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Un Altro Saggio


GioCo
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Dei tanti, troppi, assurdi compromessi che viviamo, ce ne uno che mi lascia più interdetto di altri: l'incapacità di Vedere.

Non intendo ovviamente quello che vedono gli occhi, se leggete questo contributo è evidente che gli occhi li avete e direi pure che avete un interessante grado di pazienza, dato che in genere non ne ho altrettanta per sopportare me stesso. :*

Vedete, la questione è spinosa e dipende dalla coscienza: alzare lo sguardo e Vedere, raramente porta alla luce qualcosa di gradevole. Per ciò noi abbiamo l'utopia della coscienza che vogliamo tesa verso la luce della ragione, quindi migliore, ma nella pratica cerchiamo poi il rifugio nell'ignoranza, che poi è il piacere (consumato in fretta) invece della fatica e del disagio (consumati nella pazienza). Piuttosto che riconoscere l'incoscienza in cui versiamo (il primo passo per poterla affrontare) facciamo spesso e volentieri confusione, cioè ci adoperiamo in opere di equilibrismi (soprattutto dialettici) per allontanare l'attenzione dall'evidenza delle nostre fragilità. Per ciò in un certo senso, l'incapacità di Vedere equivale alla scelta di rimanere ignoranti, almeno su certe questioni per noi pressanti. In effetti il carico di sopportazione che possiamo reggere emotivamente è sempre piuttosto ridotto anche se a noi piace immaginarlo "tendente all'infinito". Nelle nostre fantasie infatti, siamo tutti orgoglioni (cioè orgogliosi in senso fantozianno) di noi stessi e ci descriviamo volentieri come Eroi in campo emotivo, ma al primo test di resistenza è facile verificare come a mettersi in mostra saranno più che altro le nostre fragilità sottaciute.

Un altro aspetto minore ma non meno importante è la direzione dello Sguardo. Siccome facciamo molta fatica a sopportare le nostre fragilità, una delle tendenze che ci dominano è cercare le corrispettive resilienze compensatorie nell'ambiente e (oltretutto) rimanerci male se la loro pretesa presenza non è soddisfatta. Se ad esempio constatiamo come il mondo sia colmo di stupidità, questo non ci dice niente sulla presenza o meno della stupidità nel mondo, oppure dovremmo premettere che il mondo deve per forza avere la qualità dominante dell'intelligenza e guardando in generale un ameba o un asino, dovremmo affermare che essi sono dimostrazione chiara della intelligenza della natura. Il che lo facciamo spesso, scordando poi di chiamare subito dopo i nostri simili con epiteti che richiamano i suddetti esempi animali come se questi fossero la dimostrazione della stupidità della natura umana. Dovremmo logicamente quindi deciderci: o stabiliamo che la natura è di suo stupida e quindi ha senso che anche nell'uomo prevalga la componente stupida, oppure la stupidità non centra niente e stiamo cercando di deviare l'attenzione per non Vedere quello che ci da più fastidio. Come per esempio che abbiamo rinunciato per Orgoglio e Superbia a osservare dov'è la nostra stupidità e come questo ha finito per consumare tutta la nostra Umiltà. Ce ne accorgiamo con un test facile facile, di tipo indiretto e contro-intuitivo tipicamente emotivo, se chiediamo umiltà a chi (anche noi stessi) distribuisce la stupidità tra i suoi simili.

Se ad esempio chiedessimo a un Blondet che spesso dal suo sito ci descrive il mondo come ricco di stupidi e di stupidità, se percaso il Gesù dei Vangeli può essere inteso come stupido dato che andava a pescare i suoi tra gli ultimi, ad esempio tra Zeloti (come Pietro) che di certo non seguivano la legge di "offrire l'altra guancia" o i traditori come il Giuda Iscariota di cui certo non era possibile pretendere fedeltà. Potremmo chiedergli ad esempio se è nelle possibilità sue di buon cristiano e cattolico dichiarare la stupidà di una figura come Gesù che mai ha dichiarato i suoi simili stupidi.

Personalmente, nonostante non mi dichiaro di fede cattolica, non credo che il mondo sia pieno di stupidi. Non trovo in me stupidità ma un sacco di attriti interiori e quindi ne osservo almeno altrettanti nel mio prossimo, la stupidità è quindi per me una conseguenza logica di drammi umani. Ogni qual volta stabilisco un principio, ad esempio che "la gente è stupida", poi mi trovo nell'incomprensibile paradosso di notare che quelle stesse stupidità che indico fuori da me, sono perfettamente presenti dentro di me e agiscono indisturbate esattamente come giudico fuori da me. Non è una constatazione piacevole, non è neppure desiderabile. Tra l'altro non seguo un dettato che premia la Verità e neppure la verità. Tuttavia sono saldamente convinto che sia meglio preferire osservare ciò che vedo più dettagliatamente che posso a prescindere da quanto mi piace, piuttosto che ingannare me stesso e cancellare ciò che non mi piace dal panorama osservato.

Certo, spesso scordo che non tutti possono aderire a un principio tanto intrasigente e severo. Inoltre che non si può in alcun modo pretendere per nessuno che i principi a cui aderiamo per scelta siano gli stessi per tutti, indipendentemente dalle intenzioni che portiamo o dalla bontà dei principi medesimi. Tuttavia vedo attorno a me certamente una degenerazione che non è però dettata da una causalità temporale che mi suggerisce: "prima era meglio e domani sarà peggio", ne da una idea territoriale che mi suggerisce: "ci sono individui peggiori di me e posti più brutti, ma anche persone e luoghi migliori". La degenerazione che Vedo è una qualità tutta riflessa al mio interno, come la mia immagine è riflessa nello specchio. Per ciò non ha un luogo e non ha un tempo se non il luogo di QUI e il tempo di ADESSO.

Ovunque io mi trovo e in ogni momento essa si riproduce "spontaneamente" dentro di me e mi impone attenzione. Così leggo Blondet che ammiro e adoro come pochi altri e lo rigrazio per l'insostituibile opera che compie ogni volta anche se non ho niente da condividere a livello di scelte personali. Tuttavia, quando mi coglie un fastidio per ciò che scrive, riesco a tenere distinta la mia ammirazione dal fastidio ed anzi, uso il fastidio per capire cosa non va dentro di me, per scendere in profondità e stanare le ragioni che "lavorano nell'Ombra" per il mio Male. Non sempre ci riesco ma i risultati anche se incerti nel tempo tendono a costruire qualcosa di diverso dal tramestio delle discussioni opinionistiche più passionali. Qualcosa di quieto e morbido che contrasta con l'inflessibilità severa dei miei principi. Qualcosa che porta in sé una tenerezza che non riesco a descrivere diversamente se non come "forza della debolezza".

Non so cosa sia e sinceramente mi importa fino a un certo punto descriverla. Mi importa di più Viverla, cercarla, stanarla, in un opera che va tra il pietoso e il disarmante per la difficoltà stessa che impone, difficoltà che deriva più che altro dall'evidenza evidente che si tratta di mantenere una direzione diametralmente opposta alla spinta crudele quando incosciente di questa società moderna. Per ciò ho realizzato che pochi o pocchissimi potranno perseguire strade simili e il numero non potrà che diminuire in futuro, date le tendenze attuali a meno che non accada qualcosa che sconvolga gli ordini e gli equilibri globali. Cosa ne sarà degli altri che non perseguono le mie strade non so e (di nuovo) mi importa fino a un certo punto sapere. Non intendo sbagliata o anche solo meno carica di ricchezza una strada differente dalla mia. Solo diversa e nella misura in cui si allontana da me, meno osservabile.

Tra l'altro se dovessi essere proprio completamente sincero, non so nemmeno dove porti la mia strada e quanto valga la pena pubblicizzarla. So solo che sono giunto alla conclusione che non ho nessuna volontà ne intenzione di abbandonarla e che una forza a me totalmente ignota me la impone da sempre, comunque e a prescindere.


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ignorans
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Molto bello.
Parlando di degenerazione, però, nel post precedente, io mi riferivo a qualcosa di fisico, di funzionale, di fisiologico.
Della serie: incapacità di restare incinta, diminuzione del numero spermatozoi, aumento malattie degenerative, ecc.


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GioCo
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ottavino;240591 wrote: Molto bello.
Parlando di degenerazione, però, nel post precedente, io mi riferivo a qualcosa di fisico, di funzionale, di fisiologico.
Della serie: incapacità di restare incinta, diminuzione del numero spermatozoi, aumento malattie degenerative, ecc.

Interessante considerare forse le cose come separate. Nel senso che ti invidio, perché non ci riesco. La degenerazione fisica e ambientale, non riesco a svincolarla da una degenerazione del percepire che ho ristretto per sintesi più immediata nel "Vedere". In altre parole, per quanto mi riguarda, se non riusciamo a "Vedere" che la disarmonia con cui ci rapportiamo con il mondo che ci circonda corrisponde esattamente alla disarmonia che sconvolge tutti i delicati equilibri dentro di noi, spezzandoli allo stesso modo, cos'altro potrà "aprirci gli occhi"?


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ignorans
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Ho iniziato a scrivere e poi ho cambiato idea su ciò che dovevo scrivere. E poi ho cambiato ancora, e ancora.
Alla fine, chiedo aiuto a Epitteto... "L'uomo è felice, se non lo è la colpa è sua".
Gli animali sono felici nella grande natura...perchè noi no? I delicati equilibri rotti, si ricompongono e ne trovano di nuovi. Sono delle meccaniche... vale la pena tentare di afferrarle?
Sto leggendo "L'Amore di Sé" di Nisargadatta Maharaj, un "illuminato" indiano. Lui dice che noi siamo il testimone della coscienza. Il "senso di essere" dovrebbe bastarci.


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GioCo
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ottavino;240602 wrote: Ho iniziato a scrivere e poi ho cambiato idea su ciò che dovevo scrivere. E poi ho cambiato ancora, e ancora.
Alla fine, chiedo aiuto a Epitteto... "L'uomo è felice, se non lo è la colpa è sua".
Gli animali sono felici nella grande natura...perchè noi no? ...

La colpa la lascio ai cattolici che sono più bravini di me in queste cose: ci tengono a mantenere il copyright. Bontà loro. La felicità è come la tristezza, potente ma utile solo a monitorare il nostro stato, le nostre energie. Come dire che se fossimo un automobile, la tristezza è l'indicatore della benzina che scarseggia e la felicità il serbatoio pieno con cui possiamo fare tanta strada. Farne un feticcio da innalzare sull'altare del rito perenne mi pare fantozziano. Ciò non di meno è ciò che facciamo abitualmente. Gli animali sono animali e credo che sarebbe pure ora di non farne una categoria a se stante, dato che in molti si identificano piacevolmente coi loro cani, l'evidenza che constatiamo è che la distanza media non è poi così siderale come ci piacerebbe credere. Tra l'altro quella distanza si fonda sul grottesco metro della domesticazione: noi ce l'abbiamo "di più", tanto "di più" e per giunta ne andiamo fieri pur non sapendo chi sarebbe il nostro padrone, come invece il cane. Questa cosa la riteniamo "intelligente" ... ogni commento a riguardo credo sia superfluo. Cambiare idea è un ottima cosa, meno buona è l'idea fissa. Purtroppo diciamo così ma poi sotto sotto, siamo un po' tutti fissati. No? 😉
Per mio conto penso che possiamo farcene una ragione. :#


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ignorans
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Epitteto vorrebbe dire: "c'è la coscienza, quindi siamo felici" . La luce della coscienza è la felicità. Ogni sovrappiu' è eccessivo, non necessario
Perciò solo noi possiamo metterci nei pasticci >:)
Cantare la gloria della coscienza, ecco quello che si dovrebbe fare B)


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