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Privato è meglio (!?)


GioCo
Noble Member
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Come siamo arrivati al dogma religioso "privato è meglio"? Ripassiamo un poco la storia. Nel medioevo gli europei non immaginavano che tra loro e il continente asiatico, procedendo verso occidente, quindi attraversando l'oceano e non verso oriente per le vie di terra dette "della seta", c'erano di mezzo niente popò di meno che alcuni continenti sconosciuti, molte volte più grandi di tutta l'europa. Tuttavia c'era chi sospettava che oltre l'oceano Atlantico c'era qualcosa. Quando Colombo cercò di scoprire questo "qualcosa", in realtà si aspettava di trovare il paradiso e si aspettava di trovarlo in forma di montagna (cioè il purgatorio). Lo so, oggi suona assurdo, ma all'epoca tra le tante idee fantasiose, tipo "il cielo d'oro" e "la terra discoidale" (non semplicemente piatta, c'era chi pensava che l'oceano precipitava nel vuoto cosmico il quel punto remoto oltre il bordo del mondo, come se il mondo fosse un piatto pieno di brodo con al centro l'Europa) c'era anche questa del paradiso in cima ad una montagna che avrebbe dovuto trovarsi da qualche parte oltre l'oceano.

Quindi, il "principio" storico che guidò l'uscita dal medioevo, fu realizzare che c'erano nuove terre ignote da scoprire. Era il 1500 e l'avventura che portava l'uomo europeo a trasformarsi da stanziale e radicato nel territorio in "sradicato e in perenne viaggio" era appena all'inizio. Se ci pensiamo non fu solo una svolta storica come le altre, dato che fino a quel momento l'uomo medioevale aveva immaginato se stesso come il risultato di una evoluzione di segno opposto. Cioè da migliaia di anni le culture del mediterraneo avevano "coccolato" la propria radice storica nel mito antropologico della trasformazione da "sfigati" gruppi tribali e nomadi in civiltà stanziali complesse. Non credo ci volgia uno sforzo eccessivo per capire da dove arrivava quel mito di "terra divinamente promessa".

Non voglio adesso addentrarmi nello specifico del perché e del percome fosse solo un mito, fermiamoci al fatto storico che da un mito di "civiltà stanziale", tipico dei greci e latini, passiamo a un mito di "nuovi territori ignoti da scoprire". A questo mito dei "nuovi territori" si associa un altro mito funzionale al primo, cioè che l'Uomo europeo in quanto scopritore di nuovi territori, aveva il pieno diritto di farli propri. Pazienza che ci fossero già ominidi autoctoni per nulla contenti di essere trattati come bestie e schiavizzati. Dato che non avevano scoperto loro l'europa ma noi loro, dovevano essere per forza semplici bestie e quindi dovevano per forza venire "domesticate" per il loro bene o (se non domesticabili) perseguitate con ogni mezzo come si faceva con le bestie selvatiche. Perché le bestie selvatiche -secondo radice mitica greca e latina- erano per l'uomo da temere o da ignorare, mai e poi mai da adorare e men che meno considerare alla pari dell'Uomo civile (abitante della "civis", cioè le sue proprie strutture urbane stanziali). Solo gli sciocchi e gli stolti adoravano le bestie selvatiche che non avevano una città in cui abitare. La città come segno di stabilità era il punto di riferimento per tendere verso la divinità che era in forma embrionale nell'Uomo. Ancora oggi quella radice mitologica (=credenza) vive aggressivamente nella nostra testa anche se noi la confondiamo spesso con il razzismo che è un altra cosa, perchè riguarda marginali aspetti estetici (o morfogenetici) dell'Uomo e non il territorio, il comportamento o l'etnia di riferimento.

Lo sradicamento del territorio è poi cessato con la fine della scoperta di nuovi territori. Fine che è iniziata con la necessità di trovare spazi di conquista che lo slancio di quel mito "nuovi territori", aveva lasciato in eredità nell'immaginario collettivo. Dato che i territori fisici conquistabili iniziavano a scarseggiare già in epoca colonialista e della spartizione della "torta africana", si inizio con la conquista di territori virtuali e la scienza unita alla fantasia fu il nuovo perno attorno cui poter iniziare a far girare questa nuova avventura.
L'inaugurazione della scienza fu sociale e per la manipolazione della massa, prima sparsa per le campagne e ora in via di concentrazione attorno alle nuove realtà civili e industruali. Se prima infatti la conquista era per "nuovi territori", ora diventa per "nuove industrie" che essendo concepite per produrre, avevano bisogno di "nuovi acquirenti" e di modalità sempre più efficaci di manipolazione del consenso.

Ci si sposta quindi gradatamente da un concetto di "uomo-bestia" inferiore (orientativamente a partire da Sir Francis Bacon) verso un concetto di "massa-bestia" e inferiore (Le Bon). Ovviamente "inferiore" corrisponde a "domesticabile" o "perseguibile", dove il processo di domesticazione passa per educazione. Ci vuole poco a discernere tra la domesticazione e l'educazione, anche se entrambe sono votate all'istruzione: la prima ha lo scopo di promuovere dipendenze (per esempio dalle strutture militari) la seconda autonomie (per esempio il pensiero critico).

Inizia così il secolo destinato a sviluppare quella cultura di massa, che Glauco Benigni indica come "Governo degli Stili di Vita", destinato ad aggiungere un altro mito, quello della "inesauribilità del virtuale". Mondi sempre nuovi e di fantasia saranno inventati di continuo per essere conquistati da un pubblico virtuale di ruoli, cioè modelli umani. Tipo la Barbie e il Big Jim. Intendiamoci, anche prima (per esempio con Dante) venivano inventati mondi di fantasia. Pensiamo solo alle fiabe. Ma lo scopo della fantasia non era "creare mondi". La favola usa il modello animale per costruire rapporti fissi con l'ambiente (il che ha senso nell'ottica di credenze che collocano le bestie domestiche e selvatiche come metro di giudizio del comportamento umano) mentre la fiaba costruisce giudizi morali per rapporti variabili con l'ambiente (il che ha senso nell'ottica di credenze che promuovono il viaggio e la conquista di nuovi territori). La fantasia è quindi funzionale a costruire un comportamento coerente con l'ambiente di riferimento, fisso o variabile che sia. Per questo prima il modello è animale e poi diventa umano: se inizi a viaggiare gli animali cambiano, ad esempio in america latina ci trovi gli Alpaca e i Lama non gli stambecchi e le capre di montagna.

All'interno di questa grande "conquista dei territori virtuali" ormai divenuta una corsa globale alla conquista delle menti umane per tramite di dogmi non più religosi ma sociali (il che ha senso dato che la scienza inizia come indagine del potenziale governo del bene sociale) inizia la corsa agli armamenti del periodo così detto "guerra fredda". In quella corsa, risulta subito chiaro agli strateghi militari di tutto il mondo che l'arma definitiva è il missile balistico, divenuto strumento cruciale per gestire la testata nucleare. Dato che non era possibile raccontare che il missile serviva a fare guerra globale e distruggere l'umanità (a chi lo racconti?!) la ricerca dell'ingeneria militare iniziò con un pretesto di orgoglio ideale (comunista Vs liberista) la corsa allo spazio.

Che sia stata prima di tutto una corsa alla conquista di territori di fantasia, non c'è nessun dubbio. Non voglio indicare la sterminata letteratura a riguardo, pensiamo solo a Jules Verne, per capire che la radice è proprio quella della fantasia votata all'era industriale e per l'ingegneria sociale. Non voglio nemmeno suggerire che la conquista della luna sia una invenzione di Hollywood. Tanto la questione di fondo non cambia se trattiamo certe quisquilie. Cioè, che sulla luna ci siamo stati o meno, non cambia l'evidenza che la conquista dei territori spaziali è stata prima di tutto una conquista della fantascienza, poi forse anche una conquista reale, ma infinitamente più piccola rispetto quella virtuale. Praticamente ridicola anche aggiungendo marte o l'intero sistema solare.

Il mito della conquista virtuale ha una conseguenza: l'illimitatezza delle risorse fantastiche. Ci si convince che non c'è limite all'ottenimento del desiderio, basta la fantasia, anche per mangiare. "Neverland" (1911) di James Matthew Barrie, dovrebbe in questo senso fare riflettere. Ora, se è vero che nello spazio virtuale la fantasia è infinita come "La Storia Infinita" di Michael Ende (che giustamente ci ricorda come la fantasia non è lineare ed è solo apparentemente infinita, perché ciclica come l'umore) noi non viviamo nello spazio virtuale e per ciò il mondo reale (abbandonato a se stesso e senza più guide per un rapporto fisico) diventa sempre più un luogo fisicamente inospitale. Qui inizia il mito del transumanesimo, cioè l'idea che lo spazio conquistabile (la mente) sia giusto al punto di maturazione e che quindi adesso l'Umanità sia pronta a fare un salto evolutivo verso una nuova identità cibernetica e interconessa con lo spazio virtuale: dato che la realtà non è virtuale, si percola la virtualità nella realtà come il liquame tossico di una discarica, in modo da "allargare i confini" del fisico oltre i limiti che ci sono dati dal corpo. Ad esempio con l'aumento della percezione, della capacità elaborativa, della memoria e della esplorazione sensibile. Con la possibilità di abitare l'inabitabile e di sentirsi a proprio agio in luoghi che per il nostro corpo oggi risulterebbero del tutto inospitali. Quindi anche di allargare l'esperienza fisica del mondo.

Il costo è ovviamente quello di accettare che il mondo reale è virtuale, per ciò plasmabile a fantasia in qualsiasi realtà fino a ritenere il "corpo" una fantasia e non viceversa, cioè che la realtà sia da armonizzare con il corpo e che la fantasia sia lo strumento per ottenere quell'armonia. Il problema del mito transumanista, molto seducente è un tratto che i transumanisti dimenticano continuamente.

Per fare esperienza è necessario soffrire. Questo ce lo dice qualsiasi realtà e qualsiasi fantasia. Il che significa che la fantasia non è altro che uno strumento per concepire mappe utili a navigare la sofferenza reale tramite il mito. Il che significa che concepire "mondi di fantasia" significa sempre concepire creativamente modi nuovi per soffrire. Che questo sia ESATTAMENTE la nostra attuale realtà, non c'è dubbio. Per ciò vincolarsi al mondo virtuale, corrisponde a singillare l'Uomo dentro un mondo Infernale. Un mondo sterminato, infinito, sempre nuovo, accattivamente, da conquistare e scoprire, sicuramente. Ma da cui non potremo più fuggire.

Un mondo virtuale di servi, l'unico luogo ove il dogma "privato è meglio" rimarrà per sempre giustificato.


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