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Logica Emotiva: principi


GioCo
Noble Member
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Partiamo dal principio: le emozioni hanno una logica ferrea, perché sono "la logica" stessa. Non cerchiamo però di provarlo, la verità non ci interessa, ma nemmeno vogliamo e possiamo rinunciare a "vedere", operazione di tutt'altro genere. Posso ad esempio confutare che sono ora seduto su una sedia a scrivere in vari modi, ad esempio introducendo il concetto di allucinazione, ma non posso evitare di vederlo se sono seduto e sto scrivendo. Nemmeno se tutto ciò accadesse dentro la realtà virtuale di matrix. Se io sono dentro matrix e voi fuori, rimane che io vedo quello che vedo e per voi rimane evidente, persino se siete fuori a guardare tutt'altro, ad esempio il mio corpo sdraiato su un lettino a "dormire".

Noi rimandiamo la logica a un processo associativo meccanico, del tipo "se... allora...", se 2 patate fanno 1 € allora 4 patate faranno 2 €. La procedura logica prevede poi la verifica sperimentale, tramite metodo induttivo o deduttivo, ad esempio vado al mercato e verifico che 4 patate fanno 2 €, ma per ora fermiamoci al primo passo che imposta il problema, perché è in quel passo che rischiamo di commettere l'errore educativo di Pitagora. Pitagora fondò una scuola che però era (dal punto di vista emotivo perfettamente logico) costruita intorno alla divinizzazione del suo fondatore. I Pitagorici. Questo processo (molto attivo anche oggi) impedisce la critica da un lato al fine però di garantire dall'altro il successo formativo della conquista di una importante tappa del pensiero nato dall'intuito umano. Solo che ci mettiamo un po' a capirlo e nel frattempo se il principio era una corbelleria, cioé ci deprime emotivamente a livello di coscienza collettiva, può sempre radicarsi in comportamenti e pensieri di massa anche molto, molto cretini. Ci possiamo fare ben poco.

Prendiamo ad esempio la definizione del punto: cos'è un punto? Devo trovare una caratteristica che sia sufficiente a descriverlo in via esclusiva, cioè una caratteristica minima sufficiente per non confondere con altro il punto. Euclide ci darà quella definizione con un altra intuizione: il punto è indivisibile. Notiamo due particolari però: Euclide (furbamente) non ha detto cos'è un punto, ha solo indicato una caratteristica che se da un lato non posso dimostrare sia posseduta praticamente da qualsiasi cosa considero, dall'altro di fatto riduce lo spazio a una massa infinita di elementi infinitesimi (in un epoca in cui il concetto di infinito matematico era sconosciuto) che poi Democrito ha coerentemente diviso in atomo e vuoto, in opposizione alla logica eleatica (di Elea, di cui facevano parte Zenone e Parmenide) tra essere e non essere e le due scuole come la loro contrapposizione sono perfettamente riconoscibili nel pensiero occidentale e in tutta la produzione intellettuale di punta umana del globo.

Perdonate il francesismo, ma che Euclide fosse un paraculo eccelso (pedagogista di faraoni) ce lo dice l'evidenza evidente delle sue affermazioni che seguono con rigore inappuntabile la ferrea logica emotiva, dal momento che introdusse alla chetichella due nuovi termini, assioma e postulato, per indicare punti di partenza di un ragionamento che fossero però fuori discussione. Il filosofo greco non ha dedicato tempo ed energie, come ci si aspetterebbe per coerenza con il pensiero filosofico di cui lui stesso si riconosceva rappresentante, a difendere questa sua impostazione, ma passa subito a distinguere gli assiomi dai postulati, affermando che i postulati sono verità comuni a tutte le scienze, mentre gli assiomi sono meno evidenti e non prevedono l'approvazione dell'allievo (?!) ma riguardano esclusivamente la disciplina della quale si disquisisce. In altre parole Euclide ci dice che con l'allievo era dato per scontato che si doveva discutere ma che circa i principi del suo pensiero non si poteva, in perfetta controtendenza con l'intera disciplina educativa filosofica Greca che richiedeva la necessità pratica vitale di mettere in discussione tutto e sempre.

Tutto tranne l'evidenza evidente, diciamo noi con Euclide, ma accettando che è un opera furba e quindi che la furbizia è un elemento cogente che si insinua nel processo elaborativo del pensiero (tutto il pensiero, buono o cattivo che dir si voglia) integrandosi con esso in quanto parte minima ma insufficiente che però non è eludibile. Questo rende sempre qualsiasi ragionamento imperfetto.

Per fortuna, aggiungiamo noi, c'è spazio abbondante per i secoli dei secoli a venire.

Infatti che il punto non sia definito dalla semplice caratteristica della indivisibilità che è "minima, insufficiente ma non eludibile" è un evidenza evidente, quindi Euclide semplicemente non definisce l'elemento strutturale di base di tutta la geometria (e di conseguenza la matematica del suo tempo) perché ha bisogno di un punto di partenza che non può evitare di definire in modo furbo. Non può fare altrimenti e noi lo vediamo bene, perché è evidente, per ciò finiamo per accettarlo e da millenni discutiamo a partire da quegli assiomi e postulati. La semplice evidenza che per dominare una qualsiasi ragione (estensione di una logica) ci si appoggia ad assiomi e postulati, cioè si deve partire da concetti che non mettiamo in discussione e quindi prendiamo per buoni così come sono, in via furba, condivisa implicitamente e ineluttabilmente, ci assicura che noi non stiamo cercando un impianto logico che prima non c'era, stiamo definendo un ragionamento a partire da considerazioni grezze implicitamente condivise che definiscono una logica (e di conseguenza un procedimento razionale che trascina con sé l'irrazionale) come un artista ricava la sua opera scultorea da un blocco di marmo e siamo tutti d'accordo che quello è il suo scopo, non ce ne è un altro.

Ma cosa succede se arriva una figura che si dichira artista ma riduce in polvere la roccia e inizia a mescolarla con strani liquidi che prenducono fuoco o esplodono "da soli" in modo "spontaneo", al fine di studiare questa nuova categoria di fenomeni per farne colori da mettere sulla tela? Oggi sappiamo che si tratta di reazioni inscrivibili in scienze chimiche e che la vita fonda i suoi meccanismi su queste reazioni tra gli elementi. Ma ancora una volta, prima di passare a considerare in modo "freddo" queste scienze, dandogli basi solide che poggiano su altri postulati e assiomi, ne abbiamo fatto un culto esoterico che oggi conosciamo con il nome di alchimia, cioè ancora una volta abbiamo costruito una dottrina spirituale di carattere almeno in parte segreto o riservato che però ha sempre la tendenza a individuare i suoi propri epigoni nelle "figure fondatrici" di quella dottrina, come accaduto per Euclide, da mettere pedissequamente al di sopra dell'Umanità in generale.

Tanto forte è questa tendenza che oggi fioriscono come in primavera dottrine di ogni sorta che (guardacaso) hanno sempre come promotore un individuo che diventa (non si sa mai bene fino a che punto disinteressato) suo malgrato portatore simbolico di riferimento di questa "nuova" dottrina, sempre dotata di principi che elevano a "essere superiore" il portatore dell'intuizione e per estensione ogni suo seguace, in quanto "baciato" dallo spirito che lo ha eletto, certamente in via più importante rispetto la media comune. Così si formano sacerdoti e sicofanti di movimenti di pensiero pro e contro lo status quo, mossi dalla forza spirituale delle parole che portano dentro la vitalità dei principi, assiomi e postulati vari.

Prendiamone una, non certo la più assurda: la terra piatta. Dato che non ci importa confutare un assioma, se dico che la terra è piatta però non basta per ciò non è un assioma. Perché "regga", l'atto furbo non può in alcun caso mancare di movente, così come i postulati hanno bisogno degli assiomi, ogni delitto ha bisogno del suo movente. Non occorre che c'entri con il ragionamento però, deve solo essere capace di definire i fondamenti di una dottrina "nuova" o che almeno sembri tale. Il movente dei terrapiattisti ad esempio è (in allegorismo perfetto rispetto la semantica emotiva) che "il governo ci ha sempre mentito" e quindi va da sé che tutto quello che viene affermato ufficialmente, va riaffermato con nuovi postulati che a questo punto diventano per "par condicio" veri, nel perfetto solco della denuncia critica logica ma di una logica emotiva che cerca poi seguaci, non tanto nel terrapiattismo (che rappresenta l'opera pedagogica) ma in individui guardacaso delusi da un eccesso di abuso di potere delle loro istituzioni che sono "pronti" ad accogliere le "nuove verità rivelate". Rivelate, appunto, cioè ricoperte di un nuovo strato impermeabile alla vista, non svelate cioè rese nude allo sguardo, ad esempio denunciando la bugia ufficiale precisa, portanto a proprio rischio e pericolo prove resistnti alla disamina dei fatti oltre che le ragioni di tale falsificazione. Pensiamo ad esempio a Snowden. Infatti tutte le logiche terrapiattiste resistono in via quasi perfetta alla disamina critica più rigorosa capace di confutare i suoi postulati, perché tali postulati poggiano su coerenti assiomi "furbi" e sono quelli che andrebbero attaccati, ma da Euclide in poi tendiamo a non farlo perché questo mette in seria crisi l'impianto educativo e culturale più radicato, gettando quindi anche le basi per una umanità molto più capace di mettere in discussione l'opera di governo e quindi più difficile (ed esigente) dal punto di vista politico. Nessuno ha voglia di fare un lavoro più faticoso e doloroso di quello che faceva prima, men che meno di renderlo dopo ancora più faticoso e doloroso, peccato che se questo lavoro è quello del governante ciò significa implicitamente di pari passo rendere più cretini del governante i governati. Cioè nella misura in cui il governante è giudicabile cretino, riddure maggiormente l'intelletto dei suoi governati perché possano seguirlo.

Osseriamo la politica globale e traiamone le dovute conseguenze.


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