troppi anni e nell'indifferenza generale. C'è tutta una cultura dell'odio coltivata dietro spesse mura militari, una martellante propaganda che inizia fin dai primi anni d'età, non per gli autoctoni ma per i loro (odiati) padroni. Come abbiamo visto in altre situazioni, ad esempio in Ucraina o prima in URSS, la cultura è la prima in assoluto ad entrare nel mirino di chi intende fascinare per ragioni di potere ma non lascia certo intonsi coloro che la propugnano, i quali invariabilmente vengono odiati da chiunque e riassumono con ciò la loro propria persecuzione.

Raccontare menzogne credibili al fine di indottrinare coloro che si intende usare come carne da macello non risparmia gli amministratori di tale scempio, a prescindere da qualunque propaganda. Trasformare quindi in utili idioti la carne da cannone umana, non fa migliore nessuno, Uomo o Dio non importa. Alimenta solo la discesa negli inferi dell'animo di tutti coloro che ne rimangono infettati, tanto in epoca antica come moderna.

Infine "l'erba del vicino è sempre più verde" e se per noi è relativamente facile riconoscere l'indottrinamento altrui (che non è il nostro) è solo perché il nostro non riusciamo a considerarlo. Più è evidente, meno possiamo accettarlo. Questo vale per noi tanto quanto per chi è da noi giudicato.

Questo vuol dire che non possiamo giudicare la condotta ebraica a Gaza ? No, certamente che no. Non passiamo da un eccesso all'altro !!!

Comprendere profondamente i meccanismi che ci costringono al giudizio verso chi commette atrocità, significa anche e soprattutto avere ben chiaro che qualsiasi atrocità commessa ha una storia e se siamo anche solo testimoni, siamo coinvolti. Emotivamente. Totalmente. Quindi siamo chiamati ad avere ben chiaro che lo stesso identico destino poteva anche essere il nostro. Non ne siamo "liberi", non ne siamo "scevri". Se lo possiamo vedere, comprendere e condannare è solo ed esattamente perché quel passaggio, da qualche parte, in qualche tempo, nel discendere negli inferi del nostro animo, lo abbiamo percorso anche noi.

Per ciò sappiamo benissimo dove porta e sappiamo benissimo che fa parte della discesa a cui nessuno può sottrarsi. Tutti davanti a una tale "forza", siamo identicamente fragili. Tutti sappiamo che lasciati liberi di scendere, in fondo, troviamo solo il cocito e da lì, solo il punto di partenza per rovesciare ogni senso compiuto ci ha governati fino quel momento.

Lo sappiamo perché se stiamo risalendo, casoami ce ne eravamo dimenticati, il percorso che faremo per risalire è identico ma rovesciato a quello da noi compiuto nel discendere e sempre perché sospinti dalla stessa forza che viene molto, molto prima della nostra Volontà. Questo voleva dire Dante con la legge del contrappasso.

Secondo me...


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